Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5501 del 09/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5501 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: TADDEI MARGHERITA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Rolando Adele, nata a Pescara il 25.9.1960
avverso la sentenza n.780/2012 della Corte d’appello di L’Aquila,datata 14.3.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Margherita B. Taddei;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
generale, Vito D’Ambrosio , che ha concluso chiedendo la dichiarazione di
inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe , la Corte di appello di L’Aquila, in parziale
riforma della sentenza di condanna , in data 10/1/2011, del Tribunale di Pescara,
rideterminava la pena inflitta a Rolando Adele ,in mesi 4 di reclusione ed euro 200
di multa sostituendo la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria della
multa pari ad euro 4.760 , in relazione al reato
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Data Udienza: 09/10/2013

p. e p. dall’art 640 cod.pen. perché inducendo in errore Di Rodolfo Franca, con artifici e
raggiri consistiti nel cedere a quest’ultima la propria azienda di gioielleria , completa di
tutti gli arredi ed attrezzature ivi presenti, tacendo che parte dei predetti arredi era
sottoposta a pignoramento in forza di procedure da parte di più A.G., si era procurata a
danno della persona offesa, ingiusto profitto consistente in un maggior valore del prezzo
di vendita .In Pescara il 18.11.2005

1.1 I fatti, riassunti nel prologo della sentenza impugnata e nello stesso ricorso , per
Con atto per notaio Marra del 18-11-2005, Rolando Adele cedeva la propria
attività commerciale di gioielleria a Di Ridolfo Franca per il prezzo pattuito
di € 25.000,00, dei quali € 22.000,00 per l’avviamento commerciale ed i restanti €
3.000,00 ” per attrezzature ed arredi calcolati a forfait “. Nell’atto pubblico, al punto 7
, era stato pattuito che ” rimarranno anno di competenza esclusiva della parte
cedente i debiti ed i crediti comunque riconducibili ad operazioni anteriori alla
data di cessione, anche se dovessero emergere successivamente “. Il corrispettivo
era stato versato alla venditrice parte in contanti e parte a mezzo di n. 4 assegni
bancari dell’importo nominale di € 5.000,00 ciascuno, da negoziare mensilmente dal
febbraio al maggio 2006. Mentre il primo titolo era stato regolarmente incassato
il 15-22006, i tre successivi assegni erano stati oggetto di sequestro
probatorio disposto dalla Procura della Repubblica di Pescara con decreto del
31-3-2006, perché la Di Ridolfo, avendo avuto notizia che parte degli arredi del
negozio era oggetto di pignoramento mobiliare, aveva sporto denuncia-querela nei
confronti della Rolando, chiedendo il sequestro dei titoli.
La permanenza del sequestro , lungamente osteggiato , nelle forme procedurali,
senza successo,dalla Rolando, che nel frattempo aveva provveduto ad estinguere le
sue posizioni debitorie, avevano consentito alla controparte di non versare il prezzo
pattuito per la cessione dell’azienda, pur avendone mantenuto la proprietà e la
gestione. Quanto all’acquirente ,la Di Ridolfo, dopo aver conseguito il vantaggio
portato dallo sfruttamento dell’azienda in difetto del pagamento della sua
cessione, aveva anche ceduto l’attività aziendale, pur non avendo ancora
versato il prezzo dell’acquisto.Solo in data 1-10-2007, il Tribunale del riesame
aveva disposto il dissequestro dei tre assegni bancari e la restituzione alla
Rolando Adele; ma i titoli erano risultati privi di provvista.
1.2 Tanto premesso, avverso la sentenza su citata propone ricorso il difensore di
fiducia dell’imputata, chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo:

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sommi capi sono i seguenti:

a)

Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme

giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale in
relazione all’art. 606, comma I, lett. b) C.p.p., violazione dell’art. 640 C.P.,
omesso esame, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione in relazione all’art. 606, comma I, lett. e) C.p.p.. I giudici di merito,
nei fatti ricostruiti non hanno individuato l’ingiusto profitto ed il danno che
qualificano la fattispecie della truffa, con la conseguenza che il fatto contestato è
giurisprudenziale fissato dalla Corte di legittimità con la sentenza n.12027 del 1997
e lo ha applicato al caso in esame , anche se in tali fatti , non sono ravvisabili
raggiri o danno. L’imputata ,infatti, non ha mai percepito i soldi della vendita,
perché i tre assegni da € 5.000,00 ciascuno sono stati sequestrati ed ha
provveduto a liberare dalle procedure esecutive tutti i beni relativi all’azienda
ceduta. La decisione impugnata ,inoltre, si pone in contrasto con i principi stabili
dalla Corte di legittimità che ha affermato che la truffa è reato istantaneo e di danno

b)

Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme

giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale in relazione
all’art. 606, comma I, lett. b) C.p.p., Violazione dell’art. 640 C.P.; Omesso esame,
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione
all’art. 606, comma I, lett. e) C.p.p. La Corte d’appello,inoltre, non ha esaminato il
motivo di ricorso che lamentava la carenza di motivazione in ordine all’elemento
soggettivo del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
2.1 E’ affermazione non controversa nella giurisprudenza di legittimità ,che due
sono gli elementi che integrano la fattispecie della truffa : la realizzazione da parte
dell’autore della condotta decettiva e un’effettiva deminutio patrimonii, intesa in
senso strettamente economico, del soggetto passivo.Entrambi tali elementi non
sono correttamente delineati nell’impugnata sentenza.
2.2 Quanto alla natura,i1 reato di truffa si atteggia come reato istantaneo e di
danno al patrimonio: esso,pertanto, si perfeziona nel momento stesso in cui si
concretano tutti gli elementi che lo costituiscono e a differenza di altre ipotesi
criminose che pure offendono il patrimonio, per le quali basta una situazione di
pericolo, l’evento consumativo risulta esplicitamente tipizzato in forma di

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privo di rilevanza penale. Sul punto la Corte di merito ha frainteso il principio

conseguimento del profitto con il danno altrui, elementi dell’arricchimento e del
depauperamento che sono collegati contestualmente tra loro in modo da costituire
concettualmente due aspetti di un’unica realtà.
E’ stato opportunamente affermato da questa Corte che :” Essendo la truffa, quanto

alla collocazione sistematica della disposizione incriminatrice nel titolo XIII del libro II del
codice penale e all’oggettività giuridica tutelata, delitto contro il patrimonio mediante .frode,
mentre il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sè qualsiasi utilità, incremento o

proprio in virtù dell’evento consumativo che caratterizza tipicamente la realizzazione della
fattispecie criminosa, deve avere necessario contenuto patrimoniale ed economico,
consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l’effetto di produrre mediante la “cooperazione artificiosa della vittima” che, indotta in errore dall’inganno ordito
dall’autore del reato, compie l’atto di disposizione – la perdita definitiva del bene da parte
della stessa. … “e , per ciò che attiene alla truffa contrattuale, che : ” … l’opportunità di
agganciare in modo rigoroso al verificarsi di un danno economico-patrimoniale la
repressione penale di comportamenti che ledono la libertà negoziale consente di limitare
l’area dell’intervento penale rispetto a quella del diritto civile.L’opposta opinione, tendendo a
trasformare il delitto di truffa, contro la lettera e la chiara voluntas legis, in reato di attentato
alla sola libertà di consenso della vittima nei negozi patrimoniali e di mero pericolo per
l’integrità del patrimonio di questa, opera in realtà un’inammissibile dilatazione dell’ambito
di applicazione della norma incriminatrice, la quale, invece, espressamente richiede uno
specifico ed effettivo danno di indole patrimoniale, ovvero un reale depauperamento
economico del soggetto passivo del reato, nella forma del danno emergente o del lucro
cessante.” (SS.UU. n.1 /1998 rv 212080)
2.3 Il chiaro insegnamento di questa Corte , condiviso e fatto proprio da questo
collegio, consente di individuare l’erronea affermazione insita nel giudizio della
Corte di merito.La Corte di merito ha affermato : “E’, dunque, irrilevante, ai fini

che qui interessano, il fatto che, in ipotesi, sia stato pagato, magari, il giusto
corrispettivo per una controprestazione effettivamente fornita all’acquirente ( che,
poi, per circa un anno e mezzo, ha esercitato, di fatto, l’attività ceduta ), dato
che l’illecito si è, comunque, realizzato per il solo fatto che la parte acquirente è, in
concreto, addivenuta alla stipula di un contratto che, senza l’artificio o raggiro
consistente nell’aver la venditrice taciuto dei pignoramenti gravanti sugli arredi
venduti, l’acquirente medesima non avrebbe inteso concludere o avrebbe inteso
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vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l’elemento del danno,

concludere a condizioni sicuramente più vantaggiose, in termini di
controprestazione ( prezzo complessivo da corrispondere ). Ingiusto profitto e
danno sono costituiti dal vantaggio e, rispettivamente, dal pregiudizio derivanti
alle parti dalla stipula stessa del contratto fatta su presupposti di conoscenza
della realtà dei fatti ( da parte dell’acquirente ) erronei, perché frutto del
silenzio serbato dalla parte venditrice. Del pari, alla luce di quanto appena
spiegato, irrilevante ed indifferente è sia il fatto che, in concreto, la venditrice
carico sugli arredi venduti, sia il fatto che nel contratto fosse stato previsto
espressamente che ”

i debiti e i crediti comunque riconducibili ad

operazioni anteriori alla data di cessione, anche se dovessero emergere
successivamente, rimarranno di competenza della cedente “.Infatti, si tratta,

nel primo caso, di un post factum, e, nel secondo caso, comunque di una
clausola che, agli occhi dell’acquirente reso volutamente ignaro dell’esistenza
dei pignoramenti, può essere apparsa come una mera clausola di stile, ma non
ancorata ad una effettiva realtà negativa, realtà che, viceversa, era stata
taciuta; in altri termini, l’esistenza di detta clausola in presenza del silenzio
serbato sulla effettiva e già attuale esistenza dei pignoramenti non esclude
la sussistenza del reato e la penale responsabilità dell’imputata, posto che
quello che rileva ( ed ha rilevato, di fatto, stando anche alle dichiarazioni della
persona offesa e del marito ) è che la persona offesa, in ogni caso, qualora avesse
saputo dell’esistenza, già in partenza, dei pignoramenti ( e non di debiti prospettati
come meramente eventuali ), non avrebbe proprio e comunque inteso concludere il
contratto ( e, quindi, non avrebbe, oltretutto, corrisposto buona parte del prezzo
concordato ) o avrebbe inteso concluderlo a condizioni di prezzo più
favorevoli.
2.4 Rileva il collegio che ,nell’interpretazione dei fatti, la Corte non
abbia adeguatamente tenuto in considerazione che la truffa, anche
nell’accezione di truffa contrattuale, è reato istantaneo e che gli
elementi di tale reato vanno individuati alla momento della stipula del
negozio e della costituzione del regolamento contrattuale.
2.5 Non si ritiene ,pertanto, logicamente congruo affermare che la
clausola che esonera la controparte dai debiti dell’impresa contratti
prima della cessione dell’azienda debba e possa essere rivisitata solo
dal punto di vista dell’acquirente e non anche da quello del venditore.

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abbia estinto, dopo la stipula del contratto, tutte le posizioni di debito a suo

E’ di tutta evidenza che se, come afferma la Corte la decettività del
comportamento del venditore può essere individuata nell’aver taciuto,
in sede di stipula dell’accordo contrattuale,

che vi erano già dei

debitori , deve necessariamente essere valutata , sempre nella
prospettiva del venditore ,che in quella stessa sede, fu stipulata la
clausola di esonero di responsabilità per debiti pregressi posto che in
termini logici questo esonero rileva per l’elemento soggettivo e
coloritura truffaldina che avrebbe animato la condotta del venditore.
2.6 Senza tralasciare i vizi che inficiano la ricostruzione dell’aspetto del
danno , che pure non è stato configurato in termini reali ed effettivi, ma
solo astratti ed ipotetici, in contrasto con l’insegnamento di questa
Corte,sicchè nella fattispecie in esame manca uno degli elementi
costitutivi del reato, pregiudiziale è tuttavia

che venga restituita

all’interpretazione del contratto , la centralità che gli conviene , negli
elementi di fatto

costitutivi della fattispecie di reato di truffa

contrattuale e che,invece, gli è stata negata dalla Corte di merito.
Riguardando la vicenda alla luce del regolamento contrattuale , la
volontà di tacere l’esistenza di debiti ed le relative caratteristiche e
l’inserimento della specifica clausola di esonero per debiti pregressi e
l’obbligazione di tener

al riparo controparte da evenienze

eccessivamente gravose del contratto con esclusione di conseguenti
profili di danno , non travalicano i profili di elementi di interpretazione
del regolamento contrattuale da dibattere in sede civile, secondo le
regole proprie del codice civile, perché escludono il dolo di reato.
2.7 La sentenza ,per le ragioni che precedono, deve essere annullata
senza rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per hé il fatto non costituisce reato
Così deciso n R4rna , il 9 ottobre 2013
sore

Il

sidente

costituisce un indubbio controbilanciamento proprio della ipotetica

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