Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5461 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5461 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Caldaroni Assunta, nata a Monte San Giovanni Campano il 20/11/1952
avverso la sentenza del 28/09/2012 del Tribunale di Latina sez.dist. di Terracina

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola
Lettieri, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Enzo Clemente, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

IL

4 FEB 2014

L_C vl oI iEnRi E

Data Udienza: 04/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Latina sez. dist. di Terracina, con sentenza emessa in data
28 settembre 2012, ha condannato Assunta Caldaroni alla pena,
condizionalmente sospesa, di 516,00 euro di ammenda, oltre al pagamento delle
spese processuali, ed al risarcimento del danno in favore della regione Lazio,
costituita parte civile, per il reato di cui all’art. 1161 cod. nav. perché in qualità

area golenale e relativo specchio acqueo, procedeva alla realizzazione di
innovazioni abusive, in particolare costruiva un pontile le cui misure non
corrispondevano a quelle progettuali di larghezza tra pontile e piede arginale.
Il Tribunale è pervenuto ad affermare la penale responsabilità dell’imputata
sulla base della documentazione amministrativa, dell’esame dei testi e della
documentazione fotografica, confermativa della non approvata rientranza delle
banchine rispetto ad un progetto assentito e per il quale il letto libero del fiume
doveva essere di larghezza costante.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
difensore dell’imputata, affidando le doglianze a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunzia violazione dell’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen. per travisamento della prova.
Deduce la ricorrente come l’affermazione contenuta nella motivazione
dell’impugnata sentenza, secondo cui il progetto a firma dell’ing. Pedace
prevedeva gli allineamenti delle banchine progettate in linea retta lungo le linee
catastali delle sponde indipendentemente dall’arretramento di fatto delle sponde
L aia.

stesse, non abbia alcun riscontro con le risultanze istruttorie et6à frutto di un
errato costrutto, logicamente inconciliabile con gli atti del processo,
contrastando, in particolare, con il progetto approvato ed assentito dal quale
risulta ictu °cui/ che il pontile – contrariamente a quanto supposto (ovvero
ipotizzato) dal giudice del primo grado – non è situato lungo la linea catastale
che, raffigurata lungo il tratto in concessione della ditta, presenta tre segmenti
con diverse inclinazioni, con la conseguenza che il pontile, così come raffigurato
nel progetto, non può considerarsi, a differenza di quanto ritenuto dal primo
giudice, allineato alla linea catastale.
2.2. Con il secondo motivo di gravame la ricorrente parimenti denunzia
violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per travisamento della
prova, avendo il primo giudice fondato il proprio convincimento su una prova
inesistente agli atti del processo.

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di titolare della ditta Orsa del Sisto, concessionaria in Terracina di porzione di

Assume in proposito la ricorrente come la responsabilità penale sia stata
affermata sulla base di un presunto progetto, non prodotto in atti, ma comunque
approvato ed agli atti dell’ufficio ARDIS (pagina n. 2 sentenza impugnata) sul
quale l’organo accertatore avrebbe verificato le violazioni contestate alla
ricorrente, laddove, dalle risultanze istruttorie, è emerso che l’organo
accertatore ha raffrontato l’opera con un progetto cosiddetto quadro, ovvero di
massima, che non risulta essere stato acquisito agli atti processuali.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia nuovamente la violazione dell’art. 606,

Deduce la ricorrente come il ragionamento del primo giudice sia
completamente avulso dalle emergenze istruttorie, tra cui la consulenza tecnica
di parte della quale non si è tenuto alcun conto, e viziato da evidenti errori
nell’applicazione delle regole della logica, tanto sul rilievo che il Tribunale,
avendo rilevato che la concessione edilizia faceva espresso riferimento alla
concessione regionale, ha sostenuto che il progetto sottoposto al Comune non si
identificasse con quello sottoposto alla Regione per il rilascio della concessione, e
richiamato dall’ARDIS, al punto che le date di redazione dei progetti erano
diverse, senza tenere conto che tale diversità ineriva al fatto che i progetti si
erano succeduti tra di loro a livello temporale; senza tenere conto che la non
corrispondenza del progetto approvato con quello depositato al Comune era in
contrasto con la deposizione testimoniale dello stesso teste di accusa che aveva,
sia pure erroneamente, riferito che la ditta avrebbe realizzato un progetto di
modifica; senza tenere conto che tale diversità ineriva al fatto che l’ARDIS, come
organo accertatore, si era riferito al progetto non approvato, ossia al progetto
quadro, e non al progetto esecutivo presentato ed assentito dalla regione e dal
Comune.
2.4. Con il quarto motivo di gravame la ricorrente ancora lamenta mancanza
e manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen.) per travisamento della prova non avendo il Tribunale dato conto,
nell’assumere la decisione, delle inequivocabili conclusioni della consulenza
tecnica della difesa e delle deposizioni dei testi a discarico.
2.5. Con il quinto ed ultimo motivo si deduce il vizio di mancanza della
motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.) in ordine all’elemento
soggettivo del reato.
Sostiene la ricorrente come la fattispecie contestata rientri tra quelle ad
illiceità speciale, esigendosi la previa consapevolezza di agire in violazione degli
elementi normativi del reato, derivando da ciò il fatto che l’elemento soggettivo
non può essere parametrato con riferimento alla colpa penale ma richiede la
conoscenza del contrasto della condotta con le disposizioni che disciplinano la
materia e dunque richiede, per la sua integrazione, il dolo, con la conseguenza

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comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per illogicità della motivazione.

che, oltre alla già richiamata conformità del manufatto, l’assenza di qualsivoglia
dolo nell’esecuzione dell’opera in contestazione avrebbe dovuto escludere
qualsiasi responsabilità.
Si aggiunge, a dimostrazione della prospettata buona fede, che la ricorrente
dopo aver ricevuto l’ordinanza di sospensione lavori (documento n. 15 allegato)
ha ottenuto due pronunce positive da parte degli organi giudiziari amministrativi,
nella specie una ordinanza di sospensione cautelare e una sentenza del Tar di
accoglimento (documenti 16 e 17 allegati), sicché ha proseguito i lavori e

Da tutto ciò scaturirebbe comunque un ragionevole dubbio sulla esistenza
dell’elemento soggettivo del fatto – reato contestato.
In ogni caso, si assume che la provvisoria esecutività della condanna civile,
contenuta nella sentenza impugnata, reca un danno grave ed irreparabile nei
confronti della ricorrente, che versa in una situazione economica difficoltosa che
non le consente di erogare la somma richiesta a titolo di provvisionale e,
all’uopo, chiede che, ai sensi dell’art. 612 cod. proc. pen., venga disposta la
sospensione dell’esecuzione della condanna civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.

2. I primi quattro motivi di gravame, essendo tra loro strettamente connessi
e sostanzialmente omologhi, possono essere congiuntamente valutati.
Con essi la ricorrente, pur formalmente denunciando il travisamento della
prova (primo, secondo e quarto motivo) e/o la illogicità della motivazione (terzo
motivo), sottopone alla cognizione della Corte di cassazione censure non
consentite, sollevando questioni relative alla ricostruzione del fatto e alla
valutazione del materiale probatorio, il cui apprezzamento rientra alla esclusiva
competenza del giudice di merito, cercando, in tal modo, di ottenere una
interpretazione del fatto diversa e alternativa rispetto a quella posta a base del
provvedimento impugnato.
Il Tribunale, sulla base dei documenti regolarmente acquisiti agli atti del
processo, ha premesso come l’imputata beneficiasse di una concessione del 28
luglio 2006 per la realizzazione di un molo per ormeggio di natanti alla foce del
fiume Sisto ed ha chiarito come tale concessione fosse stata rilasciata dopo che
era stato conseguito il parere favorevole del 3 aprile 2006 rilasciato dall’Agenzia
Regionale per la Difesa del Suolo (d’ora in poi ARDIS).
Senonché tra la data del predetto parere e quella di rilascio della
concessione, la Caldaroni chiese, in data 15 giugno 2006, di essere autorizzata a
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concluso gli stessi in piena legittimità.

modificare il «tracciato della sponda con conseguente allargamento dell’alveo
del fiume».
Siffatta richiesta fu respinta dall’ARDIS che all’uopo allegò l’iniziale progetto
approvato, a firma dell’ing. S. Pedace, che non prevedeva, come puntualmente
indicato in sentenza, gli interventi che la ricorrente si riprometteva di conseguire
e che non erano stati autorizzati per effetto del mancato rilascio del prescritto
nulla osta.
Tali interventi, secondo la puntuale ricostruzione del primo giudice, la

che sulla base della documentazione acquisita e più volte richiamata, anche in
virtù del testimoniale raccolto nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
In particolare, è stata menzionata la deposizione del teste De Santis,
funzionario dell’ARDIS, il quale ha riferito di aver accertato che era in corso la
realizzazione di un pontile lungo le sponde del fiume Sisto; che dalle misurazioni
lo specchio d’acqua ricavato risultava maggiore rispetto a quello assentito; che
all’imputata era stato negato il nulla osta alla richiesta di modifica dell’originario
progetto approvato; che gli interventi non consentiti potevano compromettere il
deflusso delle acque lungo la sponda con la creazione di buche, vortici e depositi
alluvionali nella sabbia sottostante la palificata.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non ha mancato il primo
giudice di scrutinare le deposizioni dei testi della difesa (Marostica, dell’ufficio
tecnico del comune di Terracina, che ha comunque confermato la rientranza della
banchina e Migliardi, consulente tecnico della difesa, che ha deposto sulla
conformità delle opere eseguite rispetto alla concessione edilizia rilasciata dal
comune di Terracina) ed il Tribunale ha concluso come non fosse in discussione,
ai fini dell’accertamento della responsabilità in ordine al reato contestato, il fatto
che l’imputata avesse inosservato il secondo permesso di costruire rilasciato dal
comune di Terracina, concesso peraltro in assenza del nulla osta regionale,
quanto che avesse inottemperato al primo permesso, quello cioè rilasciato il 28
luglio 2006, l’unico che, munito nel nulla osta dell’ARDIS, consentiva di
realizzare legittimamente le opere assentite ma non quelle poi effettivamente
eseguite sulla base del nulla osta richiesto il 15 giugno 2006 e mai ottenuto.
Al cospetto di una motivazione articolata ed immune da vizi logici, la
ricorrente chiede alla Corte una rivisitazione, non consentita, del materiale
probatorio attraverso censure, da un lato, eccentriche rispetto al tema di prova,
che è limitato non al fatto di avere l’imputata regolarmente eseguito lavori
autorizzati dal comune di Terracina ma di aver illegittimamente realizzato lavori
non autorizzati dalla regione Lazio, e che, dall’altro, non tengono conto della
natura del controllo demandato alla Corte di legittimità.

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Caldaroni illegittimamente eseguì ed il Tribunale è giunto a tali conclusioni, oltre

Ne consegue che la sentenza impugnata non merita le critiche che le
vengono mosse con i primi quattro motivi di gravame, avendo accertato, con
congrua ed adeguata motivazione, come l’imputata avesse eseguito in una zona
del demanio idrico innovazioni non autorizzate attraverso la costruzione di un
pontile le cui misure non corrispondevano a quelle progettuali di larghezza tra
pontile e piede arginale.
La giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’integrazione del modello legale
del reato di cui all’art. 1161 cod. nav., è ferma nel ritenere che per le opere

parte) è necessaria sia l’autorizzazione demaniale che il permesso di costruire
(art. 8 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), essendo richiesta, per la legittimazione
degli interventi, la necessaria coesistenza di entrambi i provvedimenti, i quali
assolvono a diverse finalità di tutela in quanto, da una parte, il permesso di
costruire consente all’ente locale di esercitare il controllo urbanistico del territorio
(Sez. 3, n. 37250 del 11/06/2008, dep. 01/10/2008, Rv. 241077), mentre,
dall’altra, l’autorizzazione demaniale è diretta a salvaguardare gli interessi
pubblici connessi al demanio marittimo (Sez. 3, n. 8110 del 07/11/2002, dep.
19/02/2003, Rv. 224161).
Ne deriva che alcuna innovazione, che non sia stata previamente
autorizzata, può essere eseguita su area demaniale sicché, per escludere
l’antigiuridicità della condotta, è necessaria un’autorizzazione valida ed efficace
al momento del fatto (Sez. 3, n. 37250 del 2008 cit.), autorizzazione che
l’imputata non aveva ottenuto con riferimento agli interventi che ha, in concreto,
realizzato, perché diversi da quelli assentiti con il nulla osta del 3 aprile 2006
come ha correttamente spiegato il Tribunale.

3. Manifestamente infondato è anche il quinto motivo di gravame.
Con esso si deduce l’assenza dell’elemento soggettivo del reato sul rilievo
che si verterebbe in una ipotesi di contravvenzione a struttura necessariamente
dolosa, non essendosi la condotta dell’imputata atteggiata in tal senso e
comunque mancando una adeguata motivazione nella sentenza impugnata circa
la sussistenza del dolo.
E’ il caso invece di osservare come proprio le modalità del fatto contestato,
come ricostruito in sentenza, fanno ritenere l’esistenza del dolo.
L’imputata, dopo aver ottenuto le primitive autorizzazioni, ha infatti richiesto
di modificare il tracciato dell’originario progetto ed ha eseguito le opere,
munendosi del solo permesso comunale, nonostante fosse stata respinta, con il
negato nulla osta, la domanda con la quale aveva chiesto di eseguire lavori
diversi da quelli originariamente assentiti, agendo pertanto nella piena
consapevolezza dell’illiceità del suo comportamento.
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eseguite da privati in aree del demanio marittimo (di cui il demanio idrico è

Peraltro il reato di cui all’art. 1161 cod. nav. non può essere configurato
come contravvenzione a struttura necessariamente dolosa, essendo una norma
a più fattispecie che, tra loro distinte e costituite da elementi materiali differenti
in rapporto alla condotta ed all’evento, possono integrare diversi titoli di reato
previsti dalla medesima disposizione penale (occupazione arbitraria di spazio
demaniale; esecuzione di innovazioni non autorizzate; inosservanza dei vincoli
cui è assoggettata la proprietà privata nelle zone prossime al demanio).
Precisato che all’imputata è stata contestata la innovazione non autorizzata,

descrizione della condotta tipica della contravvenzione è stato inserito l’avverbio
«arbitrariamente», rientra nelle ipotesi di c.d. illiceità speciale che esigono la
precisa consapevolezza di agire in violazione degli elementi normativi del reato.
(Sez. 3, n. 29915 del 13/07/2011, dep. 26/07/2011, Rv. 250666).
Né è possibile ritenere la buona fede della Caldaroni, con conseguente
positiva ricaduta sull’assenza dell’elemento soggettivo del reato, sul rilievo che i
provvedimenti amministrativi di sospensione dei lavori sono stati annullati dal
TAR.
Il giudice amministrativo ha infatti censurato il comportamento
dell’amministrazione per vizi procedurali e non di merito ossia limitatamente a
violazioni formali ex lege 241 del 1990.

4. Il rigetto del ricorso esclude che la Corte debba delibare sulla richiesta di
sospensione dell’esecuzione della condanna connessa agli interessi civili.

5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte
costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e
al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle
ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 04/12/2013

ne consegue che esclusivamente la occupazione arbitraria, siccome nella

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