Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5491 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5491 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GAETA DAVIDE N. IL 24/04/1975
avverso la sentenza n. 3929/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di FOGGIA, del 12/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
lette/sfialti-te le conclusioni del PG Dott. Aix,ce~c„»,-

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 19/12/2013

Rilevato in fatto
Gaeta Davide censura la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle
parti emessa in data 12.4.2013 dal GUP presso il Tribunale di Lucera all’esito di un
procedimento penale per detenzione illegale di stupefacenti del tipo cocaina (art. 73
comma 5 DPR n. 309/1990).
Il giudice di merito, ritenendo corretta la qualificazione giuridica dei fatti
contestati, l’applicazione delle circostanze prospettate dalle parti e la pena così come

mesi sei di reclusione e C. 3.000 di multa.
Il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione (in ordine all’accertamento di
responsabilità) e la erronea applicazione di legge in relazione al diniego della attenanti
generiche. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile.
Da tempo questa Corte, anche a sezioni unite, ha precisato come, nell’ipotesi di
impugnazione di una decisione assunta in conformità alla richiesta formulata dalla
parte secondo lo schema procedimentale previsto dall’art. 444 c.p.p., l’esigenza di
specificità delle censure deve ritenersi addirittura “rafforzata” rispetto ad ipotesi di
diversa conclusione del giudizio, dato che la critica al provvedimento che abbia accolto
la domanda dell’imputato deve impegnarsi a demolire, prima di tutto, proprio quanto
dalla stessa parte richiesto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 35738 del 27/05/2010 Cc. dep.
05/10/2010 Rv. 247839; Sez. un., 24.6.1998, Verga, rv 211468).
Sempre secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, (cfr. da ultimo
cass. 17.4.2011 n. 6455), in caso di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p.,
l’accordo intervenuto esonera l’accusa dall’onere della prova e comporta che la
sentenza che lo recepisce sia da considerare sufficientemente motivata con una
succinta descrizione del fatto (deducibile dal capo d’imputazione), con l’affermazione
della correttezza della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all’art. 129 c.p.p.
per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della
congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost. (Cass. 27
settembre 1994, n. 3980; più di recente, Cass. 13 luglio 2006, n. 34494).
Con particolare riferimento all’onere di verifica dell’insussistenza delle cause di
proscioglimento immediato, questa Corte ha altresì precisato che la sentenza del
giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra
una delle ipotesi proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., può essere oggetto di
controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo
della sentenza impugnata appaia invece evidente la sussistenza di una causa di non
punibilità (Cass. 10 gennaio 2007, n. 4688).

determinata, aveva recepito l’accordo applicando all’imputato, la pena di anni uno e

In sostanza, l’esigenza minima di motivazione della sentenza a seguito di
“patteggiamento” della pena può ritenersi adempiuta, in relazione all’assenza di cause
di proscioglimento di cui all’art. 129 c.p.p., dal semplice testuale rinvio al medesimo
articolo, il cui contenuto entra in tal modo a far parte per relationem del ragionamento
decisorio ed esprime l’avvenuta verifica, da parte del giudice, dell’inesistenza di motivi
di non punibilità, senza che occorra una ulteriore e più analitica disanima, purché dal
testo della sentenza medesima non emergano in modo positivo elementi di segno
contrario.
Nel caso in esame, la sentenza del giudice di merito, previa una succinta
descrizione dei fatti (deducibile dal capo d’imputazione), e previa l’affermazione della
correttezza della qualificazione giuridica di essi nonché la verifica della congruità della
pena patteggiata, ha recepito integralmente le statuizioni concordate applicando la
pena stabilita e rilevando che non vi è spazio per una possibile assoluzione
dell’imputato ai sensi dell’art. 129 cpp.
Come si vede, secondo i principi di diritto sopra richiamati, il giudice di merito
con motivazione del tutto esauriente ha dato conto in maniera più che sufficiente della
insussistenza delle cause di non punibilità ex art. 129 cpp e quindi la sentenza
impugnata si sottrae certamente alla censura mossa, non emergendo da essa in modo
positivo alcun elemento di segno contrario, ma anzi precisi elementi di responsabilità:
il giudice di merito ha considerato infatti il rinvenimento dello stupefacente in sede di
perquisizione personale e domiciliare, le modalità di confezionamento della sostanza,
suddivisa in diversi quantitativi occultati in luoghi diversi, e il possesso di danaro in
banconote di piccolo taglio e da tali elementi di fatto ha escluso l’ipotesi di una
destinazione ad uso esclusivamente personale.
In definitiva, nelle poche righe di ricorso si tende solo a rimettere in discussione
i termini dell’accordo finalizzato all’applicazione della pena oggetto del patteggiamento.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna della parte
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento
della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 19.12.2013.

v

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