Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5496 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5496 Anno 2014
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: ROTUNDO VINCENZO

Data Udienza: 07/11/2013

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di Moretti Raffaele, nato a Subiaco il 15-104957,
avverso la sentenza in data 13-12-12 della Corte di Appello di Roma, sezione 3°
penale.
Visti gli atti.
Udita la relazione fatta dal Presidente, dott. Vincenzo Rotundo.
Udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, doti. Di Popolo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata limitatamente alla pena, previa qualificazione del fatto ai sensi
dell’art. 319 quater c.p. e flAw•G-.HC-fUlt-10
Uditi l’avv. Roberto Rampioninhe Injillsistito per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO
1 .-. Il difensore di Moretti Raffaele ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
indicata in epigrafe, con la quale, in data 13-12-12, la Corte di Appello di Roma, sezione 3°
penale, ha confermato la condanna pronunciata nei confronti del predetto in primo grado, con
attenuanti generiche, alla pena di anni tre di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici
uffici, per il reato di cui all’art. 317 c.p., per avere, abusando della sua qualità di ispettore del
lavoro in servizio presso la ASL RM/A e segnatamente minacciando sanzioni per il presunto
illecito impiego di lavoratori dipendenti presso l’autorimessa sita in via Corsaglia 31, indotto
Sangiorgio Francesco a consegnargli indebitamente la somma di mille euro (in Roma il 23-122005).
Il ricorrente deduce in primo luogo vizio di motivazione per errata valutazione delle prove, con
particolare riferimento alla ritenuta prova del passaggio di denaro e quindi della dazione dello
stesso. Secondo l’impostazione accusatoria, ritenuta accertata dai Giudici di merito, al Moretti
sarebbero stati consegnati euro mille in contanti, di cui lo stesso si sarebbe disfatto, buttando le
banconote nei pressi di alcuni cassonetti dell’Ama che si trovavano in via Nicodemi, luogo del
fermo dell’imputato. Il ritrovamento delle banconote era avvenuto da parte del Carabiniere
Pannuti successivamente alla perquisizione del prevenuto, il cui fermo non era stato poi
convalidato dal GIP per difetto di flagranza. In realtà, ad avviso del ricorrente, non sarebbe
stata dimostrata la presenza sul luogo dei cassonetti della spazzatura, ma anzi le banconote
sarebbero state trovate vicino ad un furgone dietro all’Ama, e, in definitiva, non sarebbe stata
acquisita alcuna prova in ordine alla avvenuta consegna del denaro.
Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge, in quanto la condotta posta in essere dal
Moretti avrebbe dovuto essere qualificata come induzione e non già come costrizione, sicché il
fatto avrebbe dovuto essere inquadrato nello schema tipico del nuovo art. 319 quater c. p. e non
nell’art. 317 c.p. Infatti nel caso di specie il funzionario pubblico, lungi dall’avere annientato la
libertà di autodeterminazione del privato, avrebbe agito ricorrendo a forme di pressione tali da
lasciare un margine di scelta al destinatario della pretesa, il quale, decidendo di versare il
denaro, mirava per altro ad ottenere un provvedimento illegittimo ed a lui favorevole.
1

P. Q. M.
Qualificato il fatto ascritto all’imputato ai sensi dell’art. 319 quater c. p., annulla la sentenza
impugnata limitatamente alla pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della
Corte di Appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in data 7-11-2013.

2 .-. Il primo motivo di ricorso è sostanzialmente basato su doglianze non consentite in sede di
giudizio di legittimità. Le censure del ricorrente attengono invero alla valutazione della prova,
che rientra nella facoltà esclusiva del giudice di merito e non può essere posta in questione in
sede di giudizio di legittimità quando fondata su motivazione congrua e non manifestamente
illogica. Nel caso di specie, i giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni
difensive e sono pervenuti alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed
approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della
congruità e della correttezza logica.
Il secondo motivo di ricorso è, invece, fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, risolvendo il contrasto giurisprudenziale che si era
determinato dopo l’entrata in vigore della Legge n. 190 del 2012, hanno recentemente chiarito
che la fattispecie di induzione indebita di cui all’art. 319 quater c. p. è caratterizzata da una
condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di
pubblico servizio, che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di
autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio. Nella
concussione di cui all’art. 317 c. p., invece, si è in presenza di una condotta del pubblico
ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del soggetto (v. informazione
provvisoria n. 18, alla udienza del 24 ottobre 2013 in relazione alla questione rimessa alle
Sezioni Unite con ordinanza 9 maggio 2013 Maldera Giovanni + 8, la cui decisione è in corso
di pubblicazione).
In applicazione di questi principi, la condotta posta in essere dall’imputato [avere il Moretti
prospettato al Sangiorgio che con la dazione di mille euro in contanti e con la messa a punto
delle sue automobili avrebbe risolto i suoi problemi in relazione alle violazioni riscontrate nella
sua autofficina (lavoro nero; inidoneità della autocertificazione presentata)] appare
caratterizzata dalla strumentalizzazione delle funzioni dell’ufficio espletato a scopo di privato
tornaconto, ma di certo non idonea a annientare la libertà di autodeterminazione del privato,
avendo posto in essere forme di pressione che chiaramente lasciavano un margine di scelta al
destinatario della pretesa, il quale denunciò il fatto ai Carabinieri, e, qualora avesse deciso di
versare il denaro, avrebbe in realtà mirato, oltre tutto, ad ottenere un provvedimento illegittimo
ed a lui favorevole.
Ne deriva la necessità di qualificare il fatto ascritto all’imputato ai sensi dell’art. 319 quater
c.p., con conseguente annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla pena e rinvio
per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
D’altra parte la giurisprudenza di questa Corte è oramai consolidata nell’inquadrare la
successione normativa fra il previgente testo dell’art. 317 c. p., quello introdotto dall’art. 1
comma 75 della 1. n. 190 del 2012 e quello del nuovo ed autonomo art. 319 quater c. p.
all’interno del peculiare fenomeno della successione di leggi penali, disciplinato dal quarto
comma dell’art. 2 cod. pen. (v. per tutte: sentenza n. 21701 del 07/05/2013, Rv. 255075,
Ancona).

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