Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5462 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5462 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Mboup Dabo

nato il 13.4.1974

avverso la sentenza del 29.6.2012
della Corte di Appello di Salerno
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P.G.,dr.Fulvio Baldi,che ha chiesto
l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata

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Data Udienza: 05/12/2013

1. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza del 29.6.2012, in parziale riforma della
sentenza del Tribunale di Salerno, in composizione monocratica, resa in data 11.1.2007, con la
quale Mboup Dabo, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche dichiarate
prevalenti sulla contestata aggravante, era stato condannato per i reati di cui agli artt. 81 cpv.
c.p., 171 bis e ter L.633/41 (capo a) e 648, 61 n.2 c.p. (capo b), assolveva l’imputato
appellante dal reato di cui all’art.171 ter co.1 lett.d) contestato al capo a) perché il fatto non
sussiste e, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art.648 cpv. c.p., rideterminava la
pena per i residui reati in mesi 7 di reclusione ed euro 300,00 di multa.
Rilevava la Corte territoriale che dalle risultanze processuali emergevano numerosi elementi in
ordine alla duplicazione del materiale sequestrato ed al fatto che non si trattasse di supporti
vuoti, per cui non appariva necessario procedere all’ascolto ed alla visione del materiale
medesimo, né disporre alcun accertamento tecnico.
Ricorreva anche il reato di ricettazione, che pacificamente, come affermato dalla sentenza delle
Sezioni Unite, concorre con quello di cui all’art.171 ter, non essendo supportata da alcun
elemento l’effettuazione della duplicazione da parte dello stesso imputato (smentita anzi dal
numero dei supporti detenuti e dalle modalità di confezionamento).
2. Ricorre per cassazione Mboup Dabo, a mezzo del difensore, denunciando, con il primo
motivo, la violazione di legge in relazione agli artt.125 co.3 c.p.p. e 171 ter lett.c) L.633/41,
nonchè il vizio di motivazione.
All’udienza del 16.7.2010 la Corte di Appello riteneva assolutamente necessario, ai fini della
decisione, procedere all’ascolto ed alla visione dei supporti sequestrati, per cui disponeva la
parziale rinnovazione del dibattimento.
All’udienza del 2.12.2011 la Corte, in diversa composizione, rinviava il processo, stante
l’omessa citazione dell’imputato, e fissava nuova udienza per la visione e l’ascolto dei
supporti.
All’udienza del 29.6.2012 la Corte, ancora in diversa composizione, senza che fosse
intervenuto alcun fatto nuovo e senza alcuna motivazione, con una nuova ordinanza (che si
impugna espressamente) revocava la precedente ordinanza istruttoria e procedeva alla
trattazione dell’appello.
La motivazione è, poi, illogica e sostanzialmente apparente in relazione alla ritenuta
sussistenza del reato di cui all’art.171 ter co.1 lett.c) L.633/41.
Gli elementi indicati non provano in alcun modo che i supporti detenuti riproducessero opere
tutelate dal diritto d’autore e quale fosse il loro effettivo contenuto (la riproduzione in fotocopia
delle copertine non era dirimente, potendo il contenuto essere diverso da quello apparente o
addirittura mancante). Del resto, la stessa Corte di Appello, in diversa composizione, aveva
ritenuto necessario effettuare una verifica in proposito.
Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione. La Corte
territoriale, in aperta violazione della norma di cui all’art.171 bis L.633/1941, così come
interpretata dalla giurisprudenza di legittimità alla luce della Sentenza della Corte di Giustizia
europea 8.11.2007, è pervenuta ad una sentenza di condanna.
Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla
ritenuta sussistenza del reato di ricettazione.
In presenza di un’ ipotesi alternativa, ugualmente plausibile, in ordine alla duplicazione da
parte dello stesso imputato, la Corte avrebbe dovuto pronunciare sentenza di assoluzione per
insufficienza della prova sulla sussistenza del fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di nullità (per inosservanza dell’art.125 co.3
c.p.p.) proposta con il primo motivo di ricorso in relazione all’ordinanza dibattimentale del
29.6.2012.
Venendo denunciata la violazione di norme processuali la Corte di legittimità è giudice anche
del fatto, per cui è consentito l’accesso agli atti.

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RITENUTO IN FATTO

2. Va a tal proposito ricordato che la rinnovazione del dibattimento nella fase di appello ha
carattere eccezionale, dovendo vincere la presunzione di completezza dell’indagine probatoria
del giudizio di primo grado. Ad essa può, quindi, farsi ricorso solo quando il giudice la ritenga
necessaria ai fini del decidere.
“…il giudice d’appello, dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell’art.495, comma secondo,
cod.proc.pen. deve decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi previsti
dall’art.190 stesso codice, mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali
riconosciutigli dal successivo art.603 in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non
sopravvenute al giudizio di primo grado” (cfr.Cass.sez. 6 n.761 del 10.10.2006).
Laddove, invece, non venga dedotta la violazione dell’art.495 c.p.p., il giudice di appello, in
presenza di una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, a norma dell’art.603
comma 1 c.p.p., dispone l’integrazione istruttoria solo se ritenga che il processo non possa
essere deciso allo stato degli atti. Nel caso in cui, invece, le nuove prove siano sopravvenute o
scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice di appello dispone la rinnovazione
dell’istruzione nei limiti previsti dall’art.495 comma 1 (art.603 comma 2 c.p.p.). -Cass.pen.
Sez. 3 n.8382 del 22.1.2008; Cass.pen.sez.1 n.39663 del 7.10.2010.
Il sistema delineato dal legislatore è, quindi, assolutamente lineare e coerente. La parte che
non abbia fatto richiesta dei mezzi di prova nei limiti e nei termini di cui all’art.495 può (a
parte il caso di ammissioni di prove ex art.507 c.p.p. cui non può non far seguito l’ammissione
delle eventuali prove contrarie), successivamente, vedersi riconosciuto il diritto alla prova
soltanto se si tratti di prove nuove o scoperte dopo il giudizio di primo grado. In tal caso (e
solo in tal caso) vi è una sorta di “restituzione in termini”, venendo la parte rimessa nella
situazione preesistente; sicchè il giudice deve decidere sull’ammissione della prova secondo i
criteri di cui al combinato disposto degli artt.495 comma 1 (richiamato dall’art.603 c. 2 c.p.p.)
e 190 c.p.p., potendola quindi rigettare soltanto se “manifestamente superflua o irrilevante”.

All’udienza del 16.7.2010 la Corte di Appello, ritenendone la necessità ai fini della decisione,
disponeva, in parziale rinnovazione del dibattimento, l’ascolto e la visione dei supporti
audiovisivi in sequestro rinviando ad altra data per procedere all’incombente.
Dopo un rinvio disposto all’udienza del 2.12.2011, per omessa citazione dell’imputato,
all’udienza del 29.6.2012, la Corte di Appello, in diversa composizione, verificata la regolare
costituzione delle parti e dato atto che era stata emessa da altro Collegio ordinanza istruttoria
per l’ascolto dei c.d., sentite le parti, “revocava la precedente ordinanza non ritenendo
necessario procedere all’ascolto”.
Tanto premesso, rileva il Collegio che la Corte territoriale ha operato correttamente.
Innanzitutto, essendo mutata la composizione, ha proceduto alla ripetizione delle sequenze
procedimentali previste dal codice per non incorrere nella violazione dell’art.525 c.p.p., come
precisato dalle Sezioni Unite (SS.UU. 15 gennaio 1999 – 17 febbraio 1999, n. 2 )annasso).
Il Giudice, in diversa composizione, invero, non solo non è vincolato dalle decisioni adottate in
precedenza, ma non può neppure utilizzare “automaticamente” il materiale probatorio
acquisito.
Nel rinnovare le sequenze procedimentali, la Corte territoriale, pur dando atto della precedente
ordinanza adottata da Collegio in diversa composizione, ha ritenuto che non fosse
assolutamente necessario, ai fini della decisione, procedere alla rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale.

3. E’ pacifico che, nel caso di specie, non era stato chiesto l’accertamento tecnico sul materiale
sequestrato a norma dell’art.495 c.p.p. e neppure con i motivi di appello.
Si verteva, pertanto, nell’ipotesi di cui all’art.603 co.3 c.p.p., e, conseguentemente la
rinnovazione poteva essere disposta soltanto se “assolutamente necessaria” ai fini della
decisione.
Il Collegio, in diversa composizione, ha ritenuto che non sussistesse, in presenza delle
risultanze già acquisite (che attestavano che non si trattava di supporti vuoti), siffatta assoluta
necessità e di tanto ha dato conto nella motivazione della sentenza (pag.4 e 5 sent.).
E, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “l’ordinanza che dispone la rinnovazione parziale
del dibattimento in appello non condiziona l’attività ulteriore del giudice procedente e, quindi,
può essere in tutto, o in parte revocata, sia esplicitamente sia implicitamente, essendo in
questo
secondo caso sufficiente
che in sentenza il giudice dia ragione del proprio

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4. Correttamente è stata, poi, applicata la sentenza della Corte di Giustizia europea (emessa in
data 8.11.2007 nel procedimento C-20/05, Schwibbert) che ha incluso la normativa che
prevede l’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE sui supporti, contenenti opere
sottoposte al diritto d’autore, tra le “regole tecniche”, in ordine alle quali è previsto l’obbligo di
comunicazione alla Commissione europea per consentirle di verificarne la compatibilità con il
principio comunitario di libera circolazione delle merci.
Questa Corte ha, con varie pronunce,
rilevato che “tra le fattispecie penali in cui il
contrassegno è previsto come elemento negativo rientra quella di cui all’art.171 ter lett.d)
L.633/41 (nel testo modificato dalla legge 18.8.2000 n.248), che appunto punisce chiunque
detiene per la vendita supporti musicali, o audiovisivi, cinematografici etc. privi del
contrassegno SIAE. Tra tali fattispecie non rientra invece quella di cui all’art.171 ter lett.c)
L.633/41 (nel testo modificato dalla Legge 18.8.2000 n.248), appunto perché non prevede
come elemento essenziale tipico la mancanza del contrassegno in parola, ma punisce soltanto
chiunque detiene a fini commerciali supporti illecitamente duplicati o riprodotti, pur non
avendo concorso alla duplicazione o riproduzione. In quest’ultimo caso, insomma, la mancanza
del contrassegno può essere semmai valutata come mero indizio della illecita duplicazione o
riproduzione, ma non assurge al ruolo costitutivo della condotta” (cfr.Cass.pen. sez.3
sent.n.334 del 12.2.2008,ric.Valentino).
4.1. Il ricorrente è stato mandato assolto dalla contestazione relativa alla detenzione per la
vendita di supporti privi del contrassegno SIAE, ed è stato condannato solo per l’abusiva
duplicazione (pag.6,7 sent.app.).
La Corte territoriale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ritenuto, sulla
base di una pluralità di elementi indiziari, che non potessero esservi dubbi in ordine
all’abusiva duplicazione (pag.4 e ss.).
Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione, richiede sostanzialmente
una rivisitazione delle risultanze processuali.
Tali censure non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va
esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il
tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in
una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente
corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito
della modifica dell’art.606 lett.e) c.p.p., con la L.46/06, il sindacato della Corte di Cassazione
rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta
illogicità della motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi
di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le
risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito
dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o
travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del
18.12.2006; Cass.pen.sez.2 n.23419/2007-Vignaroli; Cass.pen. sez. 6 n. 25255 del
14.2.2012).
5. Infine, quanto al reato di ricettazione, la Corte territoriale, ha innanzitutto richiamato la
giurisprudenza assolutamente pacifica di questa Corte, a partire dalla decisione delle sezioni
unite n.47164 del 20.12.2005, secondo cui “In materia di tutela del diritto di autore sulle
opere dell’ingegno, è configurabile il concorso tra i reato di ricettazione (art.648 c.p.) e quello
di commercio abusivo di prodotti audiovisivi abusivamente riprodotti (art.171 ter Legge 22
aprile 1941 n.633), quando l’agente, oltre ad acquistare supporti audiovisivi fonografici o
informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni legali, li detenga a fine di
commercializzazione. (In motivazione la Corte ha precisato che il principio affermato deve
applicarsi alle condotte poste in essere successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 9
aprile 2003 n.68 che ha abrogato l’art.16 della L.n.248 del 2000, sostituendolo con il nuovo
testo dell’art.171 ter Legge 633 del 1941)”.

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convincimento e dell’adeguatezza degli elementi probatori acquisiti” (cfr. Cass.sez. 5 n.13260
del 21.10.1999).

6. Non essendo il ricorso manifestamente infondato (soprattutto in relazione all’eccezione di
nullità) va dichiarata ex art.129 c.p.p. la prescrizione dei residui reati di cui al capo a).
Il termine massimo, di prescrizione di anni 7 e mesi 6 (tenuto conto anche della interruzione)
è infatti maturato in data 1.11.2012, essendo stati i reati commessi 1’1.5.2005.
Essendo stata la pena/ per detti reati / indicata dalla Corte di merito (quale aumento a titolo di
continuazione) nella misura di giorni 15 di reclusione ed euro 100,00 di multa per ciascuno di
essi, è possibile procedere in questa sede, senza necessità di rinvio, alla rideterminazione della
pena, per il reato di ricettazione, in mesi 6 di reclusione ed euro 100,00 di multa, con
eliminazione quindi della pena di giorni 30 reclusione ed euro 200,00 di multa.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati residui di cui al capo a)
perché estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena di giorni 30 di reclusione ed euro
200,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 5.12.2013

Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito che il concorso tra il reato di ricettazione e
quello di cui all’art.171 ter L.633/1941 si configura relativamente alle condotte poste in essere
anteriormente all’entrata in vigore della L. n.248 del 2000 e successivamente all’entrata in
vigore del D.Lg.s n.68 del 2003, “prevalendo, invece, sul delitto di ricettazione, ove i fatti siano
stati posti in essere nell’intervallo tra detti due provvedimenti, l’illecito amministrativo di cui
all’art.16 della L.n.248 del 2000” (Cfr.ex multis Cass.pen.se .2 n.23544 del 12.5.2009).
Ha, poi, ritenuto, con motivazione altrettanto puntuale ed immune da vizi, come tale non
censurabile in sede di legittimità, che il numero dei supporti detenuti e le modalità di
confezionamento escludessero una operazione di “duplicazione domestica” (pag. 6 sent.).
Sicchè la ricezione consapevole di supporti illegittimamente duplicati integrava il reato di
ricettazione contestato.

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