Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5507 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5507 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE LUCA CARMINE N. IL 15/03/1964
avverso la sentenza n. 405/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
26/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

„–

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

V

Data Udienza: 22/10/2013

DE LUCA Carmine, imputato del delitto di cui agli artt. 110, 56, 629 IP
comma cp, 7 1. 203/91 ricorre per Cassazione avverso la sentenza
26.11.2012 con la quale la Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma
della decisione 5.10.2011 del Tribunale, a seguito dibattimento lo ha
condannato alla pena di anni quattro di reclusione e 800,00 E di multa,
dichiarandolo interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
La difesa dell’imputato chiede l’annullamento della sentenza impugnata
deducendo:
§1.) ex art. 606 P comma lett. B) ed E) cpp la violazione degli artt. 192 e
533 cpp, vizio di motivazione e omessa valutazione dei motivi di gravame,
perché la Corte d’Appello ha condannato l’imputato sulla sola prova della
ricognizione fotografica dell’imputato e del suo successivo riconoscimento
da parte della persona offesa.
La difesa lamenta altresì che la prova non presenterebbe caratteri di certezza
alla luce delle considerazioni espresse dalla persona offesa che sarebbe
incorsa in una situazione di autosuggestione.
§2.) ex art. 606 I^ comma lett. B) cpp, erronea applicazione dell’art. 7 1.
203/91, perché la condotta dell’imputato non presenta caratteri e modalità di
mafiosità, mancando ogni riferimento a gruppi mafiosi operanti nella zona,
nè tantomeno è provato che l’atto criminoso fosse orientato ad agevolare,
un’associazione criminale mafiosa operante nella zona.
§3.) ex art. 606 I^ comma lett. B) cpp, erronea applicazione dell’art. 99 cp.
In particolare la difesa sostiene che in relazione all’epoca di commissione
dei reati sulla cui base era stata contestata la recidiva, il giudice del merito
ben poteva escludere la suddetta circostanza aggravante e avrebbe dovuto
articolare adeguata motivazione in ordine ai criteri in base ai quali ha
stabilito l’entità della pena.
Nel corso dell’udienza si è costituita in giudizio la associazione
“Coordinamento Napoletano delle Associazioni Antiracket” che ha
depositato conclusioni scritte e nota delle spese.
RITENUTO IN FATTO
Dalla sentenza di primo grado (che può essere esaminata congiuntamente a
quella di appello, siccome da quest’ultima richiamata) integrandosi
vicendevolmente, siccome comuni i criteri di valutazione delle prove) si
evince che l’imputato è stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria per la
violazione dell’art. 629 cp a seguito di indagini svolte dalla Polizia
Giudiziaria in Napoli nella zona di C.so Garibaldi-Borgo Sant’Antonio
Abate- Piazza Carlo III in riferimento ad attività estorsiva posta in essere dal
Clan CONTINI. La polizia giudiziaria aveva infatti appurato che erano state
formulate richieste di denaro commercianti e ad imprese edili operanti nella
zona. In riferimento a queste ultime, la polizia giudiziaria accertava che una
richiesta estorsiva era stata fatta al titolare del contiene edile operante in v.
Pisacane 13. La polizia giudiziaria quindi accertava presso il titolare della

MOTIVI DELLA DECISIONE

RITENUTO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte d’Appello ha rinvenuto la prova della responsabilità penale
dell’imputato nelle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dagli atti di
individuazione fotografica e di riconoscimento personale, nonché dal
contenuto della deposizione testimoniale.
La Corte ha pertanto operato un’approfondita valutazione della prova
testimoniale, estendendo l’indagine anche ai tempi e alle modalità della’atto
di ricognizione. La motivazione è adeguata applicando il principio per il
quale nel caso in cui la prova della penale responsabilità sia desunta
esclusivamente dalle dichiarazioni delle persona offesa costituita parte
civile, il controllo di attendibilità di quest’ultima deve essere
particolarmente rigoroso anche se non sia indispensabile applicare le regole

impresa (CERASUOLO Lucio) che erano state formulate richieste estorsive
e procedeva quindi alla ricognizione fotografico dell’imputato che veniva
riconosciuto anche “de visu”. Dall’attività di indagine e dalla ricostruzione
della vicenda effettuata nel corso dell’istruttoria risulta ancora che
l’imputato era aduso alla frequentazione con esponenti di spicco del clan
CONTINI e che la richiesta estorsiva era stata formulata dall’imputato,
spalleggiato da altra persona presente e non identificata, pronunciando la
frase “qui si paga” accompagnata dal gesto della spinta esercitata all’altezza
delle spalle della persona offesa, con contestuale intimazione di procedere
alla chiusura del cantiere quel giorno stesso.
Il Tribunale, ritenuto credibile la persona offesa, sufficiente l’atto di
ricognizione fotografica e personale, l’oggettiva esistenza di un legame fra
l’imputato e il clan CONTINI desumibile se non altro dalla frequentazione
accertata in plurimi controlli di polizia [pag. 7 della sentenza del Tribunale],
rilevato che il fatto estorsivo è stato effettuato all’interno del territorio
sottoposto al controllo del clan CONTINI e che le modalità delle stesse
erano da ritenersi “mafiose” per il concreto atteggiarsi, dichiarava la penale
responsabilità dell’imputato condannandolo alla pena di anni sei di
reclusione.
La difesa dell’imputato impugnava la suddetta sentenza sostenendo: 1)
l’estraneità dell’imputato al fatto, non essendo sufficiente la prova della
ricognizione che presentava margini di incertezza; 2) la mancanza degli
elementi di fatto integrativi dell’aggravante ex art. 7 1. 203/91; 3) la
eccessività della pena, ben potendo essere esclusa la recidiva tenendo conto
della risalenza nel tempo dei precedenti penali.
La Corte d’Appello, respingendo tutti i motivi di impugnazione con
eccezione di quello relativo alla entità del trattamento sanzionatorio,
confermava la penale responsabilità dell’imputato condannandolo alla minor
pena di di ani quattro di reclusione e 800,00 € di multa, applicando la
sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni
cinque, la condanna al pagamento delle spese processuali e la rifusione di
quelle sostenute dalla parte civile costituita in giudizio.

probatorie previste dall’art. 192 commi terzo e quarto [Cass. Sez. VI
3.6.2004 n. 33162 in Ced cass. Rv. 229755; Cass. Sez. I 24.6.2010 n.
29372], essendo solo confinato a mera eventuale necessità la ricerca di
riscontri esterni che, nel caso in esame la Corte territoriale non ha ritenuto di
effettuare.
Dalla motivazione della sentenza impugnata si evince che la polizia
giudiziaria ha investigato il fatto criminoso operando di ufficio a seguito di
segnalazione proveniente da fonte confidenziale e non per iniziativa della
parte offesa. Ciò costituisce ulteriore elemento di apprezzamento della
condotta processuale della persona offesa, lacuale ha rivelato i fatti per i
quali è processo solo a seguito di specifica convocazione da parte della
polizia giudiziaria e non per iniziativa propria, circostanza quest’ultima
indicativa dell’inesistenza di motivi di astio personale della persona offesa
verso l’imputato.
La motivazione sul punto della credibilità della persona offesa è pertanto
adeguata e sfugge alle censure mosse.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, il collegio osserva che la
Corte d’Appello ha affrontato la doglianza formulata dalla difesa in ordine
alla sussistenza degli elementi propri della circostanza aggravante di cui
all’art 7. L. 203/91, affermando che le modalità della minaccia estorsiva,
(contenente uno specifico richiamo alla realtà territoriale) e l’intimazione di
immediata sospensione dei lavori edili in corso con la chiusura del cantiere,
costituiscono una condotta capace ad incutere alla persona offesa non solo la
“costrizione estorsiva”, ma anche l’evocazione della reale esistenza di una
realtà mafiosa operante in zona, siccome formulata in un ambiente
connotato da un’oggettiva presenza di clan camorristici specificatamente
individuati nella loro operatività territoriale. I giudizi espressi dalla Corte
territoriale impongono ad aspetti di merito il cui sindacato sfugge al
giudizio di legittimità; da un punto di vista di diritto si deve affermare che la
circostanza aggravante di cui all’art. 7 1. 203/91 ricorre nella sua forma
soggettiva (uso del metodo mafioso) quando la minaccia, per la sua
manifestazione e per le modalità, sia evocative dell’ organizzazione mafiosa
operante nella zona. Nel caso in esame colui che ha formulato la richiesta
estorsiva ha sottolineato l’obbligatorietà del pagamento con riferimento alla
zona profferendo la frase “qui si paga” e nel contempo ha agito con tipica
iattanza mafiosa quale l’imposizione della chiusura del cantiere edile e
l’interruzione dei lavori, nell’attesa del pagamento del c.d. “pizzo”.
Le motivazioni della Corte d’Appello, sul punto devono ritenersi integrate
dalla altrettanto perspicua motivazione resa nella decisione del Tribunale, ed
è evidente che l’azione dell’imputato deve essere valutata e apprezzata per
la modalità del suo estrinsecarsi anche in riferimento al luogo e all’ambito
territoriale in cui essa è stata compiuta.
L’imputato ha infatti agito con metodo “operativo” tipico, all’interno di un
territorio sottoposto a controllo di uno specifico e ben individuato clan
mafioso, con il quale l’imputato aveva evidenti plurimi contatti.
A confutazione delle argomentazioni difensive va altresì rilevato che i
giudice di merito hanno posto in evidenza la circostanza che la persona

Per le suddette ragioni il ricorso deve essere rigettato e l’imputato va
condannato al pagamento delle spese processuali.
L’imputato deve essere altresì condannato alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile nel presente grado di giudizio e che vanno
liquidate in complessive € 3.500,00 oltre Iva e Cpa.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte
civile COORDINAMENTO NAPOLETANO DELLE ASSOCIAZIONI
ANTIRACKET e che liquida in € 3.500,00 oltre Iva e cpa.

Così deciso in Roma il 22.10.2013

offesa, pur vittima del reato, non ha sporto denuncia, rivelando i fatti alla
polizia giudiziaria solo dopo essere stato convocato negli uffici di polizia.
Tale condotta della persona offesa costituisce indubbiamente effetto di
intimidazione derivante dalla sicura percezione che il latore della minaccia
(per il modo di agire, per l’ambiente e per l’iniziativa assunta) non può che
essere persona legata ad un clan mafioso operante nella zona, che altrimenti
non avrebbe agito.
La motivazione sul punto è adeguata e non è sindacabile nel merito.
Il terzo motivo è manifestamente infondato. Contrariamente a quanto
affermato dalla difesa, la Corte d’Appello ha reso motivazione esaustiva
con riferimento alle ragioni poste a base della giustificazione della mancata
esclusione della recidiva e della modalità di determinazione della pena. Le
censure della difesa sono generiche non essendo state fornite neppure
indicazioni in ordine alla natura e al tempo della commissione dei fatti
costituente precedente penale.

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