Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5537 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5537 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
DELL’OVO Massimo, nato a Napoli il 2.7.1974;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna del 15.2.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Massimo Galli, che
ha concluso per l’annullamento senza rinvio limitatamente al reato di cui
al capo B perché il fatto non sussiste e rigetto nel resto;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28.6.2012, il Tribunale di Ravenna dichiarò Dell’Ovo
Massimo responsabile dei delitti di rapina, tentata rapina e lesioni
personali nei confronti delle addette ad alcuni esercizi commerciali e,
unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, concesse le attenuanti
generiche, lo condannò alla pena di anni 2 mesi 4 di reclusione ed € 600
di multa.

Data Udienza: 16/01/2014

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame, ma la Corte di
Appello di Bologna, con sentenza del 15.2.2013, confermò la decisione di
primo grado.
Ricorre per cassazione personalmente l’indagato deducendo:
1) la violazione dell’art. 628, comma 3,

cod. pen., nonché la

mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza

aggravata dall’uso dell’arma, non potendosi – suo dire – definirsi tale una
chiave per serrature;
2) la violazione degli artt. 582, 585 in relazione all’art. 576 n. 1 cod.
pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione
della sentenza impugnata, sia con riferimento alla ritenuta sussistenza
dell’elemento materiale del delitto di lesioni (non essendo stato refertata
a Greco Anna alcuna patologia obiettiva, ma solo un’ansia reattiva), sia
con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del
reato, che – a dire del ricorrente – sarebbe invece del tutto insussistente;
3) la violazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen., nonché la mancanza,
contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza impugnata,
con riferimento alla mancata concessione dell’attenuante del danno
patrimoniale di speciale tenuità, essendo stato sottratta, con la rapina
consumata, solo una banconota da 5 euro;
4) la violazione dell’art. 62 n. 6 cod. pen., nonché la mancanza,
contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza impugnata,
con riferimento alla mancata concessione dell’attenuante del risarcimento
del danno, nonostante la lettera di scuse e il vaglia postale per l’importo
di C 100 inviato a ciascuna delle pp.00.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
2. Infondato è il primo motivo di ricorso col quale si lamenta l’errore
cui sarebbero caduti i giudici di merito nel qualificare “arma” la chiave per
serratura con la quale è stata posta in essere la minaccia in danno delle
pp.00.

2

impugnata, con riferimento alla ritenuta sussistenza della minaccia

Invero, costituiscono armi improprie, ai sensi dell’art. 4, secondo
comma legge n. 110 del 1975, gli oggetti che, pur avendo una diversa e
specifica destinazione (come strumenti di lavoro oppure di uso
domestico, agricolo, scientifico, industriale o simile), possono tuttavia
occasionalmente servire, per caratteristiche strutturali o in riferimento a
determinate circostanze di tempo e di luogo, all’offesa della persona (cfr.

certamente anche una chiave per serrature blindate, lunga cm. 11, che
ben può essere utilizzata – come risulta aver fatto l’imputato – per
l’offesa della persona.
3. Gli altri motivi di ricorso costituiscono mera riproposizione dei
motivi di appello, già rigettati dalla Corte territoriale con motivazione
esaustiva e priva di vizi logici.
La Corte di Appello ha puntualmente risposto in ordine alla
configurabilità del delitto di lesioni personali (rilevando correttamente che
va qualificata come malattia l’ansia reattiva che impedisce alla persona di
attendere alle ordinarie occupazioni), in ordine alla mancata concessione
dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (spiegando
come l’imputato non si sia appropriato solo di una banconota da 5 euro,
ma anche di due telefoni cellulari e puntasse – senza riuscirci – ad
appropriarsi di tutto il contenuto della cassa), in ordine alla mancata
concessione dell’attenuante del risarcimento del danno (spiegando come
l’offerta di € 100 alle vittime, offerta peraltro rifiutata, non fosse in grado
di risarcire tutto il danno, anche morale, patito dalle pp.00.).
Gli argomenti svolti dalla Corte territoriale sono immuni da vizi logici
e giuridici, risultando così insindacabili in sede di legittimità.
E peraltro, il ricorrente non ha preso neppure in esame – con la
dovuta puntualità – gli argomenti esposti dalla Corte di Appello nella
sentenza impugnata per criticarli, limitandosi a censure del tutto
generiche, che perciò, anche sotto questo profilo, risultano inammissibili.
4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

3

Cass., Sez. 1, 23/10/1984 n. 10832 Rv. 166960). Tra questi rientra

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 16 gennaio 2014.

processuali.

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