Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5476 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5476 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Iacovantuono Alessandro, nato a Spinete il 31/10/1958
avverso la sentenza del 08/03/2013 del Tribunale di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Mario Benedetti che
l’accoglimento del ricorso;

ha concluso chiedendo

Data Udienza: 05/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 8 marzo 2013, il Tribunale di Roma, in
composizione monocratica, condannava, con la concessione delle attenuanti
generiche, Alessandro Iacovantuono alla pena di euro 2.000,00 di ammenda
ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 5 lett. b) legge 283/1962 perché,
quale addetto al trasporto di prodotti alimentari, deteneva per la vendita

180 litri di latte parzialmente scremato, in cattivo stato di conservazione,
essendo stato il trasporto effettuato con frigorifero spento e ad una temperatura
di 22 gradi C in violazione della normativa secondo la quale il trasporto deve
essere effettuato ad una temperatura tra 0°C e + 4°C nonché del reato di cui
all’art. 5 lett. b) e d) legge 283/1962 perché deteneva – all’interno del deposito
mantenuto in condizioni di completo degrado per la presenza di materiali di
risulta, ragnatele, pavimento lurido, piani di lavoro unti, prodotti alimentari in
cattivo stato di conservazione – diversi alimenti con la data di scadenza e TMC
superati; altri originariamente preconfezionati ma in confezione aperta e non più
adeguata a garantire la buona conservazione degli stessi; altri, quali latticini
freschi, mantenuti a temperature non idonee ed infine altri con evidenti segni di
rosicchiamento da roditore.
Nel pervenire a tale conclusione il primo giudice – che assolveva per non
aver commesso il fatto, ai sensi dell’art. 530 cpv. cod. pen., Giuseppe
Iacovantuono, amministratore della ditta Essepi distribuzioni s.r.I., e al quale
erano stati contestati gli stessi reati in concorso con Alessandro Iacovantuono osservava come la responsabilità penale andasse affermata sulla base degli esiti
dell’istruttoria dibattimentale, che imponevano di emettere una pronuncia di
condanna nei confronti dell’imputato per entrambi i reati a lui ascritti.

2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ricorre per cassazione, a
mezzo del suo difensore, Alessandro Iavocantuono, affidando il gravame a due
motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’ad, 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione.
Sostiene il ricorrente, quanto al primo capo di imputazione, come la
sentenza impugnata non contenga alcun concreto apprezzamento delle risultanze
processuali, desumendo, attraverso un apparato motivazionale meramente
assertivo, la responsabilità penale sulla base del mero fatto del trasporto degli
alimenti da parte dell’imputato, omettendo di considerare gli elementi emersi
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all’interno dell’autocarro da lui condotto 100 chilogrammi di pomodori caseari e

dalla complessa attività istruttoria e quelli addotti dalla difesa, ed in particolare
la circostanza, desumibile dai verbali di udienza, secondo la quale sia i testi
escussi in ordine a tale episodio, sia l’imputato nel corso del proprio esame
hanno riferito che gran parte dei prodotti caseari trasportati il giorno 6 agosto
2008 erano costituiti da confezioni di latte a lunga conservazione che non
debbono essere affatto custoditi o conservati in celle frigorifere, tanto meno,
dunque, alle temperature indicate nel capo di imputazione, sicché è mancato del
tutto l’esame di un punto decisivo della causa tanto più che la difesa aveva

momento del sequestro.
Analogo vizio affligge la sentenza anche sul secondo capo di imputazione,
avendo il Giudice ritenuto sussistente la responsabilità dell’imputato sul rilievo
che gli alimenti oggetto di sequestro, in cattivo stato di conservazione, fossero
destinati alla vendita, e che la tesi difensiva, per la quale gli alimenti de quibus
sarebbero stati invece destinati allo smaltimento i non poteva essere accolta in
quanto l’imputato non aveva «saputo tuttavia spiegare per quale ragione – in
sede di controllo – non avesse ritenuto opportuno mostrare agli operanti la
merce (asseritamente ulteriore) destinata alla vendita».
Sul punto, deduce il ricorrente il travisamento della prova, avendo il primo
giudice fondato il proprio convincimento su un risultato di prova
incontestabilmente diverso da quello acquisito, per aver omesso di considerare la
reale portata delle dichiarazioni dell’imputato, rese nel corso dell’esame
dibattimentale, secondo le quali gli alimenti sequestrati, in cattivo stato di
conservazione, si trovavano, come contestualmente verificato dagli operanti, in
un luogo separato da quello nel quale venivano conservati gli alimenti genuini da
porre in vendita (celle frigorifere), tant’è che furono oggetto di sequestro anche
gli alimenti genuini, salvo poi ad essere dissequestrati dallo stesso pubblico
ministero.
Precisa il ricorrente come, sul punto, con il motivo del ricorso non si intenda
affatto fornire una diversa valutazione delle risultanze processuali, ma rimarcare
il fatto che il Giudice abbia travisato quanto riferito dall’imputato, le cui
dichiarazioni erano in parte qua riscontrate dai provvedimenti cautelari allegati
al fascicolo del dibattimento e da dichiarazioni testimoniali indicate nel ricorso,
con la conseguenza che la motivazione sarebbe del tutto viziata per illogicità.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia il vizio di inosservanza e/o
erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 606 lettera b) cod.
proc. pen., e mancanza di motivazione, in relazione all’art. 606 lettera e) cod.
proc. pen. per avere il primo giudice omesso di valutare che i reati fossero
avvinti dal vincolo della continuazione.

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sollevato dubbi in merito alla correttezza dell’accertamento eseguito dalla P.G. al

Tale omissione ha comportato che il Tribunale ha applicato all’imputato
sanzioni autonome ed integrali per ciascuno dei capi d’accusa, mentre avrebbe
dovuto valutare, una volta riconosciuta la responsabilità dell’imputato, se i due
episodi, commessi asseritamente nell’arco temporale di circa 4 mesi, riguardanti
la stessa fattispecie criminosa, realizzati nelle medesime circostanze anche di
luogo (Roma) e del tutto analoghe, avrebbero dovuto essere legate ai sensi
dell’art. 81 cod. pen.

1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.
Quanto al primo motivo, si osserva che con esso il ricorrente, pur
formalmente denunciando il travisamento della prova a illogicità della
motivazione, sottopone alla cognizione della Corte di cassazione censure non
consentite, sollevando questioni relative alla ricostruzione del fatto e alla
valutazione del materiale probatorio, il cui apprezzamento rientra alla esclusiva
competenza del giudice di merito, cercando, in tal modo, di ottenere una
interpretazione del fatto diversa e alternativa rispetto a quella posta a base del
provvedimento impugnato.
Il Tribunale, con congrua motivazione, ha fondato il giudizio di responsabilità
sul rilievo che gli ufficiali di polizia giudiziaria, escussi in dibattimento, avevano
evidenziato che nel corso degli accertamenti riscontrarono condotte unicamente
ascrivibili ad Alessandro Iacovantuono, identificato il 6 agosto 2008 alla guida
dell’autocarro Fiat Iveco tg CH 556 HR mentre trasportava prodotti caseari in
cattivo stato di conservazione destinati alla vendita nonché nel gennaio 2009
mentre era all’interno del deposito di prodotti alimentari della società Gavril
distribuzione s.r.I., sito in via Trigoria 248, luogo in cui vennero rinvenuti
alimenti destinati alla vendita in pessime condizioni igieniche, ovvero con
termine di scadenza superato ovvero con segni di rosicchiamento da roditori. Del
resto lo stesso imputato, nel corso dell’esame dibattimentale, aveva confermato
la sua qualità di responsabile del deposito sito in Roma via Trigoria 248, nonché
di socio della Gavril distribuzione s.r.I., con la conseguenza che, alla luce delle
puntuali descrizioni rese dagli operanti in ordine alle pessime condizioni in cui
vennero reperiti gli alimenti, il Tribunale stimava come del tutto inverosimile la
linea difensiva dispiegata in dibattimento dall’imputato, in base alla quale la
merce sottoposta al controllo nel deposito di via Trigoria 248 fosse destinata allo
smaltimento, non alla vendita, e tanto sul presupposto che lo stesso imputato
non aveva poi saputo spiegare per quale ragione – in sede di controllo – non
avesse ritenuto opportuno mostrare agii operanti la merce (asseritamente
ulteriore) destinata alla vendita.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

A fronte di ciò il ricorrente si limita a proporre una lettura alternativa degli
atti processuali obliterando che il sindacato di legittimità sui provvedimenti
giurisdizionali non può mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del
fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle
emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi diretti
ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte chiarito come, anche a
seguito della modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., introdotta

circoscritto nell’ambito di un controllo di sola legittimità, con la conseguenza che
la possibilità, attribuitale dalla norma, di desumere la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del
processo” non le conferisce il potere di riesaminare criticamente le risultanze
istruttorie, bensì quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito
dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova omessa o
travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (Sez. 6, n. 752 del
18/12/2006, dep. 16/01/2007, Romagnolo,Rv. 235732).
Ne consegue che, anche di fronte alla previsione di un ampliamento dell’area
entro la quale il controllo sulla motivazione deve operare, non muta affatto la
natura del sindacato di legittimità, che rimane limitato alla struttura del discorso
giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa
lettura del materiale probatorio, anche se plausibile, sicché, per la rilevazione dei
vizi della motivazione, occorre che gli elementi probatori indicati in ricorso siano
decisivi e dotati di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento
del giudice del merito (Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508).

3. Anche il secondo motivo di gravame è manifestamente infondato.
Con esso il ricorrente si duole del fatto che il primo giudice non ha unificato
i reati contestati sotto il vincolo della continuazione.
Tuttavia, per pervenire al risultato auspicato dal ricorrente, il Tribunale
avrebbe dovuto ritenere i reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno
criminoso e quindi non solo sussumere le condotte nell’ambito del dolo ma anche
ritenere che l’imputato avesse sin dall’inizio progettato di commettere una serie
ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche
essenziali, atteso che le singole violazioni, per la configurabilità del reato
continuato, devono costituire parte integrante di un unico programma deliberato
nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine.
Il che avrebbe comportato, in vista di una programmazione criminosa
finalizzata alla detenzione per la vendita di prodotti alimentari insudiciati e in
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dalla legge n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di cassazione rimanga

cattivo stato di conservazione, la contestazione di fattispecie delittuose più gravi
e comunque un trattamento sanzionatorio più severo che, con tutta evidenza, il
giudice del merito ha contenuto ritenendo le condotte contravvenzionali colpose.
La giurisprudenza di questa Corte, anche recente, è infatti ferma nel ritenere
che la continuazione può essere ravvisata tra contravvenzioni solo se l’elemento
soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, atteso che la richiesta
unicità del disegno criminoso è di natura intellettiva e consiste nella ideazione
contemporanea di più azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee

4. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte
costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle
ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 05/12/2013

essenziali (Sez. 3, n. 10235 del 24/01/2013, Vitale, Rv. 254423).

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