Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5472 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5472 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Cetrangolo Antonella

nata il 14.1.1973

avverso la sentenza del 27.3.2012
del Tribunale di Sala Consilina, sez. dist. di Sapri
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P.G.,dr.Fulvio Baldi, che ha chiesto
il rigetto del ricorso
sentito il difensore,avv.Giuseppe Tambasco,che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso

1

Data Udienza: 05/12/2013

1. Con sentenza in data 27.3.2012 il Tribunale di Sala Consilina, sez. dist. di Sapri, in
composizione monocratica, condannava Cetrangolo Antonella, previo riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 1.200,00 di ammenda per il reato di cui
all’art.4 co.4 lett.a) D.L.vo 626/94, perché, quale responsabile del cantiere allestito in
Tortorella (SA) alla piazza Umberto 1, ometteva di designare il responsabile del servizio di
prevenzione e protezione interno o esterno all’azienda”.
Il Tribunale, innanzitutto, riteneva infondata l’eccezione di incompatibilità del GIP che aveva
emesso il decreto penale di condanna, sul presupposto che il medesimo aveva rigettato la
richiesta di archiviazione, ordinando al P.M. di formulare l’imputazione. Come la sentenza di
condanna emessa da un giudice ricusato prima della pronuncia sulla ricusazione non è affetta
da nullità, così deve ritenersi per il decreto penale emesso da un giudice asseritamente
incompatibile. In ogni caso, non trattandosi di nullità assoluta ex art.179 c.p.p., essa andava
eccepita con l’atto di opposizione a decreto penale.
Nel “merito”, poi, dalle risultanze processuali emergeva la piena responsabilità dell’imputata
per il reato ascritto.
2. Ricorre per cassazione Cetrangolo Antonella, a mezzo del difensore, denunciando, con il
primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale, non avendo il Tribunale tenuto conto
che la norma contestata è stata abrogata. Né il Tribunale ha indicato se ed in quale norma la
condotta contestata sia rifluita.
Con il secondo motivo denuncia l’abnormità del provvedimento in relazione all’eccepita
incompatibilità del GIP che aveva emesso il decreto penale.
All’udienza del 21.12.2010 veniva eccepita tale incompatibilità, avendo il medesimo GIP
rigettato la richiesta di archiviazione, disponendo la formulazione dell’imputazione ex art.409
co.5 c.p.p.
Il Tribunale, non essendo competente a decidere sulla questione (l’eccezione andava intesa
come ricusazione), avrebbe dovuto o ritenere inammissibile la dichiarazione oppure
trasmettere gli atti al Giudice competente.
Con il terzo motivo denuncia l’inosservanza di norme processuali, avendo il Tribunale ritenuta
tardiva l’eccezione. Non ha tenuto conto invero che, anche se si fosse trattato di una nullità
non assoluta, ma a regime intermedio, essa poteva essere rilevata e dedotta fino al momento
della deliberazione della sentenza di primo grado.
Con il quarto motivo, infine, deduce l’inosservanza della legge penale in relazione alla mancata
concessione del beneficio della sospensione della pena, nonostante l’incensuratezza
dell’imputata e la condotta tenuta dopo la contestazione del reato (aveva provveduto a
nominare il responsabile del servizio anche se in termini diversi da quelli indicati dall’Ispettore
del Lavoro).

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Venendo con il secondo e terzo motivo denunciata la violazione di norme processuali la
Cassazione è giudice anche del fatto per cui è consentito l’accesso agli atti.
Dal verbale di udienza del 21.12.2010 risulta che il difensore, preliminarmente, chiedeva “ex
art.34 di dichiarare la incompatibilità del GIP dr. Di Transo che ha emesso il decreto penale di
condanna”. All’esito dell’acquisizione del fascicolo del P.M., disposta dal Tribunale, il medesimo
difensore eccepiva la “nullità del decreto penale di condanna per incompetenza funzionale”.
Non c’è dubbio, quindi, che da parte della difesa si eccepisse la nullità del decreto penale
perché emesso da un giudice incompatibile ex art.34 c.p.p.
2.1. A norma dell’art. 34 co.2 bis c.p.p. “Il Giudice che nel medesimo procedimento ha
esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari non può emettere decreto penale di
condanna”.

2

RITENUTO IN FATTO

2.2. Il Tribunale ha quindi correttamente ritenuto che non si trattasse di nullità assoluta ex
art.179 c.p.p. e neanche di nullità a regime intermedio ex art.180 c.p.p. (pur non
specificandolo espressamente, ha, infatti, evidenziato che essa andava eccepita “Col primo
atto utile e quindi con l’atto di opposizione al decreto penale”).
Ma a ben vedere, e in tal senso va, trattandosi di questione di diritto, integrata la motivazione
della sentenza impugnata, la ricorrente non aveva alcun “interesse” ad eccepire la nullità del
decreto penale.
Come ribadito anche di recente da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 1 n.22710 del 5.12.2012), il
decreto penale di condanna, una volta che sia stato ritualmente opposto, perde la sua natura
di condanna anticipata e l’unico effetto che esso produce è quello di introdurre un giudizio del
tutto autonomo e non più dipendente dal decreto penale di condanna che, in ogni caso, ai
sensi dell’art.464 comma 3 ult.parte c.p.p., è revocato ex nunc dal giudice del dibattimento,
dopo la verifica della ritualità della instaurazione del giudizio. Si afferma in motivazione:
“..instaurato il dibattimento a seguito di opposizione, il Tribunale, di fronte al decreto penale
di condanna, da considerare come non più esistente, non poteva emettere declaratoria di
nullità, che in tal modo è inutiliter data, ma doveva procedere alla trattazione del processo, pur
in presenza di cause di nullità del decreto opposto, e pronunciarsi nel merito in ordine a tutte
le richieste formulate dall’imputato”.
La revoca del decreto penale costituisce, invero, un antecedente indefettibile “ope legis” del
giudizio conseguente all’opposizione (cfr.Cass.pen. sez. 3 n.22013 del 13.4.2010) e non “ope
iudicis” (cass.pen. sez.3 n.7140 del 7.5.1997), per cui “la nullità del decreto penale è sanata
dall’opposizione e dall’introduzione dell’ordinario giudizio di cognizione, poiché in tal caso si
determina la revoca del provvedimento de quo” (Cass.pen. sez. 3 n.4624 del 9.3.1993).
Pertanto la declaratoria di nullità del decreto penale costituisce atto abnorme, determinando
essa una indebita regressione del procedimento (Cass.pen. sez.6 n.48452 del 20.11.2008).
3. In relazione al primo motivo, va rilevato che la norma contestata, pur formalmente
abrogata, trova chiara continuità normativa negli artt.17 co.1 lett. b) e 55 co.1 lett.b) del
D.L.vo 81/08 ( è punito …”il datore di lavoro che non provvede alla nomina del responsabile
del servizio di prevenzione e protezione ai sensi dell’art.17 co.1 lett.b)….”).
4. Infine, quanto alla dedotta omessa concessione del beneficio della sospensione della pena,
dal verbale di udienza del 27.3.2012 risulta che non veniva avanzata alcuna richiesta in tal
senso.
Trattandosi di condanna a pena pecuniaria, in mancanza di una espressa richiesta, il Giudice
non era tenuto, di ufficio, a concedere la sospensione (e, conseguentemente, a motivare
nell’ipotesi negativa), potendo l’imputata avere interesse a non beneficiarne.
E, nel caso di specie, la mancanza di un’espressa richiesta era indicativa di siffatto interesse.
L’art.5 comma 2 lett.d) DPR 14.11.2012 n.313 prevede, invero, che sono eliminate le iscrizioni
relative ai provvedimenti giudiziari di condanna per le contravvenzioni per le quali è stata
inflitta la pena dell’ammenda, salvo che sia stato concesso alcuno dei benefici di cui agli
artt.163 e 175 del codice penale, trascorsi dieci anni dal giorno in cui la pena è stata eseguita
ovvero si è in altro modo estinta.
La ricorrente, pur avendo riportato condanna alla sola pena dell’ammenda, non avrebbe
potuto, pertanto, in caso di concessione della sospensione, beneficiare della “cancellazione”
sopraindicata della iscrizione.

3

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, però, le cause di incompatibilità non incidono sui
requisiti di capacità del giudice e non determinano la nullità o addirittura l’inesistenza giuridica
del provvedimento adottato dal giudice incompatibile (Cass. Pen. Sez. 6, 9.6.1998 n.1355).
Anche dopo le sentenze della Corte Cost. n.496 del 1990 e nn.401 e 502 del 1991,
l’incompatibilità continua a non essere una condizione di capacità del giudice: con la
conseguente sua rilevanza sotto il profilo di una nullità relativa ex art.181 c.p.p.; la nullità
assoluta ex art.178 lett.a) stesso codice è infatti prevista in relazione al difetto di capacità del
giudice determinato dalla mancanza dei requisiti necessari per l’esercizio delle funzioni
giurisdizionali e non anche in relazione al difetto delle condizioni specifiche per l’esercizio di
quelle funzioni in un determinato procedimento (Cass.pen. sez. 1, 29.12.1995 n.12755).

?A,

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 5.12.2013

5. Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al versamento della somma che pare congruo determinare in euro
1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
5.1. Va solo aggiunto che l’inammissibilità del ricorso preclude ogni possibilità di far valere e
rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art.129 cod.proc.pen. la prescrizione maturata dopo l’emissione
della sentenza impugnata.
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo
sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti decisioni,
ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale
derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno
dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di
impugnazione, e art.606 comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non
punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto
invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria
absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di
assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo
altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato
il giudicato sostanziale”.

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