Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5521 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5521 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAVALLO COSIMO N. IL 27/12/1979
avverso la sentenza n. 964/2011 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 19/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
. 12-14
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. T wekflo r ”
che ha concluso per ).ts 4Q
o
i AA.

Udito, per

sarte civile, l’Avv

Data Udienza: 22/10/2013

I

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Lecce, sez. Taranto, con la sentenza
indicata in epigrafe, ha confermato – per quanto in questa sede rileva
– la sentenza emessa dal Tribunale di Taranto in composizione
monocratica che, in data 18 aprile 2011, aveva dichiarato l’odierno
ricorrente colpevole di ricettazione e falso in relazione all’avvenuta

assegno di importo pari ad euro 380 provento di furto denunciato il 10
maggio 2006, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.

2.

Contro tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di un

difensore iscritto all’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per
cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – mancanza o manifesta illogicità della motivazione;
H – inosservanza od erronea applicazione degli artt. 648 e 485/491
c.p. per difetto di consapevolezza della provenienza delittuosa
dell’assegno e quindi carenza dell’elemento psicologico.

3.

All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità

degli avvisi di rito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e
questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato
mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile per genericità e per
manifesta infondatezza.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’ SULLA
MOTIVAZIONE
1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per
cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come
vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che,

ricezione e negoziazione con firma apocrifa dell’emittente di un

2
a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la
possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul
discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria
valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il
giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo

1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni
processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso
qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente
nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della
valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato
probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività
nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché
siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate
alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la
loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non
ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
1.1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione
dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Cass.
pen., Sez. I, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n.
234115; Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n.
249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b)

individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale

atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la _._.,
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;

2

convincimento.

3
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti
nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno

1.1.2.

dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella

giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del
ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte
Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in
unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione:
<<(...) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio»; la disposizione stabilisce attualmente, all'esito delle modifiche apportate dall'art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n. 134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione <<(...) 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione (introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità: <<(...) 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell'autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l'esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, 3 4 4 della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. II, sentenza 2 dicembre 2005, n. 26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n. Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che «la teoria dell'autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza), posto che anche in sede penale - in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato -deve ritenersi precluso a questa Corte l'esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso» (Sez. I, sentenza n. 16706 del 18 marzo - 22 aprile 2008, CED Cass. n. 240123; Sez. I, sentenza n. 6112 del 22 gennaio - 12 febbraio 2009, CED Cass. n. 243225; Sez. V, sentenza n. 11910 del 22 gennaio - 26 marzo 2010, CED Cass. n. 246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze; Sez. VI, sentenza n. 29263 dell' 8 - 26 luglio 2010, CED Cass. n. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e 4 14561, CED Cass. n. 623618). 5 non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso; Sez. II, sentenza n. 25315 del 20 marzo - 27 giugno 2012, CED Cass. n. 253073, per la quale in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l'omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l'atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione). In proposito, va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: <> (Sez. II, sentenza n. 31811 dell’8 maggio 2012, CED Cass.
n. 254329).
Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva

2.1. Infine, secondo altro consolidato e condivisibile orientamento di
questa Corte Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22
febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n.
34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è
inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga
pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al più con
l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente
assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata)
senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in
virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.

2.1.1. Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700
del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che

<>.
4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
«oltre ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art.
533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare
che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone,
ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione
di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è
permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha
una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in
precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed
ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di
questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10

12

usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle

13
luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel
testo novellato dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile
soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della
responsabilità dell’imputato (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 19575 del
21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. II, sentenza n. 16357 del 2
aprile 2008, CED Cass. n. 239795).
In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato

(Sez. II, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 – 13 febbraio 2013,
CED Cass. n. 254025) che «La previsione normativa della regola di

giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che trova fondamento
nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha
introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova
ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di
condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità
dell’imputato>>.

IL RICORSO
5. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno
ricorso.

5.1. Il primo motivo è generico.
Il difensore lamenta, infatti, mancanza o manifesta illogicità della
motivazione, con censura alternativa ed indifferenziata che risulta
priva della necessaria specificità, il che rende – di per sé – il ricorso in

parte qua inammissibile; inoltre, pone a corredo argomentativo della
doglianza un riepilogo di astratte massime giurisprudenziali, senza
operare alcuno specifico riferimento a passi della motivazione della
sentenza impugnata né,

a fortiori,

alle conseguenti

controargomentazioni in ipotesi ingiustificatamente disattese.

5.2. Per le stesse ragioni risulta generico anche il secondo motivo,
poiché in proposito il ricorrente si limita ad affermare che «non vi è
certezza in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo della
norma incriminatrice, inoltre non vi è stata prova del fatto che il
ricorrente conoscesse la provenienza delittuosa dell’assegno>>,

13

4

_

14
trascurando di considerare i rilievi in proposito operati dalla Corte di
appello (f. 4).

LE STATUIZIONI ACCESSORIE.
6. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai
sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché – apparendo evidente che egli ha proposto il

sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell’entità di dette,
colpk- della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende
a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 22 ottobre 2013.

ricorso determinando le cause di inammissibilità per colpa (Corte cost.,

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