Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5534 del 16/01/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 5534 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 16/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di MONACO Vincenzo, n. a Matera il
5.8.1948, rappresentato e assistito dall’avv. Bruno Oliva avverso la
sentenza n. 230/2012 della Corte d’Appello di Potenza, in data
23.11.2012;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Massimo
Galli, il quale ha concluso chiedendo pronuncia di annullamento senza
rinvio perché il fatto non costituisce reato, sentita la discussione della
difesa del ricorrente avv. Vincenzo Comi, comparso in sostituzione
dell’avv. Bruno Oliva, che ha concluso chiedendo l’annullamento della
sentenza impugnata con ogni provvedimento conseguente.

1

RITENUTO IN FATTO

1. Con la pronuncia impugnata, la Corte d’Appello di Potenza, in
riforma della sentenza pronunciata dal Giudice monocratico presso
il Tribunale di Matera in data 31.10.2011, dichiarava MONACO
Vincenzo responsabile del reato di cui agli artt. 646, comma 3, 61
n. 11 cod. pen. e lo condannava alla pena di mesi tre di reclusione

ed euro 300,00 di multa.
Secondo l’Accusa, il MONACO, al fine di procurare a sé o ad altri
un ingiusto profitto, si appropriava dell’autovettura aziendale Alfa
Romeo 166 tg. BH 920 AZ di proprietà della società denominata
“Centrotermico” sita in Matera alla via 1° Maggio n. 33, società
dalla quale il MONACO, con ordinanza del Tribunale di Matera in
data 30.10.2003, era stato escluso come socio (in Matera in corso
al 06.10.2004, data della comunicazione della notizia di reato alla
Procura della Repubblica di Matera, querela del 23.07.2004).
2. Avverso tale sentenza, MONACO Vincenzo proponeva ricorso per
cassazione deducendo ed eccependo:
-la violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen. con
riferimento agli artt. 517 e 521 cod. proc. pen. in relazione alla
ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61
n. 11 cod. pen. (primo motivo);
-la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. con
riferimento agli artt. 646, 61 n. 11 cod. pen. in relazione
all’intenzione di impadronirsi della cosa di proprietà altrui
(secondo motivo);
-la violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen. con
riferimento all’art. 124 cod. proc. pen. in relazione all’art. 646
cod. pen. in ordine alla tardività della querela (terzo motivo);
-la violazione dell’art. 606 lett. b), c) ed e) con riferimento agli
artt. 163 cod. pen. e 597 cod. proc. pen. in relazione alla mancata
concessione della sospensione condizionale della pena (quarto
motivo).
Con riferimento al primo motivo, evidenziava il ricorrente come il
giudizio di secondo grado veniva introdotto a seguito del duplice
atto di impugnazione proposto dal Procuratore Generale presso la
Corte d’Appello di Potenza e dalla parte civile (ricorso,

2

quest’ultimo, dichiarato inammissibile), in virtù del quale, il
Pubblico Ministero si doleva della sentenza di proscioglimento
emessa dal giudice di prime cure sulla base della ritenuta tardività
della querela sporta in danno del MONACO. La Corte d’Appello di
Potenza, pur condividendo le ragioni rassegnate dall’appellante in
ordine all’individuazione del momento a partire dal quale si
sarebbe dovuto computare il termine per proporre querela,

riteneva tale aspetto superfluo ed ultroneo, ravvisando nella
fattispecie un reato (appropriazione indebita) procedibile d’ufficio
in presenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen..
A detta del ricorrente, l’interpretazione addotta dalla Corte
d’Appello di Potenza risulta resa in violazione degli artt. 517 e 521
cod. proc. pen., in quanto, se è vero che non risulta necessario
che le circostanze aggravanti debbano essere contestate con
specifica indicazione delle norme che le contemplano o con
esplicita descrizione della formulazione dell’imputazione, è altresì
vero che non si può né si deve prescindere dalla necessità che le
circostanze che integrano la sussistenza delle aggravanti debbano
essere indicate in modo preciso affinchè l’imputato possa avere
chiara cognizione, ai fini della sua difesa, di ciò che gli viene
contestato: tali principi non risultano rispettati dalla lettura
dell’imputazione nella quale, al di là dell’indicazione della proprietà
dell’autovettura

assertivamente

oggetto

della

condotta

appropriativa in capo alla società, vi è un aspecifico riferimento ad
una pronuncia del giudice civile di esclusione dalla qualità di socio
in data 30.10.2003, in assenza di qualsiasi altro elemento di fatto
in grado di istituire una relazione tra l’imputato e l’autovettura in
un momento storico precedente quel provvedimento di esclusione.
Con riferimento al secondo motivo, lamenta il ricorrente come la
Corte d’Appello di Potenza abbia ritenuto che la prova del reato
addebitato al MONACO risieda nel fatto che costui non aveva mai
restituito l’autovettura sebbene gli fossero state rivolte dalla
società

proprietaria

dell’automezzo apposite

richieste e

nonostante l’imputato avesse provveduto alla restituzione in
favore della società di altri oggetti in suo possesso. Aggiungono i
giudici di secondo grado che tra il MONACO e la società vi era
stata una disputa in relazione a talune cose che reciprocamente le

3

parti avrebbero dovuto restituirsi tanto che il MONACO “a fronte
della dichiarazione di disponibilità alla consegna della vettura,
condizionata ad analoga consegna degli oggetti di sua pertinenza,
giammai ebbe a riconsegnare l’autovettura stessa”. Trattasi, a
detta del ricorrente, di motivazione se non apertamente
contraddittoria, persino assertiva della insussistenza del reato
ascritto all’imputato manifestando l’assenza di una volontà

finalizzata ad appropriarsi dell’autovettura, disponendo della
stessa come se il ricorrente ne fosse il proprietario: non si realizza
infatti il delitto di appropriazione indebita quando l’omessa
restituzione, piuttosto che ricollegarsi oggettivamente ad un atto
di disposizione uti dominus e soggettivamente alla volontà di
convertire il possesso in proprietà, si apprezzi invece quale
ritenzione precaria, posta in essere quale forma di garanzia di un
preteso diritto di credito trattenendo e conservando la cosa a
disposizione del proprietario e subordinando la restituzione del
bene all’adempimento della prestazione alla quale si ritiene essere
obbligato il proprietario medesimo.
Con riferimento al terzo motivo, lamenta il ricorrente come, ferma
l’esclusione della ritenuta circostanza aggravante per le ragioni
dinanzi esposte, la querela sporta doveva ritenersi tardiva. A
fronte della corretta decisione del Giudice monocratico del
Tribunale di Matera che aveva ritenuto che la consumazione del
reato doveva farsi datare dal 30.10.2003 (epoca in cui il Tribunale
civile di Matera aveva escluso il MONACO dalla compagine
sociale), talchè la presentazione della querela il 23.07.2004
doveva ritenersi tardiva, il Procuratore generale presso la Corte
d’Appello di Potenza aveva spostato in avanti tale momento
ritenendo (senza tuttavia individuarlo) che il termine dovesse farsi
decorrere dalla data di conoscenza da parte della persona offesa
dell’avvenuta interversione del possesso, della cui esatta
dimostrazione si sarebbe dovuto fare carico l’imputato deducente.
Tale onere la difesa dell’imputato aveva puntualmente assolto
producendo a dibattimento l’atto di diffida stragiudiziale del
30.04.2004 a firma dell’avv. Calicchio, legale della Centrotermico
snc, del seguente letterale tenore “(si) diffida formalmente il
signor Monaco Vincenzo … a procedere alla immediata restituzione

4

della autovettura Alfa Romeo 166 tg. BH920AZ di proprietà della
Centrotermico, ed arbitrariamente ed illegittimamente sino ad
oggi utilizzata dal signor Monaco, pur essendo stato questi già
diffidato formalmente alla restituzione dell’autovettura specificata
con precedente raccomandata a.r. nonché con successiva
comunicazione inviata in Questura in data 25.02.2004”. Era quindi
a questa data del 25.02.2004 che doveva fissarsi l’inizio del

termine trimestrale per la proposizione dell’atto di querela,
termine che al 25.05.2004 doveva ritenersi già spirato.
Con riferimento al quarto motivo, lamenta il ricorrente come la
Corte d’Appello di Potenza avesse negato all’imputato il beneficio
della sospensione condizionale della pena. In particolare, se era
vero che nessuna richiesta subordinata (contenente la
concessione della sospensione condizionale della pena) era stata
formulata in sede di conclusioni nel giudizio di secondo grado (così
come nel primo), era altresì vero che, atteso il totale stato di
incensuratezza dell’imputato ed essendo stata comminata una
pena detentiva di non poco conto, non poteva ritenersi che la
mancata concessione di tale beneficio fosse stata operata a
vantaggio dell’imputato, nella prospettiva che questi avrebbe
preferito l’espiazione della pena attraverso le misure alternative
alla detenzione: in ogni caso, stante il contrasto sul punto tra le
diverse Sezioni, si chiede che la questione venga rimessa alla
valutazione delle Sezioni Unite.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato ed impone l’annullamento della sentenza
impugnata per essere l’azione penale improcedibile per difetto di
querela.
4. Con riferimento al primo motivo, va rilevato come questa Corte
abbia più volte affermato che non è necessario che le circostanze
aggravanti vengano contestate con specifica indicazione delle
norme che le prevedono o con altra affermazione esplicita nella
formulazione delle imputazione (cfr., ex multis, Cass., Sez. 2, n.
14651 del 10/01/2013-dep. 28/03/2013, P.G. in proc. Chatbi, rv.
255793); ma, nel ritenere sufficiente la contestazione “in fatto”

5

dell’aggravante, questa Corte ha altresì rilevato come sia
comunque necessario che le circostanze integranti l’aggravante
siano indicate in modo preciso e tale che l’imputato possa avere
chiara cognizione, ai fini della sua difesa, di ciò che gli viene
contestato (cfr., Cass., Sez. 2, n. 47863 del 28/10/2003-dep.
15/12/2003, Ruggio, rv. 227076; Cass., Sez. 6, n. 40283 del
28/09/2012-dep. 12/10/2012, P.G. in proc. Diaji, rv. 253776).

Nel caso in esame non vi è stata contestazione esplicita della
aggravante che, peraltro, si dovrebbe desumere dalla descrizione
della modalità di condotta dell’imputato consistente nell’essersi
appropriato “dell’autovettura aziendale … di proprietà della società
Centrotermico … società della quale il Monaco, con ordinanza
emessa dal Tribunale di Matera in data 30 ottobre 2003 veniva
escluso dalla qualità di socio”. Appare evidente come la
contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 11)
cod. pen. avrebbe dovuto avere quale fondamento la disponibilità
dell’autovettura da parte del MONACO in costanza del rapporto
societario, condizione che avrebbe potuto agevolarlo nella
commissione del reato addebitatogli: ma una tale formulazione è
del tutto mancata né risulta obiettivamente ricavabile dal testo
della contestazione che, sul punto, pecca di assoluta genericità
per cui non può far comprendere la volontà della accusa di
contestare la aggravante in questione. Perciò, anche laddove si
dovesse ritenere integrata, in fatto, la aggravante in parola nel
tipo di condotta in contestazione, la modalità concreta di
formulazione della imputazione nei confronti di MONACO
Vincenzo, rende equivoca la contestazione ed incerti i termini
dell’accusa: da qui l’affermazione della mancanza – sia formale
che sostanziale – dell’aggravante erroneamente ritenuta dai
giudici d’appello.
5. L’assenza di una adeguata contestazione, non poteva pertanto far
ritenere applicabile la citata aggravante al fine di escludere la
punibilità a querela.
Nella fattispecie, tuttavia, la proposizione della condizione di
procedibilità è intervenuta tardivamente, come peraltro
riconosciuto anche dal giudice di primo grado non smentito sul
punto dal giudice d’appello che non aveva esaminato detta

6

questione avendo ritenuto la procedibilità ex officio per la ritenuta
ricorrenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod.
pen..
In ogni caso, rileva il Collegio come sia nell’ipotesi in cui aderendo alla valutazione operata dal giudice di primo grado – si
voglia far datare la consumazione del reato alla data del
30.10.2003, epoca in cui il Tribunale civile di Matera aveva

invece alla tesi difensiva – si volesse far decorrere il termine di
legge dal 25.2.2004, data della missiva di diffida alla restituzione,
alla data del 23.07.2004 – epoca in cui venne presentata la
querela – il termine trimestrale di cui all’art. 124 cod. pen.
risultava essere spirato, con conseguente improcedibilità
dell’azione penale.
6. L’accertamento della circostanza in parola, oltre a far ritenere
assorbiti e superati tutti i restanti profili di doglianza, impone
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata

PQM

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere l’azione penale
improcedibile per difetto di querela.
Così deliberato in Roma, in udienza pubblica del 16.1.2014

Il Consigliere estensore
Dott. Andrea Pellegrino

Il Presidente
Dot

nic 71r
k)e,Q2
-…..—

escluso dalla compagine sociale, sia nell’ipotesi in cui – aderendo

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA