Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5471 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5471 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Mazzaglia Giovanni, nato a Nicolosi il 18/03/1975
avverso la sentenza del 08/04/2013 della Corte di appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv.

Data Udienza: 05/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 8 aprile 2013, la Corte di appello di Catania
confermava la pronuncia di condanna alla pena di euro 6.000,00 di multa resa
dal medesimo Tribunale ed appellata da Mazzaglia Giovanni.
All’imputato era contestato il reato di cui all’art. 544 ter, commi 2 e 3, 61 n.
2 cod. pen. perché somministrava al cavallo Nobel Rebel sostanze vietate
(caffeina, teofillina, fenilbuazone) tali da interagire sul sistema nervoso portando

morendo sul colpo. Con l’aggravate di aver agito per motivi abbietti e/o futili
consistiti nel voler far raggiungere al cavallo una migliore prestazione al Palio
della città di Belpasso.
La Corte territoriale confermava la penale responsabilità dell’imputato
osservando come correttamente il Tribunale avesse ritenuto integrata una
condotta non già di somministrazione al cavallo di sostanze stupefacenti o
dopanti bensì una condotta di somministrazione di trattamenti che procurarono
un danno alla salute del cavallo.
Secondo il giudice di appello, con riferimento alla condotta illecita contestata
all’imputato e ritenuta in sentenza, è stata acquisita la prova che all’animale
erano stati somministrati farmaci e/o sostanze in dose tale che in condizioni
palesemente innaturali di eccitazione e malessere, il cavallo, benché senza
fantino, ebbe a lanciarsi, nel corso di una competizione, in una corsa impazzita,
sostanzialmente suicida, circostanza, quest’ultima, che rendeva configurabile
anche l’aggravante contestata sul rilievo che il cavallo moriva proprio a causa
delle lesioni che si era procurato per lo stato di accentuata alterazione delle
condizioni fisiche ed in particolare del sistema nervoso.
Non concedibili le attenuanti generiche, neppure reclamabili sulla sola base
dell’incensuratezza del prevenuto, la Corte territoriale riteneva congrua anche la
pena irrogata in prime cure, stimando insussistenti i presupposti per la
concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione.

2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ricorre per cassazione
Giovanni Mazzaglia, a mezzo del suo difensore, affidando il gravame a tre
concorrenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 544 ter cod. pen.
Assume il ricorrente come il giudice di appello abbia completamente
travisato il fatto ed abbia del tutto omesso di rispondere alle puntuali censure
che erano state mosse con i motivi di gravame alla sentenza di primo grado.

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l’animale a lanciarsi in una corsa furiosa fino a che non scivolava e sbatteva

Nessuna parola in sentenza circa il fatto che le sostanze somministrate al
cavallo non fossero né stupefacenti, né dopanti e nessuna motivazione sul fatto
che, come dichiarato da un teste di accusa e come emerso dai risultati delle
analisi, dette sostanze avessero addirittura precise indicazioni terapeutiche.
Deduce il ricorrente come sia poi palesemente illogica l’argomentazione
utilizzata dalla Corte territoriale per inferire che il cavallo, benché senza
fantino,datosi ad una folle corsa suicida, fosse stato sottoposto a trattamenti
produttivi di danno alla salute, essendo stato viceversa accertato, innanzitutto,

malessere o di eccitazione e, in secondo luogo, che l’irrefrenabile ed impazzita
corsa del cavallo fu dovuta ad una erronea partenza intimata dallo start man, il
quale aprì le due gabbie quando sul cavallo non era ancora salito il fantino, la cui
funzione è notoriamente quella di condurre ed eventualmente domare gli istinti
del cavallo da corsa che, nella specie, si diede ad una partenza scomposta ed
irrefrenabile perché sollecitato dallo start sonoro e dall’apertura del box e si
lanciò in una corsa impazzita, completamente sprovvisto del necessario ed
irrinunciabile controllo esercitato dal fantino.
2.2. Con il secondo motivo, al primo intimamente collegato, il ricorrente
denuncia il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante di cui
all’art. 544 ter, comma 3, cod. pen.
Deduce il ricorrente come ancora una volta la Corte territoriale abbia dato
per presupposto che il cavallo fosse in preda ad una alterazione fisica, giammai
processualmente accertata, dalla quale sarebbe scaturita la morte dell’animale,
omettendo tuttavia di motivare sulle deduzioni difensive, oltre ad ignorare le
risultanze dibattimentali, e quindi non considerando che l’incidente in cui incorse
il cavallo fu cagionato non da trattamenti nocivi per la salute ma per la
mancanza del fantino che avrebbe controllato e guidato il cavallo, evitando
l’impatto con l’auto e dunque la morte, con la conseguente inconfigurabilità della
ritenuta aggravante.
2.3. Con il terzo ed

ultimo motivo, il ricorrente lamenta mancanza,

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla legalità
del trattamento sanzionatorio sul rilievo che le gravi carenze motivazionali si
ripercuotono anche sulla commisurazione della pena, essendo state
ingiustamente negate all’imputato le attenuanti generiche nonché i benefici della
sospensione condizionale della pena e della non menzione.
Sostiene il ricorrente come non si sia considerato che le sostanze rilevate
all’esito dei prelievi ematici dopo la morte del cavallo avevano indicazioni
terapeutiche ed erano state somministrate per la cura dell’animale; né è stato
considerato che l’imputato, con il suo cavallo, stesse partecipando ad un palio e

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che l’animale, prima dell’inizio della gara, non aveva manifestato alcun segno di

non a corse illecite,

circostanze che dovevano essere valutate per la

determinazione della pena anche in ossequio al disposto dell’art. 133 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
I primi due motivi di gravame, essendo tra loro connessi, possono essere
congiuntamente valutati.

prova e/o la illogicità della motivazione, sottopone alla cognizione della Corte di
cassazione censure non consentite, sollevando questioni relative alla
ricostruzione del fatto e alla valutazione del materiale probatorio, il cui
apprezzamento rientra alla esclusiva competenza del giudice di merito, cercando,
in tal modo, di ottenere una interpretazione del fatto diversa e alternativa
rispetto a quella posta a base del provvedimento impugnato.
A tal riguardo, giova premettere i limiti del controllo di legittimità quando ci
si trova di fronte, come nella specie, a una doppia sentenza di condanna e
quando la doglianza (travisamento della prova, carenza di motivazione) è
caratterizzata dalla diversa lettura degli atti processuali.
Va allora precisato che, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova
dinanzi ad una “doppia conforme” e cioè ad una doppia conforme decisione (di
condanna), le sentenze di primo e secondo grado vanno apprezzate nel loro
complesso, onde valutarne la conformità al diritto ed alla logica, sì da poterne
considerare la tenuta in sede di legittimità.
Parimenti, va ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, alla luce della
rinnovata formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato
dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, è ora sindacabile il vizio di “travisamento della
prova”, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un dato di conoscenza
considerato determinante, ma non desumibile dagli atti del processo, o quando si
omette la valutazione di un elemento di prova decisivo sullo specifico tema o
punto in trattazione.
Tale vizio può essere fatto valere, però, solo nell’ipotesi in cui l’impugnata
decisione abbia riformato quella di primo grado, ma non nel caso in cui la
sentenza di appello abbia confermato l’anteriore decisione (cosiddetta “doppia
conforme”), posto in questo caso il limite posto dal principio devolutivo, che non
può essere valicato, con coeva intangibilità della valutazione di merito del
risultato probatorio, se non nell’ipotesi in cui il giudice di appello abbia
individuato – per superare le censure mosse al provvedimento di primo grado atti o fonti conoscitive mai prima presi in esame, ossia non esaminati dal primo

Con essi il ricorrente, pur formalmente denunciando il travisamento della

giudice (Sez. 2, n. 42353 del 12/12/2006, P.M. in proc. De Luca, Rv. 235511;
Sez. 2, n. 38788 del 09/11/2006, Levante, Rv. 235509).
Nella specie, il giudice di primo grado, cui si è uniformato il secondo
rispondendo al nucleo delle censure elevate con l’atto di appello, ha
esaustivamente spiegato come le sostanze somministrate al cavallo avessero un
effetto eccitante (per averlo dichiarato il veterinario dell’ASL esaminato come
teste); che, somministrati farmaci al cavallo, il proprietario aveva l’obbligo,
dovendo l’animale gareggiare, di munirsi di ricetta e procedere ad

in sede di gara, oneri – questi ultimi – del tutto inosservati; che, in sede di
perquisizione, nulla era stato rinvenuto presso il domicilio dell’imputato quanto a
registri, né tantomeno indizi di prescrizione di farmaci regolarmente prescritti
all’animale; che neppure la difesa aveva dedotto malattie di cui potesse essere
affetto il cavallo; che erano comprovato al di là di ogni ragionevole dubbio che al
cavallo fossero state somministrati farmaci eccitanti senza che vi fosse alcuna
necessità terapeutica; che, anche il cavallo era partito scosso dalle gabbie per un
errore degli addetti alla partenza, ciò poteva costituire una concausa dell’evento
non idonea di per sé ad escludere le responsabilità dell’imputato.
A fronte di ciò il ricorrente si limita a proporre una lettura alternativa degli
atti processuali obliterando che il sindacato di legittimità sui provvedimenti
giurisdizionali non può mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del
fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle
emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi diretti
ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte chiarito come, anche a
seguito della modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., introdotta
dalla legge n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di cassazione rimanga
circoscritto nell’ambito di un controllo di sola legittimità, con la conseguenza che
la possibilità, attribuitale dalla norma, di desumere la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del
processo” non le conferisce il potere di riesaminare criticamente le risultanze
istruttorie, bensì quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito
dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova omessa o
travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (Sez. 6, n. 752 del
18/12/2006, dep. 16/01/2007, Romagnolo, Rv. 235732).
Ne consegue che, anche di fronte alla previsione di un ampliamento dell’area
entro la quale il controllo sulla motivazione deve operare, non muta affatto la
natura del sindacato di legittimità, che rimane limitato alla struttura del discorso
giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa
lettura del materiale probatorio, anche se plausibile, sicché, per la rilevazione dei
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un’annotazione nell’apposito registro delle somministrazioni nonché di segnalarlo

vizi della motivazione, occorre che gli elementi probatori indicati in ricorso siano
decisivi e dotati di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento
del giudice del merito (Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508).

2. Va conclusivamente chiarito che i giudici di merito hanno, in conformità
all’imputazione, ritenuto la somministrazione non di sostanze dopanti, come
assume il ricorrente, bensì la somministrazione di sostanze vietate (caffeina,
teofillina, fenilbuazone) tali da interagire sul sistema nervoso, cagionando

quale ne derivò la morte.
Sul punto la Corte territoriale ha opportunamente precisato come dovesse
essere ritenuta anche l’aggravante di cui all’art. 544 ter, comma 3, cod. pen.
proprio sul rilievo che il cavallo moriva a seguito delle lesioni che si procurava
per lo stato di accentuata alterazione delle condizioni fisiche ed in particolare del
sistema nervoso, così sussumendo la condotta contestata nell’ambito del primo
comma dell’art. 544 ter cod. pen. e, per l’effetto, rigettando uno dei motivi di
appello proposti in tal senso.

3. Anche il terzo motivo di gravame, in quanto aspecifico, è manifestamente
infondato.
Con esso si contesta il diniego delle circostanze attenuanti generiche, con
conseguente ricaduta sulla determinazione della pena, e la mancata concessione
dei benefici di legge, ivi censurandosi un potere discrezionale il cui esercizio è
stato oggetto di attenta ponderazione e congrua motivazione da parte della
Corte territoriale, che sul punto ha fatto riferimento ai criteri di dosimetria della
pena già utilizzati nella decisione del Giudice di primo grado, confermando
sostanzialmente le ragioni poste alla base delle relative determinazioni
sanzionatorie, ed in tal guisa esprimendo la piena giustificazione di un
apprezzamento di merito come tale non assoggettabile ad alcuna forma di
sindacato in questa Sede.
A fronte di una motivazione con la quale la Corte distrettuale ha ritenuto
non concedibili le attenuanti generiche, in assenza di elementi che potessero
patrocinarne la concessione e in presenza di un elevato grado di offensività della
condotta delittuosa, il ricorrente ha sostanzialmente riproposto gli stessi generici
riferimenti all’art. 133 cod. pen. contenuti nell’atto di appello e stigmatizzati dalla
Corte di merito, che ha evidenziato come, rispetto all’approdo conseguito dal
Tribunale sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, sulla dosimetria
della pena e sulla mancata concessione della sospensione condizionale e della
non menzione, il ricorrente non abbia allegato alcuna circostanza di rilievo che
avesse potuto giustificare una diversa conclusione.
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dunque lesioni al cavallo, tanto che l’animale si lanciò in una corsa sfrenata dalla

Va ricordato che i motivi di gravame costituiscono una parte essenziale ed
inscindibile della impugnazione e, pur nella riconosciuta libertà della loro
formulazione, debbono essere, ai sensi della lett. c) dell’art. 581 cod. proc. pen.,
articolati in maniera specifica: devono cioè indicare chiaramente, a pena di
inammissibilità, le ragioni su cui si fonda la doglianza. In mancanza di ciò, viene
meno l’obbligo del giudice di fornire una risposta a tutte le questioni proposte, in
quanto tale obbligo trova un limite nella genericità della censura.
Ne consegue che la denuncia di difetto di motivazione della sentenza di

nulla rilevando che il giudice di merito non abbia in concreto rilevato tale vizio
(Sez. 1, n. 4713 del 28/03/1996, Bruno, Rv. 204548).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte
costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle
ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 05/12/2013

appello, in ordine a motivi genericamente formulati, non ha alcun fondamento, a

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