Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 548 del 04/07/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 548 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Crapula Michele, nato ad Avola il 6.6.1966, avverso l’ordinanza emessa
dal tribunale del riesame di Catania il 19.12.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per il rigetto del ricorso

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udito per il ricorrente, il difensore di fiducia, avv. Giuseppe Alvisérdel
Foro di Siracusa, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso,

chiedendo, inoltre, di potere depositare un’ordinanza della corte di assise
di Siracusa del 9.5.2013 ed un’ordinanza della corte di assise di appello
di Catania.

FATTO E DIRITTO

Data Udienza: 04/07/2013

1. Con ordinanza adottata il 19.12.2012 il tribunale del riesame di
Catania confermava l’ordinanza con cui la corte di assise di Siracusa, in
data 22.11.2012, aveva applicato la misura cautelare della custodia in
carcere nei confronti di Crapula Michele, condannato alla pena di venti
anni di reclusione per i reati di cui agli artt. 416 bis, c.p.; 629, c.p.; 73 e

74, d.p.r. 309/90, aggravati ex art. 7, I. 203/91, in ordine al solo reato
di cui all’art. 74, d.p.r. 309/90, dopo che l’originaria misura cautelare
della custodia in carcere, disposta a carico dell’imputato dal giudice per
le indagini preliminari presso il tribunale di Catania in data 14.6.2008,
per il solo delitto di cui all’art. 416 bis, c.p., era divenuta inefficace per
decorrenza dei termini di durata massima.
2. Avverso tale decisione, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso, a mezzo del suo difensore, il Crapula, lamentando violazione di
legge e vizio di motivazione, sotto il profilo della carenza, manifesta
illogicità e contraddittorietà della motivazione stessa, con riferimento
agli artt. 274 e 307, c.p.p. ed alla valutazione circa la sussistenza delle
esigenze cautelari operata dal tribunale del riesame.
3.

In particolare il ricorrente evidenzia il contrasto con i principi

affermati in sede di legittimità e di giurisprudenza della CEDU, della
decisione del tribunale del riesame, che, nel recepire acriticamente la
valutazione effettuata al riguardo dalla corte di assise di Catania, ha
ritenuto, inammissibilmente, la sussistenza dell’esigenza cautelare del
pericolo di fuga a carico del Crapula, esclusivamente sulla base della
entità della pena inflittagli.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
4.

Preliminarmente, sciogliendo la relativa riserva, va rigettata la

richiesta difensiva di produzione delle ordinanze in precedenza indicate,
formulata dal difensore del Crapula in sede di discussione, alla quale il
sostituto procuratore generale si era opposto.
Ed invero nel caso di ricorso per cassazione concernente provvedimenti
in materia di libertà personale, il comma quarto dell’art. 311, c.p.p.,
consente in via eccezionale la presentazione di motivi nuovi prima
dell’inizio della discussione (motivi che devono riguardare capi o punti

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della decisione già investiti dall’originale atto di gravame), ma non
attiene alla produzione di documenti, che resta disciplinata dalle regole
generali concernenti il procedimento di legittimità. Ne consegue che,
dovendosi per i ricorsi in materia cautelare personale osservare le forme
previste dall’art. 127 del codice di rito (art. 311, comma quinto, stesso

codice), le produzioni documentali devono intervenire al più tardi con
una memoria depositata nella cancelleria della Corte di Cassazione
cinque giorni prima dell’udienza (cfr. Cass., sez. fer., 25.7.2003, n.
34554, l, rv. 228393).
5. Va comunque rilevato che il tribunale del riesame è incorso in un
evidente errore materiale, che non inficia la validità dell’atto, avendo
indicato, sia nel corpo della motivazione, che nel dispositivo, nella corte
di assise di Catania l’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento
coercitivo oggetto di riesame, laddove si tratta della corte di assise di
Siracusa.
6. Ciò posto, come si è detto, il ricorso è manifestamente infondato,
avendo il tribunale del riesame, attraverso motivazione approfondita ed
immune da vizi, fondato la valutazione sulla esistenza di un concreto
pericolo di fuga, a differenza di quanto affermato dal difensore del
Crapula, non solo sulla gravità della pena inflitta all’imputato (pari a
venti anni di reclusione), ma anche su altri elementi rivelatori, costituiti
dalla gravità delle imputazioni ed ai trascorsi giudiziari del ricorrente,
che, evidenzia il tribunale, annovera plurimi precedenti penali, tra cui
una condanna definitiva per il delitto ex art. 416 bis, c.p., e che ha
dimostrato di essere dotato di una spiccata capacità criminale, in
quanto, come accertato dalla sentenza di condanna in primo grado, egli
“ha continuato ad operare nel ruolo apicale di promotore ed
organizzatore del clan mafioso Triglia, oltre che a promuovere ed
organizzare una parallela associazione dedita al traffico di sostanze
stupefacenti nel ragusano e nel siracusano, per il tramite di terzi
soggetti che lo rappresentavano all’esterno del carcere”.
Tenuto conto degli stretti limiti entro cui è consentito dedurre vizi di
motivazione nei confronti dei provvedimenti adottati dal tribunale del

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riesame in materia di misure cautelari personali, non può pertanto, in
tutta evidenza, ritenersi omessa, né assolutamente illogica la
motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui afferma che
proprio gli stretti legami di natura criminale mantenuti in vita dal
Crapula nonostante la carcerazione, facciano ritenere sussistente il

pericolo concreto che egli possa avvalersi di una rete di sostegno che
possa rendere possibile la sua fuga, sottolineando al tempo stesso come
non sia necessario per ritenere integrata la menzionata esigenza
cautelare dimostrare l’attualità del pericolo, vale a dire l’esistenza di
specifici elementi, sintomatici della volontà di darsi alla fuga.
6. 1 II percorso argomentativo seguito dal tribunale del riesame, appare,
peraltro, assolutamente conforme ai principi elaborati dalla
giurisprudenza di legittimità, condivisi dal collegio.
Si è, infatti, affermato (cfr. Cass., sez. VI, 10.7.2007, n. 30972, V., rv.
237331, nonché Cass., sez. V, 14.2.2005, n. 12869, Martella, rv.
231683), che ai fini del ripristino della custodia cautelare,
contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna ai sensi
dell’art. 307, comma secondo, lett. b), c.p.p., l’entità della pena inflitta
costituisce un elemento di imprescindibile valenza che, in presenza di
ulteriori circostanze oggettive, rende ragionevolmente probabile il
pericolo di fuga del condannato (nel caso di specie, assimilabile a quello
in esame, la Corte ha ritenuto che assumono significativo rilievo anche
l’inserimento dell’imputato in una pericolosa associazione criminale
dedita al traffico di stupefacenti e la sua frequentazione con persone di
particolare spessore delinquenziale).
Ed ancora più specificamente che è legittimo il ripristino della custodia
cautelare ai sensi dell’art. 307, comma secondo, lett. b), c.p.p., nei
confronti dell’imputato del reato di cui all’art. 416 bis, c.p., condannato
in primo grado ad una lunga pena detentiva, atteso che il pericolo di
fuga è reso ancora più rilevante dall’appartenenza, già accertata in
giudizio, dell’interessato ad una organizzazione criminale che può
aiutarlo a sottrarsi alla condanna (cfr. Cass., sez. II, 9.5.2006, n. 19464,
D.G., rv. 234205).

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7. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va,
pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonché
in favore della cassa delle ammende di una somma a titolo di sanzione
pecuniaria, che appare equo fissare in euro 1000,00, tenuto conto della

del ricorrente, che, quindi, non può ritenersi immune da colpa nella
determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte
Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 4.7.2013.

evidente inammissibilità del ricorso, facilmente evitabile dal difensore

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