Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5549 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5549 Anno 2014
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
C.E.S. S.r.l. in persona del legale rappresentante Biagi Gianfranco, nato a Monte
S. Savino il 25/10/1939
avverso la sentenza 27.11.2012 del G.U.P. del Tribunale di Roma.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Piercamillo Davigo.
Letta la requisitoria del sostituto procuratore generale, il quale ha concluso
chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Ritenuto in fatto

Con sentenza 27.11.2012 il G.U.P. del Tribunale di Roma, sull’accordo delle
parti, applicò alla C.E.S. S.r.l. la sanzione amministrativa pecuniaria di €
50.000,00 e la sanzione interdittiva del divieto di pubblicizzare beni e servizi per
mesi 2 in relazione all’illecito di cui all’art. 24 D. Lgs. 231/2001 conseguente al
reato di cui all’art. 640 comma 2 cod. pen.

Data Udienza: 18/12/2013

Ricorre per cassazione il difensore della società deducendo:
1. violazione della legge processuale in relazione alla mancata declaratoria di
proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. stante l’assenza di
risultanze probatorie;
2. violazione di legge in relazione all’omessa dichiarazione di prescrizione
deVillecito amministrativo in relazione ai singoli versamenti contributivi.

Considerato in diritto

Il ricorso è manifestamente infondato e generico.
Quanto al primo motivo, per un verso lo stesso è generico, non essendo
indicate le specifiche ragioni per le quali avrebbe dovuto essere pronunziata
sentenza di assoluzione, per altro verso, secondo il consolidato orientamento di
questa Corte, l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art. 111 Cost. e
dall’art. 125, comma terzo, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, opera anche
rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti. Tuttavia, in tal
caso, esso non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della
sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il
compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra
le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente
correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa
dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ne consegue che il giudizio
negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui
dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la
possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi
sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non
ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento a norma del citato art.
129. (Cass. Sez. 1^ sent. n. 752 del 27.1.1999 dep. 22.3.1999 rv 212742).
Ancora in tema di patteggiamento, la motivazione della sentenza in
relazione alla mancanza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 129 cod. proc.
pen. può anche essere meramente enunciativa. Invero, poiché la richiesta di
applicazione della pena deve essere considerata quantomeno come ammissione
del fatto (quando non la si voglia addirittura ritenere ammissione di
responsabilità o implicito riconoscimento di colpevolezza), il giudice deve
pronunciare sentenza di proscioglimento solo se manchi un quadro probatorio
idoneo a definire il fatto come reato o se dagli atti già risultino elementi tali da
imporre di superare la presunzione di colpevolezza che il legislatore ricollega
2
.,,

proprio alla formulazione della richiesta di applicazione della pena». (Cass. Sez.
5^ sent. n. 4117 del 20.9.1999 dep. 29.9.1999 rv 214478).
In ogni caso la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su
richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento di
cui all’art. 129 cod. proc. pen., può essere oggetto di controllo di legittimità,
sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza
impugnata appaia evidente la sussistenza delle cause di non punibilità di cui
all’art. 129 succitato. (Cass. Sez. 3^ sent. n. 2309 del 18.6.1999 dep. 9.10.1999

Il secondo motivo è generico dal momento che non indica con precisione
quali sarebbero i singoli fatti per i quali sarebbe intervenuta la prescrizione e
quando sono stati compiuti atti interruttivi.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della Cassa delle ammende della somma di mille euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in data 18.12.2013.
Il Consigliere estensore

rv 215071).

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