Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5463 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5463 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Diouf Oumar, nato in Senegal il 14/04/1969
avverso la sentenza del 26/09/2012 della Corte di appello di Lecce

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio;
udito per l’imputato l’avv. Americo Barba che ha concluso chiedendo
l’annullamento senza rinvio;

Data Udienza: 05/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 26 settembre 2012, la Corte di appello di
Lecce, in riforma della sentenza resa dal medesimo Tribunale, in composizione
monocratica, assolveva Oumar Diouf dal reato di cui all’art. 171 ter, comma
primo, lett. d), legge 22 aprile 1941, n. 633, cosi riqualificata l’iniziale
contestazione di cui all’art. 171 ter, comma primo, lett. a), legge n. 633 del
1941, perché il fatto non sussiste, confermando la sentenza appellata sia

del 1941, come diversamente qualificato il fatto in contestazione, rideterminando
la pena inflitta a Oumar Diouf in mesi quattro di reclusione ed euro 1.800,00 di
multa, e sia nel resto delle statuizioni.
La Corte territoriale perveniva a siffatta conclusione premettendo che, con
sentenza emessa il 13 febbraio 2009 dal Giudice Monocratico del Tribunale di
Lecce, Oumar Diouf venne riconosciuto responsabile del delitto di cui all’art. 171
ter, comma primo, lett. a), legge n. 633 del 1941 per aver, in epoca antecedente
e prossima al 14 aprile 2005, duplicato e detenuto per la vendita 51 CD musicali
e 10 DVD privi del timbro SIAE, dei dati identificativi della ditta produttrice e
degli autori delle canzoni.
Tanto premesso, la Corte di appello riteneva necessario preliminarmente
procedere alla riqualificazione del reato ascritto all’imputato, dovendosi
correttamente individuare, sulla base delle emergenze istruttorie conseguite alla
disamina dibattimentale di primo grado, quali condotte configurabili a suo carico
quelle di cui alle lettere c) e d) dell’art. 171 ter, comma primo, legge n. 633 del
1941, con la conseguenza che il Diouf, mentre con riguardo alla condotta di cui
all’art. 171 ter, comma primo, lett. d), legge n. 633 del 1941, doveva essere
assolto perché il fatto, ossia la mancata apposizione del contrassegno SIAE, era
stato commesso ratione temporis prima dell’adozione del d.P.C.M. n. 31 del 2009
e dunque allorquando non costituiva reato, viceversa doveva essere condannato
per il solo reato di cui alla lett. c) dell’art. 171 ter legge n. 633 del 1941, avendo
comunque egli detenuto per la vendita il materiale in sequestro.

2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ricorre per cassazione
Oumar Diouf, a mezzo del suo difensore, sollevando tre motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo, denunciando errata applicazione dell’art. 171 lett.
c) della legge 633 del 1941 e violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. nonché
violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., il ricorrente
lamenta il fatto che, nonostante egli fosse stato condannato in primo grado per il
solo reato previsto dall’art. 171 ter, comma primo , lett. a) della legge n. 633 del
1941 (secondo la formulazione precedente le modifiche apportate dalla legge 23
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relativamente al reato di cui all’art. 171 ter, comma primo, lett. c), legge n. 633

dicembre 2009 n. 191), la Corte di appello, in violazione dell’art. 521 cod. proc.
pen., ha sdoppiato l’imputazione assolvendolo dal reato di cui all’art. 171

ter

comma primo lett. d) legge n. 633 del 1941 e condannandolo per il reato di cui
all’art. 171 ter, comma primo, lett. c), legge n. 633 del 1941.
Tuttavia, dalla contestazione in fatto, al Diouf erano state contestate, a tutto
concedere, le ipotesi di cui alla lett. a) e dalla lett. d) dell’art. 171 ter legge
n.633 del 1941, giammai quella di cui alla lett. c) dello stesso art. 171 ter, con la
conseguenza che la Corte di appello avrebbe dovuto applicare l’art. 521, comma

che ha comportato che, per lo stesso fatto contestato al Diouf, la Corte di appello
ha escluso il reato ritenuto nella sentenza di primo grado, ha assolto l’imputato
dal reato di cui alla lett. d) del comma primo dell’art. 171 ter della legge n. 633
del 1941 e lo ha condannato per un terzo reato, ossia quello previsto dalla lett.
c) dell’art. 171 ter, comma 1, legge n. 633 del 1941.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando erronea applicazione
dell’art.171 ter lett. c) della legge 633 del 1941 e violazione dell’art. 606, comma
1, lett.b), cod proc. pen., si duole sostanzialmente del fatto di non essere stato
assolto dal reato di cui alla lett. c) dell’art. 171 ter legge n. 633 del 1941 per le
medesime ragioni per le quali la Corte di appello lo ha assolto con riferimento
all’ipotesi di cui alla lett. d) della stessa legge, ossia per il fatto che l’obbligo di
apporre sui dischi compatti, contenenti opere d’arte figurativa, il contrassegno
SIAE, in vista della loro commercializzazione nello stato membro interessato,
costituisce, secondo la direttiva europea 83/189/CEE, una «regola tecnica»
che, qualora non notificata alla Commissione della comunità europea (secondo le
procedure di cui alla direttiva 98/34/CEE), non può avere efficacia nei confronti
del privato.
Poiché al momento dei fatti addebitati al Diouf non era stata notificata
alcuna «regola tecnica» alla commissione della Comunità Europea, l’assenza
del contrassegno SIAE sui supporti cd, dvd e simili non poteva essere fatto
valere dallo Stato Italiano nei confronti del privato, con la conseguenza che il
ricorrente doveva essere assolto per insussistenza del fatto.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo, denunciando errata applicazione dell’art.
171 ter, comma primo, lett. c) legge n. 633 del 1941 in relazione all’art. 49 cod.
pen. nonché violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen, il
ricorrente si duole del fatto che i giudici di merito abbiano omesso di motivare
su un punto essenziale della fattispecie incriminatrice e cioè se il materiale
sequestrato all’imputato contenesse opere dell’ingegno tutelate e,
eventualmente, se le stesse fossero state validamente riprodotte per incisione.
L’accusa, in altri termini, avrebbe dovuto fornire la prova dell’esistenza del
diritto dell’autore allo sfruttamento economico dell’opera, incombendo su di essa

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2, cod. proc. pen. e non operare una duplicazione dell’imputazione; operazione

l’onere di dimostrare che l’opera stessa fosse creazione dell’ingegno (e non
plagio o copiatura) e quindi che fosse affidata alla SIAE per la tutela dei diritti
economici. Siccome nel caso di specie non è stato accertato, neanche attraverso
l’ascolto o la visione a campione del materiale sequestrato, se i supporti i
contenessero opere tutelate dal diritto d’autore, né se gli stessi fossero tutti
validamente incisi, deve ritenersi insussistente il fatto contestato per l’assenza
della materialità dell’opera da tutelare.

1. Il ricorso è infondato e deve pertanto essere rigettato.
Quanto al primo motivo, va precisato come all’imputato fosse stato
specificamente contestata in fatto la condotta di avere detenuto per la vendita
51 CD musicali e 10 DVD privi del timbro SIAE, dei dati identificativi della ditta
produttrice e degli autori delle canzoni.
L’imputato ha quindi conosciuto esattamente la condotta delittuosa
contestatagli in fatto e tale regolare contestazione ha consentito all’imputato di
difendersi regolarmente dalla contestazione relativa alla reale condotta
penalmente rilevante accertata.
La Corte territoriale ha sussunto il fatto storico nella fattispecie astratta di
cui all’art. 171 ter, comma 1, lett. c) legge n. 633 del 1941, a differenza di
quanto ritenuto dal primo giudice che aveva invece configurato la fattispecie di
cui alla lett. a) stessa legge.
Si duole il ricorrente di essere stato in sostanza condannato per un fatto
diverso da quello contestato con conseguente violazione da parte della Corte di
merito del principio della correlazione tra accusa e sentenza.
La doglianza è priva di fondamento in quanto la Corte territoriale non ha
modificato il fatto, essendo rimasto integro il contenuto fattuale dell’accusa,
siccome cristallizzato e consolidato sul fatto tipico della detenzione, che è
peraltro condotta estranea alle ipotesi previste dall’art. 171 ter, lett. a), legge n.
633 del 1941.
Va poi considerato come la lett. c) dell’art. 171 ter legge n. 633 del 1941
consideri condotte successive a quelle indicate all’art. 171

ter, lett. a) e b),

aventi ad oggetto le medesime opere: introduzione nel territorio dello Stato,
detenzione per la vendita o la distribuzione, distribuzione, messa in commercio,
noleggio o comunque cessione a qualsiasi titolo, proiezione in pubblico,
trasmissione a mezzo della televisione con qualsiasi procedimento, trasmissione
a mezzo della radio, fare ascoltare in pubblico.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

Il presupposto per l’applicazione della norma è che il soggetto non abbia
concorso nelle condotte di riproduzione e duplicazione abusiva delle opere in
oggetto.
Essendo stata contestata la detenzione per la vendita nelle circostanze di
luogo e di tempo cristallizzate nell’imputazione, la Corte territoriale ha solo
provveduto alla corretta qualificazione in iure del fatto contestato rispetto al
quale l’imputato ha pienamente esercitato il diritto di difesa avendo avuto piena
conoscenza di aver detenuto per la vendita un numero determinato di supporti

del 1941, erroneamente contestata in iure.
Va ribadito che il fatto storico ossia l’episodio della vita che è stato sussunto
nell’ambito della fattispecie penale incriminatrice non è mutato, perché
all’imputato sin dal primo momento si contestava non il concorso nella
riproduzione o duplicazione delle opere bensì la detenzione per la vendita di
esse.
Ne consegue che non sussiste violazione del principio di correlazione fra
accusa e sentenza, nel caso in cui l’imputato, originariamente tratto a giudizio
per avere posto in commercio supporti audio-video privi di contrassegno Siae ex
art. 171 ter, lett. a), legge n. 633 del 1941 sia condannato per avere invece
venduto detti supporti ex art. 171 ter, lett. c), stessa legge, purché egli abbia
potuto conoscere il contenuto in fatto della condotta attraverso il riferimento
della contestazione al numero dei cd e dvd e alle circostanze di tempo e di luogo
della stessa (Sez. 3, n. 42096 del 03/10/2007, Diop, Rv. 238102).
Va solo precisato come non vi sia alcun dubbio che anche il giudice
dell’impugnazione può e deve procedere alla corretta qualificazione giuridica del
fatto alla condizione però che sia assicurato all’imputato il contraddittorio sul
punto e ciò alla luce della pronunzia della Corte EDU nel caso Drassich vs. Italia.
Per la Corte europea, il «processo equo» esige che l’imputato, una volta
informato dell’accusa e cioè dei fatti e della qualificazione giuridica ad essi
attribuita, deve essere messo in grado di discutere in contraddittorio su ogni
profilo che li investe ed il contraddittorio deve essere garantito anche nei casi in
cui l’ordinamento processuale abiliti il giudice a dare al fatto una definizione
giuridica diversa da quella enunciata nella imputazione originariamente elevata
nei confronti dell’imputato.
Siccome l’art. 521, comma 1, cod. proc. pen. attribuisce al giudice il potere
di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nel capo
d’imputazione, senza richiedere a tale proposito l’instaurazione di un previo
contraddittorio, l’art. 521, comma 1, cod. proc. pen. deve essere interpretato in
conformità con l’art. 6, comma 3, lett. a) e b), della Convenzione europea dei

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contenenti opere dell’ingegno indicate nella lett. a) dell’art. 171 ter legge n. 633

diritti dell’uomo, secondo l’interpretazione, in precedenza riassunta, datane dalla
Corte di Strasburgo.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte si è già reiteratamente espressa,
affermando il principio, che va ribadito, secondo il quale qualora una diversa
qualificazione giuridica del fatto venga effettuata dal giudice di appello senza che
l’imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la
garanzia del contraddittorio resta comunque assicurata dalla possibilità di
contestare la diversa definizione mediante il ricorso per cassazione (Sez. 2, n.

Ciò è quanto è puntualmente avvenuto nel caso di specie, risultando
rispettato anche il principio che obbliga il giudice nazionale di interpretare le
norme interne in conformità con quelle comunitarie e convenzionali, queste
ultime anche secondo la interpretazione datane dalla Corte Edu.

2. In ordine al secondo motivo di gravame, esso è aspecifico rispetto alla
ratio decidendi enunciata nella sentenza impugnata e comunque è infondato.
La Corte territoriale non ignorato la circostanza della non opponibilità ai
privati della normativa sul contrassegno Siae quale effetto della mancata
notificazione della cosiddetta «regola tecnica» alla Commissione della Comunità
Europea.
Solo che non ha tratto le conseguenze sperate dal ricorrente circa la non
configurabilità del reato contestato in quanto – e su tale aspetto il motivo di
gravame tace – ha ritenuto che, in tema di diritto d’autore, la non opponibilità ai
privati della normativa sul contrassegno Siae quale effetto della mancata
comunicazione della stessa alla Commissione Europea in adempimento della
normativa comunitaria relativa alle «regole tecniche», nel senso affermato
dalla Corte di giustizia CE, comporta il venir meno unicamente dei reati
caratterizzati dalla sola mancanza del contrassegno suddetto, continuando
dunque ad essere vietata e sanzionata penalmente qualsiasi attività che
comporti l’abusiva diffusione, riproduzione o contraffazione delle opere
dell’ingegno (Sez. 3, Sentenza n. 34555 del 24/06/2008, Cissoko, Rv. 240753),
con la conseguenza che relativamente ai reati aventi ad oggetto supporti
illecitamente duplicati o riprodotti, la mancanza del contrassegno Siae, pur non
comunicato dallo Stato Italiano alla Commissione Europea in adempimento della
normativa comunitaria relativa alle «regole tecniche», continua a mantenere
valenza indiziaria dell’illecita duplicazione o riproduzione (Sez. 3, n. 129 del
19/11/2008, dep. 08/01/2009, Kebe, Rv. 242013).

3. Anche il terzo motivo è infondato.

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37413 del 15/05/2013, Drassich, Rv. 256652).

Va precisato che la prova dell’avvenuta consumazione del reato di
detenzione per la vendita di dei supporti audiovisivi abusivamente duplicati non
richiede che debbano essere eseguiti accertamenti tecnici sul corpo del reato,
ben potendo la prova dell’illecita duplicazione essere raggiunta sulla base di una
pluralità di elementi come il numero di supporti posti in vendita, le modalità di
tempo e di luogo della vendita, l’assenza di documenti relativi alla lecita
provenienza della merce, il confezionamento, il tipo di supporto utilizzato,
l’assenza di loghi e marchi del produttore e l’utilizzo di copertine fotocopiate

Nella specie, come emerge dalla sentenza impugnata, l’imputato era stato
scoperto mentre era intento alla vendita in una pubblica e centrale piazza della
città, deteneva 61 supporti destinati alla cessione e con riferimento ai quali la
polizia giudiziaria accertava la illecita riproduzione senza che fossero allegate, né
sul luogo dell’accertamento e né successivamente, circostanze tali da smentire
l’approdo investigativo.
Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 05/12/2013

(Sez. 2, n. 5228 del 07/11/2012 (dep. 01/02/2013 ), Mbaye Rv. 255046).

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