Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5466 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5466 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Patanè Maria Concetta

nata l’ 8.7.1977

avverso la sentenza del 6.11.2012
della Corte di Appello di Catania
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P.G.,dr.Fulvio Baldi,che ha chiesto
l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata

Data Udienza: 05/12/2013

1. La Corte di Appello di Catania, con sentenza del 6.11.2012, confermava la sentenza del
Tribunale di Catania, in composizione monocratica, emessa in data 2.3.2010, con la quale
Patanè Maria Concetta, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stata
condannata alla pena di mesi 2 di reclusione per il reato di cui all’art.388 co.4 c.p. “perché
nella sua qualità di custode giudiziario dei beni sottoposti a pignoramento (procedura
esecutiva ai danni di Ma.Va.Car.srl) sottraeva gli stessi alla procedura esecutiva non
comunicandone l’avvenuto trasferimento in altro luogo”; pena sospesa subordinatamente al
pagamento della provvisionale.
Rilevava la Corte territoriale che l’appello era destituito di fondamento, dal momento che dalle
risultanze processuali emergeva che le auto pignorate non si trovavano nel luogo in cui
dovevano essere custodite ed i locali si presentavano in stato di abbandono.
In considerazione del comportamento dell’imputata e del perdurante inadempimento di quanto
dovuto alle parti civili, andava confermata la subordinazione del beneficio della sospensione
della pena al pagamento della provvisionale, come liquidata dal primo giudice.
2. Ricorre per cassazione Patanè Maria, denunciando la violazione di legge.
La Corte territoriale ha fondato la penale responsabilità dell’imputata sulla circostanza che non
era stato possibile notificare l’avviso di vendita dei beni sottoposti a sequestro. La prova che i
beni siano stati trasferiti o distrutti è assente; le stesse persone offese hanno desunto la
mancanza delle auto dal fatto che il difensore aveva loro comunicato che le notifiche non
erano andate a buon fine.
Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione agli artt.163 e 165 c.p.
La Corte territoriale, nel subordinare la sospensione della pena al pagamento della
provvisionale, ha omesso ogni valutazione in ordine alle condizioni economiche dell’imputata.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n.49/75, nel dichiarare infondata la questione di
costituzionalità, ha però precisato che compete al giudice valutare la capacità economica del
condannato.
Con il terzo motivo, infine, denuncia la mancanza di motivazione in ordine alle censure in
tema di trattamento sanzionatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
2. Quanto al primo motivo, la Corte territoriale non ha certo fondato l’affermazione di
responsabilità dell’imputata sulla sola circostanza della impossibilità di notificare alla medesima
il provvedimento che fissava la vendita delle auto pignorate.
Ha, infatti, rilevato che dalle risultanze processuali, ed in particolare dalle deposizioni delle
parti civili (ritenute pienamente credibili), emergeva che le auto non si trovavano nel luogo in
cui dovevano essere custodite e che anzi i locali si presentavano in stato di abbandono.
La ricorrente ripropone le medesime censure, ribadendo che le persone offese, sentite come
testi, avevano dichiarato di aver desunto la mancanza delle auto dal fatto che “il loro legale
gli aveva comunicato che le notifiche non erano andate a buon fine ” (cfr. pag. 2 ricorso) e
richiedendo, quindi, una rivalutazione del materiale probatorio.
Tali censure. oltre che completamente disancorate dalla motivazione della sentenza
impugnata, non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va
esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il
tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in
una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente
corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito
della modifica dell’art.606 lett.e) c.p.p., con la L.46/06, il sindacato della Corte di Cassazione
rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta
illogicità della motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi

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RITENUTO IN FATTO

3. La Corte territoriale, disattendendo i motivi di appello, ha ritenuto, poi, di confermare,
stante il perdurante inadempimento dell’imputata nei confronti della parte civile, la
subordinazione della sospensione della pena al pagamento della provvisionale (e non per
negare il beneficio della sospensione della pena, come assume la ricorrente- cfr. secondo
motivo di ricorso).
Né era tenuta, a tal fine, ad accertare, come richiesto dalla ricorrente, le condizioni
economiche dell’imputata.
La subordinazione del beneficio della sospensione al pagamento delle somme liquidate a titolo
di provvisionale è espressamente prevista dall’art.165 cod.pen. e la norma non richiede alcun
preventivo accertamento sulle condizioni economiche dell’imputato.
E, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte “In tema di
sospensione condizionale della pena nel caso in cui il beneficio venga subordinato
all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, il giudice della cognizione non è tenuto a svolgere
alcun accertamento sulle condizioni economiche dell’imputato, in quanto rientra nella
competenza del giudice della esecuzione valutare l’assoluta impossibilità di adempiere che
impedisce la revoca del beneficio ” (cfr. Cass.pen. sez. 3 n.38345 del 25.6.2013; conf.ex
multis. Cass.pen. sez. 3 n.3197 del 13.11.2008; Cass. Pen. sez. 6, n-48534 del 19.11.2003;
contra Cass. Sez. 5, 3.11.2010 n.4527).
Né sono ravvisabili profili di incostituzionalità della norma dal momento che, nell’ipotesi di
impossibilità ad adempiere in sede di esecuzione, potranno essere allegate le ragioni
dell’incolpevole inadempimento (cfr.Cass.pen.sez.3 n.3197 del 13.11.2008). E’ stata ritenuta,
infatti, manifestamente infondata, in relazione all’art. 3 Cost., la questione di legittimità
costituzionale dell’art.165 c.p. nella parte in cui non esclude che l’esercizio da parte del
giudice della facoltà di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena al
pagamento della somma accordata a titolo di risarcimento del danno possa fondarsi su
considerazioni afferenti le condizioni economiche e sociali dell’imputato, in quanto il giudice
della cognizione non è tenuto a compiere alcuna indagine sulle condizioni economiche
dell’imputato. Trovando la verifica della concreta possibilità del condannato di far fronte a tale
onere la sua realizzazione soltanto in sede esecutiva (Cass.pen.sez.6 n.713 dell’1.12.2003).
Del resto, la Corte Costituzionale, con la pronuncia n.49/75, (richiamata dalla ricorrente),
nell’escludere l’illegittimità costituzionale dell’art.165 c.p., in quanto la norma non determina
situazioni di privilegio o di svantaggio, ben potendo il giudice valutare la capacità economica
del condannato di sopportarne l’onere, non ha certo individuato nel Giudice della cognizione
quello cui è demandato tale accertamento.
4. Infine, in ordine al trattamento sanzionatorio, a fronte di generiche deduzioni, contenute in
proposito nei motivi di appello (si chiedeva una pena più mite per la lievità del danno e per
l’incensuratezza), la Corte di merito ha ritenuto che la pena irrogata in primo grado fosse
“congrua e pienamente aderente ai criteri di dosimetria dettati dall’art.133 c.p.”.
Il riferimento a tali criteri giustifica sul piano argomentativo il criterio seguito nell’esercizio del
potere discrezionale.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, la specifica e dettagliata motivazione in
ordine alla quantità di pena irrogata, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficiente a dare

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di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le
risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito
dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o
travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del
18.12.2006). Anche dì fronte alla previsione di un allargamento dell’area entro la quale deve
operare, non cambia la natura del sindacato di legittimità; è solo il controllo della motivazione
che, dal testo del provvedimento, si estende anche ad altri atti del processo specificamente
indicati. Tale controllo, però, non può “mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo
del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze
processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il
convincimento espresso dal giudice di merito” (Cass.pen.sez.2 n.23419/2007-Vignaroli;
Cass.pen. sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012).

conto dell’impiego dei criteri di cui alrart.133 c.p. le espressioni del tipo: “pena congrua”,
“pena equa” (cfr. Cass.pen. Sez. 2 n.36245 del 26.6.2009).
P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 5.12.2013

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