Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5482 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5482 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CUNSOLO SALVATORE N. IL 16/03/1946
avverso la sentenza n. 20/2011 CORTE APPELLO di MESSINA, del
02/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IlereGO G)
che ha concluso per Q,’ cur.”02,0ero
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a parte civile, l’Avv

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Data Udienza: 12/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 18.10.2010 il Tribunale di Barcellona P.G. sezione
di Milazzo in composizione monocratica ha condannato Salvatore Cunsolo, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi cinque di arresto
e C 30.000,00 di ammenda, concedendo entrambi i benefici di legge, ma subordinando la sospensione della pena alla parziale demolizione del manufatto e alla
sua riduzione in conformità a quanto era stato assentito con la licenza edilizia a
suo tempo rilasciata, per violazione della normativa urbanistica, paesaggistica ed

ca 25,00 metri quadrati senza che gli fossero stati rilasciati i permessi e le autorizzazioni previsti per le costruzioni in zone sismiche e sottoposte a vincolo paesaggistico, in Milazzo il 22.10.2007.
L’imputato appellava la sentenza deducendo di non avere realizzato una vera sopraelevazione, ma di essersi limitato ad alzare i muri perimetrali del sottotetto allo scopo di recuperare quest’ultimo a fini abitativi ed eccepiva quindi la
nullità della sentenza di primo grado per la mancata correlazione tra questa e
l’imputazione. Sollevava inoltre una questione di legittimità costituzionale avente
ad oggetto la competenza esclusiva in materia edilizia della Regione Sicilia siccome regione a statuto speciale e conseguentemente l’insussistenza del reato
urbanistico contestato all’imputato in quanto l’opera era conforme al dettato dell’
art.18 della legge regionale n. 4/2003
La Corte d’Appello di Messina, con sentenza del 2.12.2011 (depositata il
2.12.2011) confermava la sentenza del giudice di prime cure e condannava il
Cunsolo al pagamento delle ulteriori spese processuali.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione nei termini di
legge l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente
necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att.,
cod. proc. pen:

a. violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen per l’inosservanza
di norme processuali stabilite a pena di nullità, ovvero degli artt. 517, 521 e 522
per l’assunta mancata corrispondenza tra fatto contestato e sentenza nonché
violazione dell’art. 606 comma primo lettera e) cod. proc. pen per mancanza della motivazione in ordine alla valutazione del fatto contestato.
In particolare sul punto il ricorrente sostiene che la condotta ascritta
all’imputato, consistita nell’avere innalzato i muri perimetrali del sottotetto non
può essere identificata con la contestata sopraelevazione e quindi che il fatto per
cui è intervenuta sentenza sia diverso, con conseguente nullità assoluta della
sentenza ai sensi dell’art. 522 cod. proc. pen.

2.,

antisismica in quanto aveva realizzato una sopraelevazione della superficie di cir-

b. violazione ex art. 606 comma primo lettera e) cod. proc. pen essendo
mancante la motivazione, risultante dal testo impugnato, in ordine
all’individuazione delle norme giuridiche che, prescrivendo la necessità del permesso di costruire per l’intervento edilizio compiuto dall’imputato, rendevano
applicabile al caso in questione l’art. 44 lett. c) Dpr 380/01 e gli artt. 93, 94 e 95
Dpr. 380/01 e 181 D.Igs. 42/2004.
c. violazione ex art. 606 comma primo lett. b) per l’erronea applicazione
dell’art. 44, comma primo, lettera c) Dpr 380/01 in riferimento all’inosservanza
delle norme giuridiche ex LR Sicilia n. 37/1985, nonché ex LR Sicilia n. 4/2003,

di cui si deve tener conto nell’applicazione della norma penale, con correlate ulteriori violazioni dell’art. 606 comma primo lettera b) c.p.p per inosservanza
dell’articolo 117 della Costituzione e dell’art. 606 comma primo lettera e) cod.
proc. pen per mancanza della motivazione sul punto;
d. violazione dell’art. 606 comma primo lettera b) cod. proc. pen per inosservanza degli artt. 21 e 23 I. 64/1974 e dell’art. 606 comma primo lettera e)
cod. proc. pen per la totale assenza di motivazione in ordine alla disapplicazione
degli artt. 21 e 23, comma secondo, cod. proc. pen
e. violazione dell’art. 606, comma primo lettere b) ed e) cod. proc. pen per
inosservanza dell’art. 71 Dpr. 380/2001 e per la totale mancanza di motivazione
sul punto.
f. art. 606 comma primo lettera b) ed e) cod. proc. pen per errata applicazione dell’art. 181 D.Lgs. 42/2004 e per la contraddittorietà di motivazione sul
punto.
g. art. 606 comma primo lettere b) ed e) per totale inosservanza degli artt.
133 e 133bis c.p. e per la contraddittorietà della motivazione sul punto.
Si duole in particolare il ricorrente che il giudice del merito ha del tutto disapplicato l’art. 133 c.p. non prendendo minimamente in considerazione le precarie condizioni economiche dell’imputato e che il giudice di prime cure non ha
correttamente specificato gli aumenti di pena.
h. violazione dell’art. 606 comma primo lettera b) cod. proc. pen per inosservanza dell’art. 165 c.p. nella parte in cui ha subordinato la concessione della
sospensione condizionale della pena alla rimessione in pristino.
I. estinzione del reato per intervenuta prescrizione

Il ricorrente chiedeva, pertanto che questa Corte di Cassazione volesse annullare la sentenza impugnata.

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i

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il proposto ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato
inammissibile.

2. Il ricorrente, infatti, quanto al motivo di ricorso sopra indicato sub a), in
relazione all’assunta mancata correlazione tra fatto e sentenza, ripropone una
doglianza su cui già la Corte d’Appello, con argomentazione coerente, logica ed
immune da censure, ha correttamente motivato specificando che l’attività edilizia
posta in essere dall’imputato, che ha innalzato i muri perimetrali rendendo abita-

bile il sottotetto, è certamente da ricomprendersi nell’ampio genus della “sopraelevazione” per cui era stata elevata l’imputazione.
Questa Suprema Corte, peraltro, ha più volte rimarcato come in tema di relazione fra sentenza ed accusa, il fatto di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen.
va definito come l’accadimento di ordine naturale delle cui connotazioni e circostanze soggettive ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione fra
loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica. La
violazione del principio suddetto postula una modificazione – nei suoi elementi
essenziali – del fatto, inteso appunto come episodio della vita umana, originariamente contestato. (così sez. 3, n. 7552 del 2.6.1994, Rispoli, rv. 199505. Nella
specie, l’imputato era stato tratto a giudizio per avere abusivamente demolito
una struttura al piano terra di un preesistente fabbricato ed era stato condannato per avere eseguito lavori sul solaio del terrazzo al secondo piano).
La nozione di “fatto” di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. va intesa
quale accadimento di ordine naturale, nelle sue connotazioni oggettive e soggettive; ne consegue che, a differenza del caso di cui ci si occupa, per aversi “mutamento del fatto”, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, che non consenta di rinvenire, tra il fatto contestato e quello accertato, un nucleo comune identificativo della condotta, riscontrandosi invece un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità che si risolve in un
vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa a fronte del quale si verifica
un reale pregiudizio dei diritti della difesa (in questi termini Sez. 2, n. 45993 del
16.10.2007, Cuccia ed altri, rv. 239866)..
Peraltro, di recente è stato precisato che ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. deve
tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di
esercitare le sue difese sull’intero materiale probatorio posto a fondamento della
decisione (Sez. 6, n. 5890 del 22.1.2013, Lucera ed altri, rv. 254419).

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La Corte d’Appello ha ricordato come “innalzare i muri perimetrali di un

sottotetto al fine di recuperare una soffitta fini abitativi significa trasformare
quello che un volume tecnico in un’ulteriore superficie utile e quindi realizzare un
piano abitativo ulteriore rispetto a quelli già esistenti: in sostanza, costruire una
sopraelevazione”. Già nella sentenza di primo grado confutando la prospettazione difensiva secondo cui il manufatto avrebbe avuto la medesima consistenza di
cui all’accertamento del 10.10.2007 già nel 1972si ricordava, peraltro, come
nell’accertamento del 2007 il tecnico comunale avesse riscontrato l’innalzamento

copertura ad una quota molto più alta, di fatto uguale a quella della torretta del
vano adibito a lavanderia. In altri termini, il vano era rimasto unico, ma la copertura era stata di molto rialzata, come facilmente desumibile dalla visione del fascicolo fotografico.

3. Manifestamente infondato è anche il profilo di doglianza relativo alla
mancanza o all’illogicità della motivazione da parte del giudice di secondo grado.
In proposito va ricordato che non sono consentite in sede di legittimità
letture alternative del materiale probatorio su cui i giudici di merito hanno motivato. In questa sede è consentito censurare la motivazione, ma occorre spiegare
perché la ricostruzione venga considerata manifestamente illogica, confrontarsi
con le argomentazioni dei giudici di merito e indicare specificamente i punti in cui
si ritiene non vi sia stata ovvero vi sia stata una motivazione illogica
Si è già detto in precedenza di come dal combinato disposto delle due
pronunce di merito emergano delle coerenti, logiche e circostanziate motivazioni
in ordine alle doglianze riproposte in questa sede dal ricorrente. E va ricordato
che, secondo una giurisprudenza da tempo consolidata di questa Suprema Corte
la destinazione abitativa di un sottotetto, che secondo gli strumenti urbanistici
aveva soltanto una funzione tecnica, costituisce mutamento di destinazione d’uso
per il quale è necessario il rilascio preventivo del permesso di costruire, atteso
che la variazione avviene tra categorie non omogenee (Sez. 3, n. 17359
de11 18.3.2007, P.M. in Proc. Vazza, rv 236493).
In tema di reati edilizi, peraltro, la modifica di destinazione d’uso è integrata anche dalla realizzazione di sole opere interne. (cfr. sul punto Sez. 3 , n.
27713 del 20.5.2010, P.M. in Proc. Olivieri e altro, rv. 247919, fattispecie in cui
è stato ritenuto sussistente il reato nel caso di di mutamento in abitazione
del sottotetto mediante la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia).
Le cosiddette “opere interne” non sono più previste nel d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380, come categoria autonoma di intervento edilizio sugli edifici esistenti, e rientrano perciò negli interventi di ristrutturazione edilizia quando comportino aumento di unità immobiliari o modifiche dei volumi, dei prospetti e delle

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dei muri perimetrali della struttura al p.t. e la realizzazione pertanto del tetto di

superfici ovvero mutamento di destinazione d’uso (si veda anche Sez. 3, n.
47438 del 24.11.2011, Truppi, rv 251637, fattispecie relativa alla realizzazione
di un soppalco all’interno di un’unità immobiliare nella quale la Corte ha affermato che per la sua esecuzione è necessario il permesso di costruire o, in alternativa, la denuncia di inizio attività).

4. Assolti in maniera precisa e coerente paiono inoltre gli oneri motivazionali
in relazione alla non riconducibilità dell’opera in contestazione alla previsione della norma regionale di cui all’art. 18 LR Sicilia in quanto tale norma consente il re-

cupero volumetrico a scopo residenziale di sottotetti solo qualora i volumi esistenti-e non è il caso che ci occupa-siano tali da consentire il mutamento della
destinazione d’uso. i
Questa Corte, peraltro, ha avuto modo di affermare come In materia edilizia, la “speciale” sanatoria prevista dall’art. 18, comma quarto, della L. Reg. Sicilia 16 aprile 2003, n. 4 per taluni interventi edilizi (norma che consente il recupero abitativo dei sottotetti, delle pertinenze, dei locali accessori e dei seminterrati degli edifici esistenti, previa concessione edilizia, anche tacitamente assentita, o denuncia di inizio attività) è inidonea a produrre l’effetto estintivo del reato
edilizio, in quanto tale effetto consegue unicamente al rilascio della concessione
o permesso di costruire in sanatoria, ai sensi del combinato disposto degli artt.
13 e 22 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 ,oggi sostituiti dagli artt. 36 e 45 del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Sez. 3, n. 11132 del 15.2.2008, Zappalà, rv.
239072).
In altra pronuncia si è anche precisato come in materia di legislazione edilizia nelle regioni a statuto speciale, pur spettando alla Regione una competenza
legislativa esclusiva in materia (nella specie, la Regione Sicilia), la relativa legislazione deve non solo rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione
statale, ma deve anche essere interpretata in modo da non collidere con i medesimi (Sez. 3, n. 2017 del 25.10.2007, Giangrasso, rv. 238555; conforme Sez. 3,
n. 33039 del 15.6.2006, P.M. in Proc. Molisanti, rv. 234935, fattispecie relativa
alla realizzazione di una tettoia per la quale la Corte, diversamente da quanto
previsto dalle leggi regione Sicilia 10 agosto 1985 n. 37 e 16 aprile 2003 n. 4,
contenenti nuove norme in materia di controllo dell’attività urbanistica, edilizia e
riordino urbanistico, ha ritenuto necessario il permesso di costruire).

5. La corte di secondo grado ha anche evidenziato come sussista la violazione del vincolo paesaggistico, atteso che l’opera è stata realizzata in zona certamente sottoposta a tutela da parte della sovrintendenza senza il nullaosta di
quest’ultima e come il relativo reato abbia natura di reato di pericolo astratto per
la cui sussistenza non è necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente.
6

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Va ricordato che per pacifica giurisprudenza di questa Corte il giudice d’appello non e tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni proposte nell’atto di
impugnazione, in quanto le stesse possono essere disattese per implicito o per
aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con
la ricostruzione effettuata (per tutte, Sez. VI, n. 1307 del 26 settembre 2002,
dep. 14 gennaio 2003, Delvai, rv. 223061).
Peraltro, in casi come quello che ci occupa, in cui c’è stato una doppia conforme affermazione di responsabilità è senz’altro da ritenersi ammissibile la mo-

gnata, qualora le censure rivolte contro la sentenza di primo grado non contengano -come nel caso all’odierno esame – elementi ed argomenti diversi da quelli
già esaminati e disattesi. Ciò in quanto il giudice di appello, nel controllare la
fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non é tenuto a
riesaminare questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute
esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal
caso, infatti, le motivazioni della sentenza di prima grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al
quale occorre in ogni caso riferirsi al fine di valutare la congruità della motivazione, tanto più nel caso in cui i giudici del gravame abbiano esaminato le censure
con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di prima grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una
sola entità (sez. II, n. 7035 del 9.11.2012, dep. 13.2.2013, De Bartolomei e altro, rv. 254025; sez. III, n. 13926 del 1° dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012,
Valerio, rv. 252615; sez. H 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994,
Albergamo ed altri, rv. 197250).
In tal senso appaiono proficuamente assolti gli obblighi motivazionali in ordine all’indicazione delle normative violate.

6. In punto di quantificazione della pena va evidenziato come la corte d’appello abbia correttamente motivato, laddove anche il giudice di primo grado, che
pure aveva concesso all’imputato le circostanze attenuanti generiche in considerazione dell’assenza di precedenti penali, aveva ben specificato e avere valutato
tutti gli indici di cui all’articolo 133 del codice penale tenuto conto dell’importanza dell’opera abusiva e della conseguente gravità dell’offesa arrecata all’ambiente.
Legittimo è stato anche l’aver subordinato la sospensione condizionale della
pena alla remissione in pristino conformemente alla univoca giurisprudenza di

tivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione impu-

questa corte di legittimità (cfr. per tutte questa Sez. 3 n. 332289/2005 e
29667/2002).

7. I reati sono stati accertati il 22.10.2007 e da tale data decorre la prescrizione quinquennale, maturata quindi ad una data (9.2.2013, tenuto conto di mesi 3 e gg. 18 di sospensione della prescrizione nel corso del giudizio di merito)
successiva a quella (2.12.2011) della sentenza di secondo grado.
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della

festa infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che
l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a
norma dell’art. 129 cod. proc. pen (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca,
rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente
alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n.
23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, rv.
239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 dell’8.5.2013, rv. 256463).

8. A norma dell’art. 616 c.p.p, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del
13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura
indicata in dispositivo
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 12/12/2013.

prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della mani-

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