Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5479 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5479 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Foglia Aurelio, nato a Castrezzato il 21/10/1956
avverso la sentenza del 13/06/2013 del Tribunale di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito per l’imputato l’avv.

Data Udienza: 05/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 13 giugno 2013, il Tribunale di Milano, in
composizione monocratica, condannava, con la concessione delle attenuanti
generiche, Aurelio Foglia alla pena, condizionalmente sospesa, di euro 3.500 di
ammenda ritenendolo responsabile (del reato di cui all’art. 256 d. Igs. 81/2008)
per aver, quale titolate della ditta Cofer che eseguiva lavori in appalto, proceduto

22/1997 e senza predisporre il prescritto piano di lavoro nonché (del reato di cui
all’art. 252 d.lgs. 81/2008) per non aver, nella medesima qualità, messo a
disposizione dei lavoratori indumenti da lavoro appropriati (tute monouso) e DPI
adeguati.

2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ricorre per cassazione, a
mezzo del suo difensore, Aurelio Foglia affidando il gravame ad un unico motivo,
con il quale denuncia violazione del combinato disposto di cui agli articoli 192,
530 e 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen.
Si sostiene come non vi fosse alcuna prova circa la riconducibilità del fatto
accertato al ricorrente, avuto riguardo proprio alla deposizione testimoniale
dell’agente di polizia municipale il quale aveva deposto nel senso di non
conoscere l’imputato e di non aver identificato gli operai che erano stati visti
lavorare sui luoghi.
In assenza di tali significative acquisizioni, la prova della responsabilità del
Foglia non poteva fondarsi su base indiziaria, richiedendo l’art. 192, comma 2,
cod. proc. pen. la presenza di indizi gravi, precisi e concordanti, nella specie
insussistenti, laddove, in presenza di una prova mancante o insufficiente, si
doveva pervenire invece al proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 530
cod. proc. pen.
In conclusione – essendo la motivazione della sentenza estremamente
carente in punto di identificazione dell’imputato come responsabile dei fatti
addebitati, essendo del tutto gratuito e non sorretto da elementi di riscontro
l’assunto secondo il quale gli operai visti lavorare fossero alle dipendenze della
Cofer – la motivazione a sostegno del giudizio di responsabilità deve ritenersi,
secondo il ricorrente, del tutto illogica e comunque manifestamente infondata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.

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alla rimozione di lastre di cemento amianto, in violazione dell’art. 30 d.lgs.

Con il motivo di gravame il ricorrente, pur formalmente denunciando il
travisamento della prova e la illogicità della motivazione, sottopone alla
cognizione della Corte di cassazione censure non consentite, sollevando questioni
relative alla ricostruzione del fatto e alla valutazione del materiale probatorio, il
cui apprezzamento rientra alla esclusiva competenza del giudice di merito,
cercando, in tal modo, di ottenere una interpretazione del fatto diversa e
alternativa rispetto a quella posta a base del provvedimento impugnato.
Il Tribunale, con congrua motivazione, ha fondato il giudizio di responsabilità

espletate nel cantiere ove stava operando la società Cofar quale esecutrice delle
opere di rifacimento del tetto di una palazzina di proprietà privata.
La nuova copertura del tetto doveva avvenire dopo la rimozione dell’eternit,
opera affidata ad una ditta specializzata iscritta all’albo dei gestori di rifiuti
pericolosi, il cui titolare aveva regolarmente presentato il piano di lavoro per la
completa rimozione della copertura in cemento amianto.
Tale ditta non era tuttavia riuscita a Fifrrtteve interamente la copertura a
causa della cattive condizioni meteorologiche e di malattia di alcuni operai con la
conseguenza che, essendo stata segnalata e successivamente accertata la
prosecuzione dei lavori con la rimozione di lastre di amianto, la Polizia
municipale, che intervenne sui luoghi, non rinvenne gli operai, che pure erano
stati visti mentre erano intenti a rimuovere la copertura del tetto senza
indossare i dispositivi di protezione individuale, ma vi riscontrò la presenza
dell’architetto Terzoli in qualità di responsabile della sicurezza per conto della
Cofer.
Sul rilievo che la ditta specializzata aveva sospeso i lavori, che l’unica altra
ditta che operava in loco fosse la Cofer, che ivi fu rinvenuta la presenza del
responsabile della sicurezza della predetta Cofer e che l’imputato, titolare della
ditta, nulla oppose all’esito della notifica del verbale ci contravvenzione elevato
dall’ASL, il Giudice riteneva provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la
responsabilità del Foglia in ordine ai reati ascrittigli.
In buona sostanza, il Tribunale, nel libero processo di formazione del suo
convincimento, ha proceduto, pur in assenza di prove dirette, all’analisi critica
delle risultanze processuali esaminate nella loro concatenazione logica ed è
pervenuto, per l’univocità e convergenza delle stesse, ad una soluzione di
certezza.
A fronte di ciò il ricorrente si limita a proporre una lettura alternativa degli
atti processuali obliterando che il sindacato di legittimità sui provvedimenti
giurisdizionali non può mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del
fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle

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osservando come le contestazioni fossero scaturite dalla verifica e dall’ispezione

emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi diretti
ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito.
La giurisprudenza di questa Corte ha – più volte chiarito come, anche a
seguito della modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., introdotta
dalla legge n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di cassazione rimanga
circoscritto nell’ambito di un controllo di sola legittimità, con la conseguenza che
la possibilità, attribuitale dalla norma, di desumere la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del

istruttorie, bensì quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito
dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova omessa o
travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (Sez. 6, n. 752 del
18/12/2006, dep. 16/01/2007, Romagnolo,Rv. 235732).
Ne consegue che, anche di fronte alla previsione di un ampliamento dell’area
entro la quale il controllo sulla motivazione deve operare, non muta affatto la
natura del sindacato di legittimità, che rimane limitato alla struttura del discorso
giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa
lettura del materiale probatorio, anche se plausibile, sicché, per la rilevazione dei
vizi della motivazione, occorre che gli elementi probatori indicati in ricorso siano
decisivi e dotati di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento
del giudice del merito (Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508).

3. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte
costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle
ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 05/12/2013

processo” non le conferisce il potere di riesaminare criticamente le risultanze

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