Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5483 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5483 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

Data Udienza: 13/12/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCINO GIUSEPPE N. IL 22/06/1977
avverso la sentenza n. 1310/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 03/07/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Sc L,9k k. A CICA:
che ha concluso per «e.’ C.(10~-tfryt.Z.-trZ iti,ette c&Q.
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Udito, pe

parte civile, l’Avv

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RITENUTO IN FATTO
1. Giuseppe Mancino ricorre personalmente avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo in data 3.7.2013 con la quale veniva parzialmente
riformata la sentenza emessa dal Tribunale di Palermo il 3.7.2012 che, dichiarato
non doversi procedere in ordine ai mesi di gennaio, giugno, luglio, agosto e settembre 2005, lo ha riconosciuto colpevole, quale legale rappresentante della ditta
“Logi Petroli”, del reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 2 co. 1 e ibis legge n.
638/1983 (omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali) e lo ha

clusione e C. 120,00 di multa.

2. Il ricorrente censura il giudizio di responsabilità, deducendo la violazione
di cui all’art. 606 lettere b) ed e) c.p.p. , per inosservanza dell’art. 2 commi 1 e
ibis. D.L. n. 463/1983 (convertito nella legge 638/83 e succ. mod.) ritenendo la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova circa l’effettiva retribuzione corrisposta ai lavoratori.
Lamenta che, accontentandosi della sola prova documentale costituita dai
modelli DM 10, si opererebbe una diabolica inversione dell’onere probatorio, attribuendo apoditticamente all’imputato l’onere di provare la mancata corresponsione salariale ai propri dipendenti nonostante l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità (proprio in tema di onere probatorio del reato de quo) ritenga attribuibile tale “impegno processuale” esclusivamente all’organo della
pubblica accusa.
Chiede, pertanto, l’annullamento del provvedimento impugnato con
l’emissione dei provvedimenti consequenziali.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile.

condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di mesi uno e giorni 5 di re-

2. Quanto alla individuazione dell’elemento costitutivo del reato di cui all’art.
2 commi 1 e lbis. D.L. n. 463/1983 (convertito nella legge 638/83 e succ. mod.),
è vero, come ricorda il ricorrente, che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. n.
27641 del 28.5.2003, Silvestri, rv. 224309; conf. sez. 3, n. 35948 del 30.5.2003.
Paletti, rv. 225552; sez. 3, n. 42378 del 19.9.2003, Soraci, rv. 226551) hanno
affermato che il reato di cui all’art. 2 della legge 11 novembre 1983 n. 638 non è
configurabile in assenza del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione.
E’ stato, tuttavia, anche precisato che la prova dell’effettiva corresponsione

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delle retribuzioni nel processo per il reato di cui ci si occupa può essere tratta dai
modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10), sempre che non risultino elementi contrari. (dr. Sez. 3, n. 46451 del 7.10.2009, Carella, rv. 245610;
Sez. 3, n. 14839 del 4.3.2010, Nardiello, rv. 246966) secondo cui l’effettiva corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, a fronte di un’imputazione
di omesso versamento delle relative ritenute previdenziali ed assistenziali, può
essere provata sia mediante il ricorso a prove documentali, come i cosiddetti mo-

ricorso alla prova indiziaria).
La Corte di merito ha fatto puntuale applicazione di tale regola laddove ha
accertato la prova della corresponsione e della retribuzione sulla scorta della produzione dei modelli DM 10 e ha anche ricordato, in un percorso argomentativo
logicamente coerente, che mai il Mancino, che pure ha reso nel corso del dibattimento di primo grado dichiarazioni spontanee, ha operato alcun riferimento alla
mancata corresponsione delle retribuzioni.
Di fronte a tale percorso argomentativo, che dunque esiste ed è logicamente
coerente, nessun sindacato è consentito in questa sede.
Va ricordato, infatti, che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della
motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la
oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie,
cfr. Cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110; Cass. 6.6.06 n. 23528). Ancora, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere
apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale
da risultare percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo
essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non

delli DM/10 trasmessi dal datore di lavoro all’INPS, e testimoniali, sia mediante il

espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).

3. Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata
in dispositivo.

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P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2013.

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