Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5467 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5467 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Mercutello Anna Rosa, nata a Gallipoli il 21/04/1976
avverso la sentenza del 08/03/2013 della Corte di appello di Lecce

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Biagio Palamà che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 05/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 8 marzo 2013, la Corte di appello di Lecce
confermava la pronuncia di condanna alla pena di mesi quattro di reclusione resa
dal medesimo Tribunale – sez. dist. di Casarano – ed appellata da Mercutello
Anna Rosa, che veniva condannata altresì al pagamento delle spese processuali
del grado.

2000, n. 74 per non aver versato, quale legale rappresentante della Casa Amata
s.r.I., entro il termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto
d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti d’imposta
per un ammontare di 51.918,00 euro per il periodo d’imposta 2005.
La Corte territoriale confermava la penale responsabilità dell’imputata
osservando che l’addebito non poteva ritenersi escluso, per difetto di dolo o per
forza maggiore, in considerazione del fatto che la condotta omissiva era stata
determinata da carenza di liquidità, a sua volta provocata dall’inadempienza
dell’azienda sanitaria locale (d’ora in poi AsI) nel pagamento di somme di cui la
società era creditrice.
Secondo il giudice d’appello, la condotta omissiva contestata all’imputata
non poteva essere giustificata dall’esistenza di pur ingenti crediti vantati dalla
società nei confronti dell’Asl in quanto lo stato di dissesto dell’imprenditore, il
quale prosegua nell’attività di impresa senza adempiere all’obbligazione
tributaria, non lo esonera dall’adempimento del tributo che è indipendente
rispetto alle vicende finanziarie dell’azienda.

2.

Per l’annullamento della predetta sentenza ricorre per cassazione

Mercutello Anna Rosa, a mezzo del suo difensore, sollevando un unico complesso
motivo con il quale deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen. per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con
riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui
all’art. 10 bis d. Igs. n. 74 del 2000 nonché per l’omesso riconoscimento
dell’esimente di cui all’art.45 cod. pen., e violazione dell’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen. per inesistenza, insufficienza ed illogicità della motivazione.
Premette la ricorrente come la giurisprudenza di merito abbia recentemente
manifestato significative aperture circa l’esonero di responsabilità del soggetto
che, pur integrando il modello legale di reato, ometta di adempiere
tempestivamente all’obbligazione tributaria, trovandosi nell’impossibilità di
versare le somme all’erario in conseguenza di una grave perdita subita per

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All’imputata era contestato il reato di cui all’art. 10 bis d. Igs. 10 marzo

effetto della mancata riscossione di crediti vantati nei confronti di pubbliche
amministrazioni inadempienti.
La stessa giurisprudenza di legittimità, pur rigorosa sul punto, non ha mai
scrutinato, secondo la ricorrente, la questione devoluta alla Corte territoriale,
vertendosi, nel caso di specie, non in una ipotesi di pura e semplice omissione
nel versamento di somme di denaro all’erario, bensì di un versamento tardivo,
non tempestivamente eseguito a causa della mancata riscossione di ingenti
crediti vantati dalla società, di cui la ricorrente era legale rappresentante, verso

pure in ritardo, in un’unica soluzione con il pagamento degli interessi di mora ed
eseguito prima dell’accertamento ed ancor prima della notifica dell’avviso di
garanzia.
Peraltro la questione, secondo la ricorrente, permetterebbe di porre delicate
questioni di legittimità costituzionale, tenuto conto dei principi direttivi fissati dal
legislatore nella legge delega di riforma del sistema fiscale statale (legge 7 aprile
2003, n. 80) che, all’art. 2 lett, m), fissa il principio secondo il quale la sanzione
penale fiscale è applicata nei soli casi di frode e di effettivo e rilevante danno per
l’erario e con ciò consentendo il ricorso alla leva penale nei soli casi di condotta
fraudolenta e di danno, nella specie entrambe insussistenti.
Tali circostanze escludono che la ricorrente abbia avuto il dolo richiesto per
l’integrazione della fattispecie incriminatrice contestata, dolo che, diversamente
ed inammissibilmente, sarebbe ritenuto in re ipsa.
In ogni caso la condotta sarebbe scriminata dalla forza maggiore, dovendosi
considerare come sia stato dimostrato che il ritardo nel pagamento delle ritenute
fu dovuto ad una momentanea mancanza di liquidità della società e dovendosi
inoltre considerare che il versamento, per un importo leggermente superiore alla
soglia di punibilità, non fu eseguito alla scadenza nonostante la società vantasse
crediti verso l’Asl e i Comuni, per oltre 900.000,00 euro, allo stesso modo che
negli anni precedenti.
Ne consegue che, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata, avendo
omesso di valutare le precedenti circostanze e l’altra, pure fondamentale,
secondo la quale la società non era in dissesto ma vantava crediti per centinaia
di migliaia di euro, sia viziata e vada cassata per inesistenza, insufficienza ed
illogicità della motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Va premesso come le Sezioni Unite Penali di questa Corte abbiano
recentemente ribadito, all’esito di una approfondita analisi della normativa

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altra pubblica amministrazione (ASL) e di versamento di somme eseguito, sia

tributaria e delle obbligazioni gravanti sul sostituto d’imposta, che il reato di
omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000) si
consuma con il mancato versamento per un ammontare superiore ad euro
cinquantamila delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione
rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione
della dichiarazione annuale (Sez. U, Sentenza n. 37425 del 28/03/2013,
Favellato, Rv. 255759).
Ne consegue che il delitto di cui all’art. 10 bis d. Igs. n. 74 del 2000 è

conseguenza del mancato compimento dell’azione dovuta, costituita dall’omesso
versamento, entro il termine fissato, delle ritenute risultanti dalla certificazione
rilasciata ai sostituiti dallo stesso contribuente.
Tale termine non coincide con quello richiesto dalla normativa fiscale per
l’adempimento dell’obbligazione tributaria ma è ad esso successivo avendo il
legislatore ritenuto di lasciare al contribuente uno spazio temporale per poter
sanare il proprio debito tributario prima che la condotta omissiva

(non facere

quod debetur) integri la fattispecie penalmente rilevante di cui all’art. 10 bis d.
Igs. n. 74 del 2000.
Infatti, mentre la norma tributaria fissa quale termine per il versamento
all’erario delle ritenute effettuate il giorno sedici del mese successivo a quello in
cui le stesse sono state operate da parte del sostituto (d.P.R. 29 settembre
1973, n. 602, artt. 3 e 8 ), sanzionando l’omissione con l’art. 13, comma 1,
D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, l’art. 10 bis d. Igs. n. 74 del 2000 – nel fare
riferimento a tutte le ritenute operate nell’anno di imposta – stabilisce quale
termine di inadempimento penalmente rilevante quello del 30 settembre
dell’anno successivo.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che il reato di omesso versamento di
ritenute certificate non si pone in rapporto di specialità ma di progressione
illecita con l’art. 13, comma primo, d.lgs. n. 471 del 1997, che punisce con la
sanzione amministrativa l’omesso versamento periodico delle ritenute alla data
delle singole scadenze mensili, con la conseguenza che al trasgressore devono
essere applicate entrambe le sanzioni (Sez. U, Sentenza n. 37425 del
28/03/2013, cit.).
L’elemento soggettivo è, poi, integrato dal dolo generico, richiedendosi la
mera consapevolezza della condotta omissiva (Sez. 3, Sentenza n. 25875 del
26/05/2010, Olivieri, Rv. 248151) ed essendo dunque irrilevante il fine
perseguito dall’agente non richiedendosi, a differenza di altre fattispecie, che il
comportamento illecito sia dettato dalla scopo specifico di evadere le imposte.
Il legislatore ha ritenuto dunque di tutelare, reintroducendo la norma
incriminatrice in questione, non qualsiasi tributo non versato ma solo quelli
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strutturato come reato omissivo proprio istantaneo, posto che si consuma in

dovuti all’erario e trattenuti dal contribuente e che, fin dall’origine, avevano un
preciso vincolo di destinazione.

2. Rispetto a tale quadro giuridico e normativo, sommariamente delineato,
la situazione di colui che non versa l’imposta si risolve, di regola, in una
condotta, cosciente e volontaria, la quale, in modo progressivo, si articola, in un
primo momento, con il mancato accantonamento delle somme trattenute;
successivamente con l’omesso versamento mensile secondo le cadenze previste

fino al termine ultimo fissato dalla norma penale.
Siccome, nella sostituzione tributaria, il sostituto, quale debitore di una
somma costituente reddito per il sostituito, deve, allorché procede al versamento
in favore di quest’ultimo, trattenere una percentuale di questo emolumento (cd.
ritenuta alla fonte) per, poi, versarlo all’Erario entro il sedici del mese successivo
a quello nel quale ha operato la trattenuta, gli spazi per ritenere l’assenza
dell’elemento soggettivo o per integrare la fattispecie della forza maggiore, quale
conseguenza di una improvvisa ed imprevista situazione di illiquidità, appaiono,
all’evidenza, oggettivamente ristretti.

3. Infatti le Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 37425 del 28/03/2013, cit.),
hanno ribadito che, per l’integrazione della fattispecie ai fini della sussistenza
dell’elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico ossia la coscienza e
volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato,
con la sottolineatura che tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia
dei cinquantamila euro, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a
definirne il disvalore.
La prova del dolo, secondo le Sezioni Unite, è insita in genere nella duplice
circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della
dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute
effettuate, la loro data ed ammontare, nonché i versamenti relativi.
Il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute è collegato con
quello della erogazione degli emolumenti ai collaboratori. Ogni qualvolta il
sostituto d’imposta effettua tali erogazioni, insorge, quindi, a suo carico l’obbligo
di accantonare le somme dovute all’Erario, organizzando le risorse disponibili in
modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.
L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo
termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di
organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere
la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza

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dalla normativa tributaria; ed infine con la prosecuzione della condotta omissiva

del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di
non far debitamente fronte alla esigenza predetta.

4. Le precedenti considerazioni non escludono ovviamente che, in astratto,
siano possibili casi, il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come
tale insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, nei quali
possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere
l’obbligazione tributaria.

quanto attiene alla crisi di liquidità, dovranno investire non solo l’aspetto circa la
non imputabilità al sostituto di imposta della crisi economica, che
improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche che detta crisi non possa
essere stata adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte
dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto.
Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il
contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale
adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le
possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a
consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle
somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per
cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili.

5. Nel caso di specie, la ricorrente ha esclusivamente dedotto di vantare, nei
confronti di enti pubblici, crediti, per un importo nettamente superiore al debito
tributario, la cui mancata riscossione non le avrebbe consentito di assolvere
l’obbligazione erariale alla prevista scadenza, avendo in ogni caso corrisposto le
somme con ritardo senza danni per lo Stato, invocando perciò l’assenza del dolo
e la forza maggiore.
La Corte di merito, con motivazione adeguata, ha ritenuto irrilevante, anche
richiamando consolidata giurisprudenza di questa Corte, la prospettata crisi di
liquidità ricordando l’obbligo, gravante sul contribuente, di accantonare le
somme necessarie per il pagamento dell’imposta.
La ricorrente non ha minimamente osservato gli oneri di allegazione a suo
carico, limitandosi a richiamare alcuni specifici 98 atti di causa dai quali, secondo
il suo assunto, si sarebbe ricavata la prova dell’assenza del dolo e della forza
maggiore, e legittimando perciò la Corte all’accesso degli atti specificamente
richiamati nel ricorso.
E’ risultato (esame testimoniale del funzionario dell’agenzia delle entrate
indicato in ricorso) che l’obbligazione è stata assolta dopo due anni (il 10
dicembre 2008) dalla scadenza (2 ottobre 2006); non è risultato che il
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E’ tuttavia necessario che siano assolti gli oneri di allegazione che, per

pagamento sia stato eseguito in conseguenza di crediti liquidi ed esigibili in
precedenza non riscossi; non è stata dimostrata la natura dei crediti vantati;
non è stata dimostrata la improvvisa crisi di liquidità, che invece è apparsa
consolidata dai bilanci di esercizio prodotti e richiamati nel ricorso; non è stato
dimostrato che la ricorrente avesse organizzato le risorse disponibili in modo da
poter adempiere all’obbligazione tributaria né che si sia altrimenti attivata per
assolvere l’obbligazione tributaria, essendosi invece appropriata delle somme che

6. Manifestamente irrilevante la questione di legittimità costituzione
prospettata in modo del tutto sfumato, non essendovi alcuna interferenza,
quanto ad eventuali parametri costituzionali violati, tra la legge delega n. 80 del
2003 per la revisione del sistema fiscale e la norma penale incriminatrice
ipoteticamente censurata, il ricorso va rigettato con conseguente condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 05/12/2013

avrebbe dovuto accantonare distogliendole dalla loro specifica destinazione.

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