Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5548 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5548 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 11/12/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di FITZSIMONS Henry James, nato
a Belfast (Irlanda) il 28.11.1949, attualmente in custodia cautelare in
carcere per questa causa, rappresentato e assistito dall’avv. Laura
Autru Ryolo e dall’avv. Vincenzo Nico D’Ascola avverso l’ordinanza n.
832/2013 del Tribunale di Reggio Calabria in funzione di giudice del
riesame in data 16.08.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale dott.
Massimo Galli che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata
con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria nonché la discussione della
difesa che ha concluso aderendo alle conclusioni del Procuratore
generale.

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RITENUTO IN FATI-0

1. Con ordinanza emessa in data 19.02.2013, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria disponeva nei
confronti di FITZSIMONS Henry James la misura cautelare della
custodia in carcere in relazione alla seguente incolpazione:
capo O): reato di cui agli artt. 81, 110, 648-ter cod. pen., 7 I.

203/1991 (in Brancaleone dal 21.12.2006 a tutt’oggi).
Il FITZSMONS è accusato (in incolpazione) di avere impiegato in
attività economica, in concorso con Cuppari Antonio e Velardo
Antonio, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso,
somme di denaro provenienti sia da delitti non colposi non meglio
accertati che da delitti commessi dalla criminalità organizzata,
specificamente dal locale operante in Africo (RC) e Brancaleone (RC)
ed in particolare dal delitto di associazione mafiosa e dal delitto di
traffico di sostanze stupefacenti, nella costruzione del complesso
turistico denominato “Gioiello del Mare” sito nel Comune di
Brancaleone; in particolare, FITZSIMONS impiegando somme di
denaro a partire dal 05.07.2007, data del primo contratto di mutuo
stipulato in favore della RDV dal FITZSIMONS. Con l’aggravante di
aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art.
416-bis cod. pen. e per agevolare l’organizzazione mafiosa
denominata `ndrangheta ed in particolare il locale di Africo.
1.1. Avverso la predetta ordinanza, FITZSIMONS Henry James
proponeva ricorso per riesame chiedendo l’annullamento del
provvedimento impugnato o, in subordine, la riforma dello stesso
con applicazione di una misura meno afflittiva.
1.2. Con ordinanza in data 6.08.2013, il Tribunale di Reggio Calabria
in funzione di giudice del riesame, rigettava il gravame confermando
il provvedimento impugnato.
2. Avverso detto provvedimento veniva proposto ricorso per
cassazione deducendo:
-motivo primo: violazione e difetto di motivazione (art. 606, lett. b, c
ed e cod. proc. pen.) in relazione agli artt. 648-ter cod. pen., 292 e
721 cod. proc. pen.;
-motivo secondo: violazione di legge e difetto di motivazione (art.
606 lett. b ed e cod. proc. pen.) in relazione all’art. 648-ter cod.

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pen.;
-motivo terzo: altra violazione di legge e difetto di motivazione (art.
606 lett. b ed e cod. proc. pen.) in relazione all’art. 648-ter cod.
pen.;
– motivo quarto: altra violazione di legge e difetto di motivazione
(art. 606 lett. b ed e cod. proc. pen.) in relazione agli artt. 292 lett.
c) bis cod. proc. pen. e 648-ter cod. pen.;

-motivo quinto: difetto di motivazione;
-motivo sesto: altra violazione di legge e difetto di motivazione (art.
606 lett. b e d cod. proc. pen.) in relazione agli artt. 648-ter cod.
pen. e 7 I. 203/1991;
-motivo settimo: altra violazione di legge e difetto di motivazione
(art. 606 lett. b e d cod. proc. pen.) in relazione agli artt. 274 cod.
proc. pen. e 648-ter cod. pen..
2.1. Con riferimento al primo motivo, il ricorrente, dopo aver
premesso che l’indagato si trova sottoposto a misura cautelare in
Italia in esito a procedimento di estradizione dal Senegal e chiarito
che l’intera ordinanza – così come la richiesta – nell’esposizione delle
ragioni poste a sostegno della contestazione e quindi negli atti
trasmessi allo Stato Estero, fanno univoco riferimento alla
provenienza illecita del denaro del FITZSIMONS quale provento del
reato eversivo attribuibile al medesimo e commesso negli anni ’70 in
Irlanda ed ai legami che all’epoca egli aveva con l’I.R.A., lamenta
come nell’ordinanza si affermi invece che il concorso nel reato
oggetto di contestazione (capo O) attribuito a tre indagati debba
intendersi come esecuzione di un accordo in forza del quale gli uni
reimpiegavano le somme di illecita provenienza degli altri:
descrizione del fatto che risulterebbe diversa in ordine al dato
temporale ed alle modalità esecutive da quella rappresentata alla
competente autorità dello Stato Estero che ha disposto l’estradizione.
2.2. Con riferimento al secondo motivo, denuncia il ricorrente come il
provvedimento impugnato, nell’affrontare il tema dei rapporti tra
Cuppari da un lato e FITZSIMONS e Velardo dall’altro, colloca i dubbi
e i timori nutriti dagli ultimi due nei confronti del primo tra il 2009 ed
il 2010, ovvero in periodo di gran lunga successivo all’accordo
commerciale tra la società RVD del Cuppari e la VFI del FITZSIMONS
e del Velardo ed i relativi finanziamenti, null’altro aggiungendo

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quanto a ulteriori circostanze precedenti, coeve o immediatamente
successive alla stipula degli accordi contrattuali.
2.3. Con riferimento al terzo motivo, denuncia il ricorrente come
nell’ordinanza impugnata s’individui l’interesse del FITZSIMONS
nell’investimento di somme superiori al milione di euro nell’asserita
consapevolezza della provenienza illecita dei beni del Cuppari, nella
circostanza che, con tale operazione, lo stesso FITZSIMONS avrebbe

riciclato, attraverso il reimpiego di somme provenienti da delitti non
colposi non meglio accertati, così come descritto nel capo di
imputazione. L’unico elemento probatorio esposto dai giudici del
riesame fa riferimento esclusivo a una condanna riportata dal
FITZSIMONS quarant’anni addietro per fatti legati a contiguità con
l’organizzazione terroristica irlandese denominata I.R.A.; non risulta,
invero, alcun altro elemento sulla coerenza tra la disponibilità di
denaro da parte dell’indagato e le attività lavorative e imprenditoriali
da questi svolte negli ultimi quarant’anni.
2.4. Con riferimento al quarto motivo, denuncia il ricorrente come
con la richiesta di riesame fosse stata dedotta la nullità
dell’ordinanza nella parte in cui non erano esposti i motivi per i quali
si riteneva l’irrilevanza degli elementi forniti a discarico dalla difesa.
Anche il Tribunale di Reggio Calabria era incorso nel medesimo vizio
nulla deducendo in merito ai predetti motivi pur oggetto di nuova
allegazione.
2.5. Con riferimento al quinto motivo, denuncia il ricorrente
l’illogicità e la contraddittorietà dell’ordinanza impugnata nella parte
in cui, omettendo la decisione delle specifiche questioni poste con la
prodotta memoria difensiva, non aveva né escluso né affermato che
l’impiego delle somme di pertinenza del FITZSIMONS costituiscano
reato punibile in Italia, giungendo poi all’affermazione dell’esistenza
di un’attività di supporto a quella del Cuppari già oggetto di censura
nei primi motivi di impugnazione.
2.6. Con riferimento al sesto motivo, denuncia il ricorrente come il
Tribunale di Reggio Calabria abbia illegittimamente ancorato la
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 I. n.
203/1991 alle stesse ragioni per le quali ha ritenuto la gravità
indiziaria sull’elemento soggettivo del reato ovvero sulla
consapevolezza della provenienza illecita del denaro di pertinenza del

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Cuppari; viene quindi censurato il riconoscimento della natura
oggettiva dell’aggravante in parola nonché l’assenza di motivazione
in ordine alla riconosciuta consapevolezza dell’utilizzo del metodo
mafioso o del fine di favore l’associazione mafiosa.
2.7. Con riferimento al settimo motivo, denuncia il ricorrente come il
Tribunale di Reggio Calabria abbia tratto dall’affermata occasionalità
opportunistica dell’investimento finanziario insieme al Cuppari,

l’altissimo rischio che il FITZSIMONS pregiudichi l’acquisizione e la
genuinità delle prove facendo riferimento ad elementi probatori
(movimenti finanziari, vicende societarie ed intercettazioni
telefoniche) insuscettibili di condizionamento o soppressione; pari
censura viene rivolta con riferimento alla valutazione della
pericolosità sociale desunta dall’aggravante in contestazione e
dall’intervenuta pregressa condanna per fatti di reato commessi
decine di anni fa in Irlanda nonché ai criteri di scelta della misura
applicata, già oggetto di rilievo critico in sede di istanza di riesame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Infondato è il primo motivo di doglianza. Come si è visto, con lo
stesso, il ricorrente lamenta che l’intera ordinanza, così come la
richiesta di estradizione, nell’esposizione delle ragioni poste a
sostegno della contestazione e, quindi, negli atti trasmessi allo Stato
estero, facciano univoco riferimento alla provenienza illecita del
denaro del FITZSIMONS quale provento del reato eversivo
attribuibile allo stesso e commesso negli anni ’70 in Irlanda ed ai
legami che egli aveva con l’organizzazione terroristica denominata
I.R.A., mentre i rapporti con la organizzazione mafiosa calabrese
venivano esaminati esclusivamente con riferimento alla sussistenza
dell’aggravante. Assume il ricorrente che, nell’impugnata ordinanza,
si affermava invece che il concorso nel reato di cui al capo O),
attribuito oltre al FITZSIMONS, anche al Velardo e al Cuppari,
doveva intendersi come esecuzione di un accordo in forza del quale
“gli uni reimpiegavano le somme di illecita provenienza degli altri”:
descrizione del fatto da ritenersi diversa in ordine al dato temporale
ed alle modalità esecutive rispetto a quella rappresentata alla
competente Autorità estera che aveva disposto l’estradizione.

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La censura, non precedentemente sollevata in sede di riesame, non
appare meritevole di accoglimento. Afferma la giurisprudenza di
questa Suprema Corte che, in base alla Convenzione europea di
estradizione, il rispetto del principio di specialità non impedisce soprattutto nella fase, per sua natura, fluida delle indagini
preliminari – l’integrazione dell’imputazione (che vede una
contestazione di reimpiego a duplice condotta concorrente)

allorquando la stessa, come nella fattispecie, non immuti il fatto nel
suo nucleo essenziale con riferimento alla sua configurazione
materiale e giuridica e, conseguentemente, non determini
mutamento del titolo del reato ovvero contestazione autonoma e
diversa (cfr., Cass., Sez. 1, n. 27684 del 26/06/2007-dep.
12/07/2007, Baratto, rv. 236932, in fattispecie relativa al rigetto di
un incidente di esecuzione diretto ad ottenere la declaratoria di
ineseguibilità della pena, la Corte ha fatto applicazione del principio
indicato, osservando che l’Autorità spagnola era stata puntualmente
informata che nei confronti del ricorrente si procedeva per il delitto
associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. e per altri reati commessi
in ambito associativo, avvalendosi del vincolo di appartenenza ad
un’organizzazione camorristica).
4. Prima di procedere all’esame degli altri profili di doglianza, si rende
necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte
delle decisioni adottate dal giudice del riesame dei provvedimenti
sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce al giudice di legittimità alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate
(ivi compreso lo spessore degli indizi) né alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato (ivi
compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate) trattandosi di apprezzamenti rientranti nel
compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del
riesame.
Il controllo sulla motivazione della Suprema Corte è, dunque,
circoscritto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.,
alla verifica di tre requisiti, la cui esistenza rende la decisione

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intoccabile in sede di legittimità:
a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno
determinata;
b) l’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione, ossia la coerenza
delle argomentazioni rispetto al fine che le hanno determinate;
c)

il mancato affioramento di alcuni dei predetti vizi dall’atto

impugnato (Cass., Sez. 6, n. 5334 del 22/04/1992-dep. 26/05/1993,

Verdelli ed altro, rv. 194203).
Con riguardo al tema dei limiti del sindacato di legittimità, delineati
dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., come vigente a
seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, questa
Corte Suprema ha ripetutamente affermato che la predetta novella
non abbia comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di
effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione
finalizzata a sovrapporre una propria valutazione a quella già
effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità
limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il
giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento.
La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali
può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora
comporti il cd. travisamento della prova, purché siano indicate in
maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state
travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti
in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza
alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia
effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
5. Fermo quanto precede, i rilievi sollevati dal ricorrente con riferimento
a tutti gli altri motivi di doglianza – trattabili congiuntamente in
considerazione dell’unicità del profilo afferente l’inconfigurabilità del
reato di cui all’art. 648-ter cod. pen. – rendono doveroso procedere
preliminarmente ad un inquadramento dogmatico del delitto in
contestazione.
6. Come riconosciuto dal Tribunale di Reggio Calabria nell’ordinanza
impugnata, se con il riciclaggio si puniscono le condotte che mirano a
“ripulire” i proventi illeciti, recidendo il loro collegamento all’attività
criminosa [delittuosa] da cui sono derivati, onde impedire
l’accertamento di tale provenienza, con la previsione sanzionatoria

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dell’art. 648-ter cod. pen. si vuole reprimere, invece, residualmente,
il reimpiego in attività economiche e finanziarie dei proventi illeciti.
7.

La ricettazione e il reimpiego hanno in comune la ricezione di denaro
o di altra utilità di provenienza illecita, ma, mentre la ricettazione
richiede una generica attività di profitto che giustifica l’impiego che
del denaro o dell’altra utilità l’agente abbia fatto, proprio per
perseguire l’anzidetta finalità di profitto (per l’effetto tale impiego

costituirebbe un post factum non punibile), nel reimpiego l’elemento
specializzante (e penalmente rilevante) è rappresentato dalla
specificità dell’impiego “in attività economiche o finanziarie”.
8.

In ragione della “clausola di sussidiarietà” prevista nell’art. 648-ter
cod. pen, la fattispecie incriminatrice del reimpiego illecito non è
applicabile a coloro che abbiano già commesso il delitto di
ricettazione o quello di riciclaggio e che, successivamente, con
determinazione autonoma (al di fuori, cioè, della iniziale ricezione o
sostituzione del denaro), abbiano poi impiegato ciò che era frutto già
di delitti a loro addebitati: in tale evenienza, il reimpiego del denaro
si atteggia, infatti, come post factum non rilevante. Per converso, la
norma incriminatrice del reimpiego è applicabile a coloro che, con
“unicità di determinazione teleologica originaria” abbiano ricevuto o
sostituito denaro di provenienza illecita per impiegarlo in attività
economiche o finanziarie: in tale evenienza, nel reimpiego è
“assorbita” la recedente attività di ricezione o di sostituzione (cfr.,
Cass., Sez. 2, n. 16434 del 26/03/2013-dep. 11/04/2013, Piccioni).

9.

Ai fini della distinzione tra l’ipotesi di reato di cui all’art. 648-ter cod.
pen. (impiego di danaro, beni o utilità di provenienza illecita) e
quella di cui all’art. 648-bis cod. pen. (riciclaggio), assume decisivo
rilievo l’elemento costituito dalla necessaria contestualità tra la
sostituzione dei beni e la destinazione degli stessi (anche a livello di
determinazione volitiva) non solo alla specifica finalità (propria del
reato di riciclaggio) di far perdere le tracce della loro origine illecita
ma anche a quella di realizzare tale obiettivo proprio mediante
l’impiego in attività economiche o finanziarie (cfr., Cass., Sez. 2, n.
4800 dell’11/11/2009-dep. 04/02/2010, Maldini).

10. La vera chiave di lettura interpretativa per cogliere il

proprium del

reimpiego, e le differenze rispetto alla ricettazione comune, passa
necessariamente attraverso il significato normativo da attribuire

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all’espressione “attività economiche o finanziarie”, che, nel difetto di
esplicite indicazioni ricavabili dallo stesso art. 648-ter cod. pen., si
deve necessariamente trarre da altre norme, contenenti la relativa
definizione. Al riguardo, un’importante ausilio per poter dare
concretezza al concetto di “attività economica”, lo si trova nell’art.
2082 cod. civ. che, nel definire la nozione giuridica di imprenditore,
qualifica come tale colui che “esercita professionalmente un’attività

economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di
beni o di servizi”, e nei successivi artt. 2135 e 2195 dello stesso
codice che, a loro volta, qualificano l’imprenditore agricolo e quello
commerciale. Perchè possa parlarsi di attività economica (anche ai
fini sanzionatori del “reimpiego” illecito) occorre si sia in presenza di
un’attività finalizzata alla “produzione” o allo “scambio” di beni o di
servizi, dovendosi intendere per tale, comunque, non solo l’attività
produttiva in senso stretto, ossia quella diretta a creare nuovi beni o
servizi, ma anche l’attività di scambio e di distribuzione dei beni nel
mercato del consumo, ed altresì ogni altra attività che possa
rientrare in una di quelle elencate nelle sopra menzionate norme del
codice civile. In una tale ottica, in questo concetto di attività
economica, rientra anche l’attività di finanziamento (cioè l’attività in
forza della quale un soggetto presta professionalmente denaro a chi
lo richieda, mediante contratti di mutuo od altri contratti di credito),
che è tipica attività di scambio, in quanto nel contratto di mutuo e,
più in generale, nei contratti di credito la dazione del denaro è
effettuata a titolo oneroso. Anche tale attività può rilevare ai fini del
“reimpiego” illecito, giacchè è a questa che la norma incriminatrice si
riferisce allorquando richiama la nozione di “attività finanziaria”. Nel
difetto di indicazioni in senso contrario contenute nel testo dell’ art.
648-ter cod. pen., perchè si possa parlare di impiego penalmente
perseguibile in attività economiche e/o finanziarie non è neppure
imposto un limite quantitativo minimo al valore dell’investimento:
può configurare pertanto l’elemento oggettivo del reato anche il
reimpiego di una modesta somma di denaro provento di una
qualsiasi attività delittuosa. Un limite che deve ritenersi sussistente
concerne, invece, le modalità e la direzione dell’impiego. Se questo
deve essere effettuato nell’ambito di “attività” economiche o
finanziarie, occorre in sostanza che si sia in presenza di condotte

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professionali, caratterizzate dai requisiti della stabilità e/o della non
occasionalità: non può così ritenersi sussistente il reato di cui all’art.
648-ter cod. pen. nel comportamento di chi, occasionalmente, abbia
speso in un esercizio commerciale una somma di denaro proveniente
da delitto: tale soggetto sarà chiamato a rispondere normalmente di
ricettazione, in relazione alla precedente condotta di ricezione della
somma, ovvero di riciclaggio, laddove l’intento perseguito sia stato

quello della “ripulitura” del compendio criminoso. Laddove
l’investimento sia effettuato nell’ambito di “attività” economiche e/o
finanziarie nel senso suindicato deve invece ribadirsi l’irrilevanza dei
profili quantitativi dello stesso, che possono semmai essere tenuti in
considerazione ai fini della determinazione della pena: ricorrerà
quindi il reato di cui all’art. 648-ter cod. pen., nel comportamento di
chi investa i proventi illeciti (pur quantitativamente modesti)
nell’ambito della propria attività imprenditoriale, organizzata e
gestita professionalmente, mentre la pochezza quantitativa della
somma reimpiegata potrà essere tenuto in conto ai fini del
trattamento sanzionatorio e/o della concessione delle circostanze
attenuanti generiche.
11.Inquadrata la figura delittuosa in contestazione al capo O), ritiene
questo Collegio come il ricorso – con riferimento agli altri motivi di
doglianza sollevati – appaia fondato imponendosi il suo accoglimento.
Secondo la ricostruzione del Tribunale di Reggio Calabria (pag. 35
dell’ordinanza impugnata), la condotta contestata al FITZSIMONS è
quella di reimpiego delle somme provenienti dall’attività
‘ndranghetistica del c.d. “mandamento jonico”, essendo stato il capo
d’incolpazione sub O) costruito con la duplice condotta di reimpiego
di somme della ‘ndrangheta e di somme provenienti da altri delitti commessi dal FITZSIMONS e dal Velardo – proprio perché
l’autoriciclaggio non è previsto come reato nel nostro ordinamento,
mentre presupposto per l’integrazione del delitto di cui all’art. 648ter cod. pen., è il non aver concorso nel reato presupposto. Aggiunge
il Tribunale di Reggio Calabria che, certamente, né il FITZSIMONS né
il Velardo possono ritenersi intranei alla compagine associativa
mafiosa delle cosche Morabito e Aquino, per cui gli stessi non hanno
concorso nel delitto presupposto. Pertanto, l’accordo che si è
accertato essere stato concluso dall’organizzazione mafiosa

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dominante sul territorio in cui viene costruito il complesso
immobiliare denominato “Il Gioiello del Mare” con il FITZSIMONS ed
il Velardo è consistito, in sostanza, nel fatto che gli uni
reimpiegavano le somme di illecita provenienza degli altri. Su queste
premesse, il Tribunale di Reggio Calabria conclude affermando (pag.
36 dell’ordinanza impugnata): “…

un’attenta lettura del capo O)

dell’imputazione provvisoria è sufficiente a chiarire che l’organo

inquirente ha individuato due diversi tipi di reati presupposti
(proventi dall’attività mafiosa da un lato e proventi di altri reati,
legati al terrorismo irlandese e delitti in materia fiscale), due
categorie di soggetti (il Cup pari da un lato e il FITZSIMONS ed il
Velardo dall’altro) ed un unico affare nel quale confluiscono tali
somme di denaro, per cui tale contaminazione consente all’interprete
di affermare che, una volta dimostrata la consapevolezza e volontà
degli indagati di voler portare avanti l’operazione illecita meglio
descritta nel corpo dell’ordinanza, deve ritenersi integrato il delitto di
cui all’art. 648-ter cod. pen.”.
A parere del Collegio questa conclusione si profila in contrasto logico
con le precedenti valutazioni operate dal Tribunale di Reggio Calabria
(pag. 34 dell’ordinanza impugnata) con riferimento alla specifica
posizione del FITZSIMONS nel quale il giudice di seconde cure
afferma testualmente: “… con riferimento al FITZSIMONS deve dirsi
… che lo stesso è stato detenuto (otto anni) per reati di terrorismo
commessi quale appartenente al gruppo separatista conosciuto come
“I.R.A.” (Irish Republican Army). Ed è proprio in tale appartenenza,
ed ai connessi legami ed attività, che può ragionevolmente ricondursi
l’ingentissimo flusso di denaro di cui l’indagato ha dato prova di
poter disporre con prontezza e che, come dallo stesso affermato, è
da sottoporre a “riciclaggio”; in ciò palesemente coadiuvato dal suo
“gancio” italiano (la sua vera e propria “longa manus” sul territorio
nazionale) che le investigazioni hanno irrefutabilmente dimostrato
essere Velardo Antonio. Il rapporto tra Velardo e FITZSIMONS
traspare in modo nitido dal contenuto di due conversazioni in data
15.04.2010 (sintesi della conversazione registrata alle ore 11.05:
“Harry dice che incomincia a convincersi che Antonio Velardo sia
impazzito, lo descrive come un bastardo ingrato. Dice che lo ha reso
ricco investendo i propri soldi e dividendo i guadagni con lui; alle ore

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14.09: “Harry FITZSIMONS racconta ad Anna Kapolova il litigio ed il
fatto che Maria ha abbandonato la VFL Dice che Antonio Velardo era
un vagabondo in Capo Verde quando si sono conosciuti; che lui ha
messo tutto il denaro con cui hanno lanciato la loro società (1.1
milioni), che ha stipendiato Antonio per i primi tempi (L. 4.000 la
settimana) perché diceva che non aveva denaro proprio), da cui si
evince che il Velardo deve la sua fortuna “economica” all’incontro e

all’amicizia stretta col FITZSIMONS. Il contenuto delle conversazioni
sopra riportate dimostra, poi, e con estremo rigore, come tanto il
FITZSIMONS che il Velardo, fossero perfettamente consapevoli di
quello che loro stessi definivano, in modo atecnico ma piuttosto
significativo “riciclaggio” (FITZSIMONS); per non dire delle
affermazioni esplicite del Velardo secondo cui “i soldi devono arrivare
in Irlanda, poi ritornano in Italia, devono fare movimenti psicopatici”
(conv. n. 10 del 16.02.2009) e che, parlando col Cuppari (conv. n.
13268 del 29.05.2009), ha avuto modo di affermare che “alcuni
clienti pagano in Russia e quei soldi dovranno fare un giro particolare
Il

Peraltro,

quand’anche

si

volesse

superare

il

problema

dell’individuazione della provenienza del denaro reimpiegato
(alternativamente “imputato” a reati di criminalità organizzata, a
reati di terrorismo, reati in materia fiscale), nondimeno il reato
presupposto rimarrebbe privo di quella necessaria specificazione che
vieta contestazioni alternative e, tantomeno, ipotetiche.
Peraltro, se in ossequio alla giurisprudenza consolidata di questa
Corte, con riferimento all’accertamento del reato presupposto, la
prova del verificarsi del delitto che costituisce antecedente
necessario non presuppone un giudiziale accertamento, né
l’individuazione del responsabile, bastando che il fatto risulti
positivamente al giudice chiamato a conoscere del reato di cui agli
artt. 648, 648-bis, 648-ter cod. pen. ovvero essere delineato
nell’imputazione ed accertato in esito al processo anche solo per
sommi capi quanto alle esatte modalità di commissione (cfr., Cass.,
Sez. 2, n. 36913 del 28/09/2011-dep. 13/10/2011, Lopalco, rv.
251151; Cass. n. 36940 del 21/05/2008-dep. 26/09/2008, Magnera,
rv. 241581), è altrettanto vero che – pur in presenza di una
condivisibile e consolidata “tolleranza” interpretativa – resti

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comunque indispensabile che il delitto presupposto risulti almeno
astrattamente configurabile (Cass., Sez. 5, n. 495 del 15/10/2008dep. 09/01/2009, Argiri Carrubba, rv. 242374) ed individuato quantomeno – in ordine alla sua tipologia ed alle coordinate (non
solo temporali) atte a tratteggiarlo: ciò non si verifica allorquando il
giudice si limiti semplicemente ad ipotizzare l’esistenza del reato
presupposto, sulla base del carattere sospetto delle operazioni di una

non meglio precisata precedente attività delittuosa.
Nella fattispecie, non solo non risulta raggiunta la soglia
dell’accertamento giudiziale del reato presupposto né risulta
nemmeno indicato (nei limiti sopra precisati) il genus dell’illecito
presupposto, ma nemmeno risulta integrato il “sospetto
amministrativo” di riciclaggio, ossia quella particolare situazione che
– ai sensi dell’art. 41 d.lvo n. 231/2007 – impone ai destinatari della
disciplina antiriciclaggio, la segnalazione dell’operazione sospetta di
riciclaggio-reimpiego all’UIF.
Ma non solo. Nessuna indicazione fornisce il Tribunale di Reggio
Calabria sugli elementi in base ai quali ritiene che il FITZSIMONS
avesse realizzato in territorio estero (verosimilmente, ma non
sicuramente, in Irlanda) un illecito penalmente rilevante per lo Stato
estero e se l’illecito fiscale sia stato commesso da altri o dallo stesso
ricorrente. A questo riguardo, evidente appare l’errore del Tribunale
di Reggio Calabria che non sembra considerare il c.d. “privilegio di
autoriciclaggio” di cui

all’incipit dell’art. 648-ter cod. pen. che

esclude da sanzione penale il soggetto che realizza condotte di
reimpiego (nonché riciclaggio e ricettazione) su utilità provenienti da
delitto presupposto dal medesimo commesso.
Inoltre, sempre nel provvedimento impugnato, non vengono citati a
carico del FITZSIMONS elementi che, con ragionamento immune da
vizi, possano consentire di dedurre la provenienza illecita del denaro
nella disponibilità del medesimo. Invero, l’unico elemento che si
rinviene – esposto anche nel provvedimento impositivo della misura
in atto – coincide esclusivamente con il riferimento ad una condanna
riportata dal FITZSIMONS quarant’anni fa per fatti legati a contiguità
con l’I.R.A. irlandese; né il Tribunale di Reggio Calabria opera
valutazioni sulla coerenza tra la disponibilità di denaro da parte del
FITZSIMONS e le attività lavorative ed imprenditoriali svolte da

13

questi negli ultimi quarant’anni.
12. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come il provvedimento
impugnato ricostruisca il delitto contestato al prevenuto in termini
così sfumati e generici in relazione all’individuazione del delitto
presupposto – avendo proceduto a riferirsi a mere ipotesi di reato
sfornite da connotazione materiale e, al contempo, di qualificazione
giuridica – da concretare il vizio di omessa ed erronea motivazione

pen., cui segue l’annullamento del provvedimento impugnato con
rinvio al medesimo Tribunale, in altra composizione, per nuovo
esame.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen..

PQM

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Reggio
Calabria per nuovo esame.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deliberato in Roma 1’11.12.2013

sui punti sopra evidenziati, ex art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc.

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