Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5477 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5477 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– VAGLINI FRANCO, n. 15/05/1955 a PALAIA

avverso la sentenza della Corte d’Appello di FIRENZE in data 27/05/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Cons. Dott. Fulvio Baldi, che ha concluso per l’annullamento con rinvio
dell’impugnata sentenza;
udite le conclusioni dell’Avv.

t

Data Udienza: 05/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. VAGLINI FRANCO ha proposto, a mezzo del difensore – procuratore speciale
cassazionista, tempestivo ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di
FIRENZE in data 27/05/2013, depositata in data 3/06/2013, con cui è stata

condannato alla pena di mesi uno e gg. 22 di reclusione ed C 210,00 di multa,
ritenuta la continuazione, per aver, con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso, quale legale rappresentante della ditta VAGLINI FRANCO
IR.SE con sede in Ponsacco, omesso di versare somme per un ammontare
complessivo di C 479,00 a titolo di ritenute previdenziali ed assistenziali operate
quale datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti dal gennaio al dicembre
2006; in Pisa nei periodi indicati (artt. 81 cpv., c.p. e 2 legge n. 638/83).

2. Ricorre avverso la predetta sentenza l’imputato, a mezzo del difensore procuratore speciale cassazionista, deducendo un unico motivo di ricorso, di
seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173
disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, in particolare, mancanza della motivazione come risultante dal
testo del provvedimento impugnato; in sintesi, si duole il ricorrente per non aver
la Corte territoriale statuito in ordine allo specifico motivo di appello riguardante
la richiesta di rideterminazione del trattamento sanzionatorio; la Corte d’appello
si sarebbe limitata, sul punto, a rinviare a quanto già statuito dal giudice di
prime cure, senza motivare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

4. Al fine di meglio comprendere la soluzione cui è addivenuta questa Corte di
legittimità, alla luce della censura motivazionale prospettata dalla difesa del
ricorrente, è opportuno, seppure sinteticamente, richiamare quanto oggetto di
esame da parte dei giudici di merito. Il ricorrente è stato dichiarato colpevole del
reato addebitatogli, come emerge dall’impugnata decisione, confermativa della
sentenza del giudice di prime cure (le cui motivazioni, pertanto, si integrano
vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, con la conseguenza
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confermata la sentenza 2/12/2011 del Tribunale di PISA, con cui questi è stato

che la motivazione adottata dal primo giudice vale a colmare le eventuali lacune
di quella d’appello: Sez. 2, n. 5112 del 02/03/1994 – dep. 04/05/1994,
Palazzotto, Rv. 198487), per aver omesso di versare all’INPS le ritenute
previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti nei periodi
contestati; che, in particolare, a tale affermazione di responsabilità si era
pervenuti assumendo quale teste il funzionario dell’INPS, non essendovi dubbio

appello, in cui il ricorrente si doleva dell’eccessività della pena base irrogata e
della mancata concessione delle attenuanti generiche; che, in sede di appello, la
Corte fiorentina, valutando i motivi di doglianza, rigettava l’impugnazione
escludendo la concedibilità delle attenuanti generiche per i precedenti penali e,
quanto alla pena inflitta dal primo giudice, la qualificava come “congrua” con
riferimento ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen.

5. A fronte di quanto emerso dalla combinata lettura delle decisioni di merito,
destituita di ogni fondamento pare a questo Collegio la censura mossa dal
ricorrente con l’unico motivo di ricorso, qualificando come vizio di motivazione
mancante, quanto alla richiesta di rideterminazione del trattamento
sanzionatorio, una doglianza che si traduce, in effetti, in un dissenso sulla
valutazione operata dai giudici di merito in ordine alle ragioni che hanno
condotto alla reiezione delle doglianze dell’allora appellante. Orbene, è
sufficiente in questa sede richiamare – al fine di evidenziare la manifesta
infondatezza del motivo – come la pena applicata al primo giudice è stata
irrogata – come si legge nella motivazione del giudice di prime cure – “in misura
vicina ai minimi”, avendo infatti indicato il medesimo come pena base quella di
un mese di reclusione ed C 100 di multa, aumentata per ben undici episodi di gg.
22 di reclusione ed C 110,00 di multa. La fattispecie penale, prevista dall’art. 2,
comma 1-bis, del d.l. n. 463/1983 (conv., con modifiche, in L. 638/1983),
punisce con la pena della reclusione fino a tre anni e con la multa fino ad C 1.032
il datore di lavoro che omette di versare all’Ente di gestione previdenziale le
ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle
retribuzioni dei lavoratori dipendenti. Considerato che, ai sensi dell’art. 23 cod.
pen., la pena minima per la reclusione è di gg. 15 di reclusione e che, in base
all’art. 24 cod. pen., la multa non dev’essere inferiore a 50 euro e non superiore
a 50.000 euro, appare evidente come il primo giudice abbia, effettivamente,
tenuto conto dei limiti edittali di legge, irrogato la pena in misura prossima al
minimo. E’, peraltro, pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte che
nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai
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sulla configurabilità del reato contestato, peraltro nemmeno contestata in sede di

minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125,
comma terzo, cod.pen., anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”,
“pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla
personalità del reo (v., ex multis: Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013 – dep.
04/03/2013, Monterosso, Rv. 255153; Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007 – dep.
03/09/2007, Ruggieri, Rv. 237402; ancora, Sez. 3, n. 11513 del 19/10/1995 –

motivazionale, con riguardo al giudizio di appello, deve essere correlato con il
principio dell’integrazione delle motivazioni delle sentenze di primo e di secondo
grado, sicchè l’uso di espressioni sintetiche quali “alla luce dei criteri ex art. 133
cod. pen.” o “pena congrua” è giustificato quando viene irrogata una pena molto
vicina al minimo edittale, non essendo, in tale caso, necessaria una analitica
enunciazione dei criteri). Ne consegue, pertanto, l’insussistenza dell’asserito vizio
motivazionale, atteso che il giudice d’appello, a fronte dell’irrogazione di una
pena in misura prossima al minimo edittale, ha correttamente motivato
ritenendo semplicemente che la pena inflitta fosse “congrua” con riferimento ai
parametri

ex art. 133 cod. pen., formula sintetica che era legittimato ad

utilizzare secondo il richiamato principio giurisprudenziale.

6. Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a norma
dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della
Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima
equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2013

Il Con gliere est.

Il Presidente

dep. 28/11/1995, Merra, Rv. 203011, che peraltro precisa come l’onere

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