Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5460 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5460 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Parte civile; Baruzzo Alex nei confronti di
Grassini Roberto, nato a Legnano il 02/11/1953

avverso la sentenza del 28/09/2012 della Corte di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola
Lettieri, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile l’avv. Cesare Cicorella che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata.
udito per l’imputato l’avv. Giuseppe Candiani, che ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso.

Data Udienza: 04/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 28 settembre 2012, la Corte di appello di
Milano, in sede di giudizio di rinvio a seguito di annullamento della sentenza
emessa da diversa sezione della medesima Corte, assolveva Roberto Grassini dal
delitto di cui all’art. 589 cod. pen. perché il fatto non costituisce reato.
All’imputato si rimproverava di aver, quale sanitario dell’ospedale di Busto

regole e delle scelte più opportune attinenti alla corretta applicazione della
scienza medica – la morte di Romildo Baruzzo, a lui affidato per le cure e le
terapie postoperatorie, che decedeva il 18 giugno 2004, dopo solo nove giorni
dall’intervento di angioplastica all’arteria interventricolare anteriore (intervento
del 9 giugno 2004, effettuato presso detto ospedale), avendo il Grassini assunto
la decisione di dimetterlo nonostante si trattasse di paziente con esiti recenti di
un infarto esteso del miocardio e sarebbe stato necessario, o comunque più
opportuno, disporne il ricovero in una divisione di riabilitazione cardiaca ove
meglio si sarebbe potuta monitorare l’evoluzione della patologia e dove, nella
eventualità di una urgenza cardiaca, si sarebbero potuti attuare con sollecitudine
gli interventi e le terapie del caso; urgenza puntualmente verificatasi a poche ore
dalla dimissione con la conseguenza che il Baruzzo venne nuovamente ricoverato
alle ore 3,20 del 19 giugno 2004 al pronto soccorso del medesimo ospedale, ove
giunse in stato di arresto cardiorespiratorio a seguito del quale si verificò il
decesso per insufficienza cardiaca acuta postinfartuale di natura aritmica.
Il Gip presso il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza in data 22 maggio
2008, ritenendo provata la responsabilità del Grassini, lo aveva condannato alla
pena, condizionalmente sospesa, di mesi 8 di reclusione, oltre al risarcimento del
danno in favore delle parti civili costituite da liquidarsi in separato giudizio, con il
pagamento di una provvisionale.
La Corte di appello di Milano, con sentenza in data 16 novembre 2009, su
impugnazione dell’imputato, assolveva il Grassini dal reato ascrittogli con la
formula «perché il fatto non costituisce reato».
Tale decisione è stata tuttavia annullata dalla Corte Suprema di cassazione
con sentenza del 23 novembre 2010, con rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Milano, sul rilievo che, nell’esercizio dell’attività medico – chirurgica,
non può dirsi esclusa la responsabilità colposa del medico, con riferimento
all’evento lesivo occorso al paziente, per il solo fatto che il sanitario si sia
conformato alle linee guida, comunque elaborate, avendo egli il dovere di curare
l’ammalato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici a disposizione della
scienza medica, con la conseguenza che la vicenda avrebbe meritato maggiori
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Arsizio, cagionato – per negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle

approfondimenti e più coerente motivazione in punto di verifica della sussistenza
dei profili della colpa a carico dell’imputato, la cui condotta si sarebbe dovuta
valutare con riguardo non alla sua conformità alle “linee guida”, bensì alle
condizioni del Baruzzo, in relazione non solo alla gravità dell’infarto che lo aveva
colpito, ma anche alle patologie preesistenti ed a tutte le “criticità” che ne
rendevano estremamente precario lo stato di salute, al fine di verificare se la
decisione di dimetterlo dall’ospedale, a nove giorni dal ricovero, fosse stata
corretta ovvero affrettata, e dunque errata, con ulteriore raccomandazione

accertamenti tecnici diretti a chiarire i punti ancora incerti della vicenda e,
nell’ipotesi di ritenuta sussistenza nella condotta dell’imputato dei profili della
colpa, di affrontare il tema del nesso causale alla stregua dei principi affermati
dalle Sezioni Unite di questa Corte con la nota sentenza n. 30328/02 (Franzese).
Il giudice di rinvio, dopo aver disposto una ulteriore perizia e sulla base di
essa, perveniva alla conclusione di escludere qualsiasi profilo di colpa da parte
dell’imputato in ordine al decesso di Romildo Baruzzo, avendo i periti precisato
ed affrontato in modo esaustivo tutti i punti critici evidenziati dalla Suprema
Corte.
Accertata la correttezza delle dimissioni, la Corte di merito comunque
riteneva di motivare circa la sussistenza del nesso causale, escludendo, sempre
sulla base degli approdi peritali, che la morte, qualora dovuta a dissociazione
elettromeccanica, poteva essere evitata, se anche fosse insorta in ambiente
ospedaliero, o comunque poteva essere evitata con una percentuale minima;
mentre, qualora la morte fosse stata dovuta a tachiartmia ventricolare, in teoria
il Baruzzo avrebbe potuto giovarsi del ricovero ospedaliero ma solo nel caso in
cui fosse stato sottoposto a monitoraggio elettrocardiografico continuo,
trattamento che non aveva alcuna ragione di essere disposto.
Peraltro, secondo la Corte territoriale, neanche l’eventuale trasferimento del
Baruzzo presso una struttura di riabilitazione cardiovascolare avrebbe evitato
l’evento letale, avendo i periti escluso che, qualora la crisi si fosse presentata
durante tale degenza, si sarebbe, con elevato grado di credibilità razionale,
evitata la morte, essendo da scartare, pure in tal caso, l’ipotesi che il Baruzzo
potesse essere sottoposto ad un monitoraggio continuo, circostanza, a maggior
ragione, da escludere nell’ipotesi di suo trasferimento in una struttura di
riabilitazione.

2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ha proposto ricorso per
cassazione la parte civile affidando le censure a cinque complessi e collegati
motivi.

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impartita al giudice del rinvio di valutare l’opportunità di disporre anche

2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione
dell’articolo 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. nonché inosservanza del
disposto di cui all’art. 627, comma 3, stesso codice.
Sostiene la ricorrente parte civile come il giudice del rinvio non si fosse
uniformato ai principi enunciati nella sentenza emessa dalla Corte di cassazione
nella fase rescindente del processo.
Ricorda a tale proposito come il dictum consegnato al giudice del rinvio fosse
chiaramente nel senso che, in conseguenza della cassazione della prima

rapportandola non alle linee guida ma alla complessiva condizione del paziente
alla luce delle gravi e da tutti riconosciute criticità, al fine di accertare se le
dimissioni dello stesso fossero giustificate in quanto con quella compatibili,
ovvero affrettate in vista della necessità o almeno della opportunità di rinviarle di
qualche tempo in attesa che il quadro clinico stabilizzato si consolidasse non solo
con riferimento all’infarto ma anche con le condizioni del malato che si
presentava, oltre che convalescente da un recentissimo quanto devastante
infarto del miocardio, anche obeso, iperteso, ipercolesterolemico e
ipergliceridemico.
In altri termini, il principio enunciato dalla Suprema Corte, in quanto
informato alla logica, sarebbe stato, ad avviso della ricorrente parte civile, del
tutto disatteso dal giudice del rinvio, avendo la Corte di legittimità in sostanza
demandato di rispondere, al fine di stabilire la legittimità della dimissioni del
paziente dal nosocomio, al seguente quesito: se quel paziente si fosse
presentato, prima dell’infarto che l’uccise, ai sanitari, in quelle condizioni
oggettive, sarebbe stato mandato a casa o sarebbe stato ricoverato?
2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 606, comma 1 lett. e) e d), cod. proc. pen. per mancanza
contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
Deduce la ricorrente parte civile come la Corte territoriale, in assenza di
linee guida circa il governo della vicenda fattuale sottoposta alla sua cognizione,
avesse parimenti demandato ai periti di riferire quali fossero per il caso di specie
le linee guida per il trattamento da somministrare al paziente, quale grado di
scientificità ed applicazione esse avessero nella pratica ed inoltre se delle stesse
fosse stata fatta corretta applicazione nel caso di specie, con la conseguenza di
aver, contraddittoriamente, fondato la decisione su una prova, la perizia, che
difetta della dimostrazione del principio al quale si informa. Si aggiunge che un
tale rilievo possiede, ora, una espressa sponda normativa, offerta dall’art. 3
della legge 8 novembre 2012 n. 189, esigendosi che le linee guida, laddove
esistenti, siano accreditate dalla comunità scientifica, circostanza che
presuppone la conoscenza del contenuto di esse, situazione nella specie non
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sentenza, dovesse essere esaminata la legittimità di quella decisione

sussistente, esclusa dalla stessa Corte di cassazione nella fase del giudizio
rescindente ed ancora perdurante non essendo stato acquisito, neppure nel
giudizio di rinvio, il testo di alcuna linea guida.
2.3. Con il terzo motivo si censura l’impugnata sentenza per violazione
dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per manifesta illogicità e
contraddittorietà della motivazione, avendo il giudice del rinvio, senza necessità
ed in violazione dei principi affermati nella sentenza della Corte di cassazione,
dato ingresso ad un quesito peritale del tutto inutile, in considerazione del fatto

precedente perizia e che non era stato richiesto, ed anzi escluso, di correlare il
comportamento omissivo, addebitabile all’imputato, con l’osservanza o meno ad
eventuali linee guida.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett.
c) ed e), cod. proc. pen. per inosservanza di quanto disposto dalla Suprema
Corte con la sentenza di annullamento nonché illogicità e contraddittorietà della
motivazione in quanto fondata su errate asserzioni dei periti nonché, ancora,
per omessa motivazione su punti decisivi della controversia.
Si assume come la ratio decidendi della sentenza gravata fondi su asserzioni
che, da un lato, replicano quelle contenute nella sentenza cassata e, dall’altro,
richiamano acriticamente le indicazioni dei periti, senza tenere in alcun conto di
quanto era stato richiesto dalla Corte di cassazione, la quale aveva domandato
che si operasse una valutazione scientificamente informata in grado di spiegare,
al di fuori di ogni presunzione di tipo statistico, le specifiche ragioni per la quali
lo stato di assoluta anormalità della situazione, nella quale versava il paziente,
potesse essere ritenuta compatibile con la decisione di dimetterlo.
Sotto tale specifico profilo, la Corte territoriale non si è avveduta del fatto
che la decisione di dimettere il paziente impedì la prestazione di adeguata
assistenza, dovendosi in ciò ravvisare la responsabilità penale, ed il fatto di non
aver considerato tali evidenti implicazione integra il vizio di motivazione
dell’impugnata sentenza, incorsa, sempre ad avviso della ricorrente parte civile,
nel medesimo errore commesso dal giudice della sentenza cassata.
2.5. Con il quinto ed ultimo motivo si denuncia violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per inosservanza dell’art. 43 cod. pen. a
causa del comportamento colposo del medico che dimise la vittima; illogicità ed
erroneità della motivazione; in subordine si deduce l’applicabilità nella fattispecie
del disposto di cui all’art. 3, comma 1, della legge n. 189 del 2012 e possibile
sussistenza della colpa lieve, pure in caso di osservanza delle linee guida con
conseguente sussistenza dell’obbligo di risarcire il danno ex art. 2043 cod. civ.

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che tutte le questioni oggetto dell’incarico erano state già accertate nel corso di

Si ribadisce come la decisione di dimettere un paziente nelle condizioni in cui
si era trovato il Baruzzo fosse indicativa di colpa grave, conclamata anche dagli
eventi successivi.
Da qui l’assoluta insostenibilità logica e la contraddittorietà dell’asserzione
della Corte territoriale circa l’esonero di ogni profilo di colpa nella condotta del
sanitario che ebbe in cura e dimise il Baruzzo.
Sul punto, ricorda la ricorrente parte civile come il paziente, nel caso in
esame, non dovesse essere dimesso versando in condizioni critiche e ad elevato

ovverosia almeno tre ore prima di morire, sarebbe stato, se non dimesso, curato
e salvato, essendo incontestabile che più è tempestivo l’intervento del medico,
più elevate sono le possibilità di salvezza, con la conseguenza che le dimissioni
del Baruzzo furono il frutto di un grave errore diagnostico, reso evidente dal
complesso di dati oggettivi accertati.
Conclusivamente, secondo la ricorrente parte civile, la responsabilità penale
dell’imputato sarebbe da ravvisare nella decisione che impedì l’assistenza
tempestiva al signor Romildo Baruzzo, non potendosi esonerare l’imputato da
responsabilità sul presupposto che non sarebbe possibile accertare che il
paziente, se curato, sarebbe sopravvissuto.
In ogni caso e subordinatamente, residuerebbe una ipotesi di colpa lieve in
applicazione della fattispecie disciplinata dall’art. 3 della legge n. 189 del 2012,
norma applicabile anche con riferimento al caso in esame, nonostante la
disposizione non fosse ratione temporis in vigore al momento del fatto, tanto in
considerazione di un principio già affermato dalla giurisprudenza che ha, secondo
la ricorrente parte civile, chiarito come la normativa abbia parzialmente
decriminalizzato le fattispecie colpose con conseguente applicazione dell’art. 2
cod. pen., così escludendo la rilevanza penale, in precedenza ritenuta, delle
condotte connotate da colpa lieve che si collochino all’interno dell’area segnata
da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché esse siano accreditate
dalla comunità scientifica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato – in accoglimento del primo, quarto e quinto motivo nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

2. Il secondo ed il terzo motivo sono invece infondati.
Per rendersene conto è sufficiente osservare come Corte di merito, da un
lato, non abbia fondato la ratio decidendi sul contenuto delle linee guida, pur
avendo chiesto ai periti se tali linee esistessero, quale ne fosse il contenuto,
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rischio di recidiva tant’è che, nel momento in cui aveva iniziato a stare male,

quale la provenienza e se l’imputato si fosse o meno uniformato ad esse, e,
dall’altro, come la Corte distrettuale abbia, in osservanza ad uno dei compiti
specificamente commessi al giudice del rinvio con la cassazione della precedente
sentenza, dato ingresso ad un accertamento tecnico per l’approfondimento di
alcuni aspetti rilevanti della vicenda processuale.
Sul punto va anche brevemente chiarito, atteso che la questione è stata
posta in più parti del ricorso, come la normativa sopravvenuta (art. 3, comma 1,
della legge n. 189 del 2012), non rilevi minimamente ai fini dello scrutinio circa

La novella legislativa ha infatti decriminalizzato (Sez. 4, n. 16237 del
29/01/2013, Cantore, Rv. 255105) le condotte connotate da colpa lieve, con
riferimento agli artt. 589 e 590 cod. pen., degli esercenti la professione sanitaria
che, nell’esercizio della loro attività, si siano attenuti a linee guida o a buone
pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
In tali casi, infatti, essi non rispondono penalmente per colpa lieve, fatta
salva l’azione risarcitoria ex art. 2043 cod. civ.
Nondimeno l’ambito di operatività della normativa sopravvenuta appare
riservato esclusivamente ai casi in cui venga mosso all’esercente la professione
sanitaria un addebito di imperizia e non anche nei casi, come nella specie, nei
quali il rimprovero si basa, indipendentemente poi dalla fondatezza o meno di
esso, sui rimanenti aspetti della colpa generica, in particolare riguardanti la
violazione del dovere di diligenza e di prudenza, che imponevano di svolgere
l’attività medica conformemente al modello di agente e nel rispetto delle regole
di prudenza, la cui violazione si assume che abbia determinato l’evento
penalmente rilevante.
La giurisprudenza di questa Corte, immediatamente dopo l’entrata in
vigore della novella legislativa, ha espressamente enunciato il principio secondo
il quale, nel caso in cui, nell’esercizio dell’attività sanitaria, il profilo di colpa non
sia fondato su di un errore colpevole nella formulazione della diagnosi, né sulla
imperizia dimostrata dal sanitario, non può essere utilmente evocata
l’applicazione delle linee guida che riguardano e contengono solo regole di perizia
e non afferiscono ai profili di negligenza e di imprudenza (Sez. 4, n. 11493 del
24/01/2013, Pagano, Rv. 254756), anche ribadendo il principio fissato, in via
generale, dalla stessa Corte di legittimità nel presente procedimento, per il quale
le linee guida per avere rilevanza nell’accertamento della responsabilità del
medico devono indicare standard diagnostico terapeutici conformi alla regole
dettate dalla migliore scienza medica a garanzia della salute del paziente e non
devono essere ispirate ad esclusive logiche di economicità della gestione, sotto il
profilo del contenimento delle spese, in contrasto con le esigenze di cura della
persona ammalata.
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l’addebito mosso all’imputato.

Siffatta opzione interpretativa è stata di recente convalidata dalla Corte
costituzionale, con ordinanza emessa nelle more tra la decisione e la stesura
della motivazione della presente sentenza, laddove – nel dichiarare la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del d.l. 13
settembre 2012, n. 158 convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre
2012, n. 189 sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 25,comma secondo, 27, 28,
32, 33 e 111 della Costituzione – il Giudice della leggi ha chiarito come, in
considerazione delle prime pronunce della giurisprudenza di legittimità, in

dalla norma censurata venga in rilievo solo in rapporto all’addebito di imperizia,
giacché le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di
perizia: non, dunque, quando all’esercente la professione sanitaria sia ascrivibile,
sul piano della colpa, un comportamento negligente o imprudente (Corte Cost.
ord. 6 dicembre 2013, n. 295).
Ne consegue come debba ritenersi non rilevante, così come ampiamente
chiarito nel corso del giudizio rescindente, la questione circa l’osservanza o meno
delle linee guida nel caso di specie.

3. I restanti motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati,
essendo tra loro strettamente connessi, laddove fondano le doglianze sulla
violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. limitatamente al
denunciato vizio di motivazione.
3.1. La Corte territoriale, in sede di giudizio di rinvio e dopo gli esiti della
disposta perizia nonché dell’esame dibattimentale dei periti, ha ritenuto di
escludere l’addebito di colpa sul rilievo che la dimissione del Baruzzo
dall’ospedale fu corretta in quanto assunta in conseguenza della stabilità del
quadro clinico obiettivato e strumentale accertato, di certo non indicativo della
sussistenza di alcuna instabilità elettrica, tant’è che il paziente era in compenso
cardio-respiratorio, eupnoico, in assenza di stasi e, alle indagini strumentali, con
un quadro non difforme da quanto atteso in un soggetto passivo pochi giorni
prima di infarto miocardico esteso a carico della parete anteriore del ventricolo
sinistro.
Secondo la Corte distrettuale non vi erano elementi che potessero anche
solo far supporre quanto poi in concreto avvenuto il giorno seguente: il quadro
clinico e la mancanza di alcun fattore prognostico predittivo, in via di elevata
probabilità, di un rischio di morte per evento aritmico che esulasse da quanto
mediamente prevedibile, rendevano pienaménte ragione della dimissione del
Baruzzo in data 18 giugno e ciò anche tenendo conto delle preesistenti patologie
(ipertensione, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia), e degli altri elementi
(obesità, tabagismo), presentati dal Baruzzo.

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accordo con la dottrina maggioritaria, la limitazione di responsabilità prevista

Analizzate e superate le osservazioni poste dai consulenti della parte civile
circa il fatto che il Baruzzo non avesse la necessità di assumere sei litri di
ossigeno al minuto e circa il fatto che il paziente presentasse una frazione di
eiezione del ventricolo sinistro del 29%, ritenuta non ostativa per le dimissioni in
quanto del tutto compatibile con la sua condizione di paziente che aveva avuto
un infarto miocardico anteriore, con la conseguenza che detto valore non
costituiva valido motivo per trattenere ulteriormente il paziente in ospedale, la
Corte distrettuale escludeva, in adesione agli esiti peritali che avevano ipotizzato

qualora la morte fosse stata dovuta a dissociazione elettromeccanica, l’evento
letale non si sarebbe potuto evitare anche se la crisi fosse insorta in ambiente
ospedaliero, o comunque la morte poteva essere evitata con una percentuale
minima; mentre, qualora il decesso fosse stato attribuibile a tachiartmia
ventricolare, in teoria il Baruzzo avrebbe potuto giovarsi del ricovero ospedaliero
ma solo nel caso in cui fosse stato sottoposto a monitoraggio elettrocardiografico
continuo, trattamento che non aveva alcuna ragione di essere disposto.
Peraltro, secondo la Corte territoriale, neanche l’eventuale trasferimento del
Baruzzo presso una struttura di riabilitazione cardiovascolare avrebbe evitato
l’evento letale, avendo i periti escluso che, qualora la crisi si fosse presentata
durante tale degenza, si sarebbe, con elevato grado di credibilità razionale,
evitata la morte, essendo da scartare, pure in tal caso, l’ipotesi che il Baruzzo
potesse essere sottoposto ad un monitoraggio continuo, circostanza, a maggior
ragione, da escludere nell’ipotesi di suo trasferimento in una struttura di
riabilitazione.
3.2. Senonché gli approdi cui è giunta la Corte territoriale nel giudizio
rescissorio, in conseguenza dei disposti approfondimenti, non differiscono da
quelli che già risultavano processualmente acquisiti nel giudizio rescindente.
Tuttavia al giudice di rinvio, come fondatamente lamenta la parte civile, era
stato chiesto di fornire congrua ed adeguata motivazione su siffatto decisivo
punto, in quanto un tale accertamento nel precedente giudizio era stato del tutto
omesso, e cioè «se la dimissione rispondeva alle specifiche condizioni di salute
del Baruzzo ed alle sue esigenze di cura”) alla luce della “persistente criticità e
precarietà” dello stato di salute del paziente, pur riconosciute nella sentenza
impugnata ed individuate:
– nella severità dell’infarto, descritto come “miocardico antero – settale
molto esteso”, che aveva esordito con gravissima patologia respiratoria che
aveva richiesto una ventilazione meccanica ed il ricovero in rianimazione;
– nella grave compromissione della residua funzione meccanica, con frazione
di eiezione ridotta al 29%;

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due possibili cause della morte, anche il nesso di causalità sul presupposto che,

- nell’elevato rischio di recidiva, anche a causa di pregresse e varie patologie
di cui il Baruzzo era portatore.
Andava, quindi, esaminata la legittimità di quella decisione, rapportandola
non alle “linee guida” (e sul punto non si può muovere alcun rilievo, come detto,
alla sentenza impugnata n.d.r.), ma alla complessiva condizione del paziente,
alla luce delle gravi e da tutti riconosciute richiamate “criticità”, al fine di
accertare se le dimissioni dello stesso fossero giustificate, in quanto con quella
compatibili, ovvero affrettate, in vista della necessità o almeno della opportunità

consolidasse non solo con riferimento all’infarto, ma anche con le condizioni
generali del malato che si presentava, oltre che convalescente da un
recentissimo e devastante infarto al miocardio, anche obeso, iperteso,
ipercolesterolemico e ipertrigliceridemico».
In altri termini, il fatto che il quadro clinico del paziente fosse stabilizzato al
momento delle dimissioni e persino il fatto che non vi fossero elementi che
potessero far presupporre quanto poi in concreto avvenuto il giorno seguente
costituivano già patrimonio processuale, per essere in linea con gli accertamenti
svolti dal perito di primo grado, il prof. Thiene.
Ciò che non risultava chiaro e che, dapprima, si sarebbe dovuto
approfondire (approfondimento assicurato dal giudice di rinvio con l’ingresso di
una nuova perizia) e, poi, adeguatamente motivare per valutare la consistenza o
meno del rimprovero mosso all’imputato era se le dimissioni, come
fondatamente lamenta la parte civile, fossero giustificate in relazione alla
specificità del caso clinico e cioè se i fattori di criticità evidenziati dall’anamnesi
del paziente (indicato come soggetto a rischio coronarico perché fumatore,
obeso, iperteso da tre anni con rifiuto di terapia, affetto da ipercolesterolemia
grave, da ipertrigliceridemia), dalla severità dell’infarto che lo aveva colpito
(esordito con gravissima sintomatologia respiratoria, tanto da rendere necessaria
la ventilazione meccanica, e che aveva lasciato esiti rilevanti ed una funzione
meccanica del cuore notevolmente compromessa pari al 29% frazione di
eiezione) e dal pericolo di recidiva anche attestato dall’elevata mortalità postinfartuale di pazienti con esteso infarto al miocardio (circa 5,10% nel primo
anno) rendevano o meno necessario o opportuno un «consolidamento» del
quadro clinico stabilizzato.
Occorreva cioè capire se le particolarità del caso di specie fossero tali da
equiparare la posizione del Baruzzo a quella di un qualsiasi altro paziente, colpito
dal medesimo infarto ma non portatore di quelle stesse criticità, o se queste
ultime imponessero di mantenere ancora sotto controllo, almeno per qualche
tempo, il degente, con la conseguenza che attraverso tali omissioni la sentenza

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di rinviarle di qualche tempo, in attesa che il quadro clinico “stabilizzato” si

impugnata incorre nel medesimo vizio di illogicità e di contraddittorietà cui era
affetta la sentenza cassata.
Infatti, quanto a tale specifico aspetto riguardato soprattutto in relazione a
ciò che era stato puntualmente commesso con la cassazione della prima
sentenza, l’iter logico seguito nella pronuncia impugnata appare incoerente ed
incompiuto sia nella misura in cui l’affermazione, secondo la quale le dimissioni
del paziente erano giustificate dalla stabilità del quadro clinico, non è stata
congruamente parametrata con riferimento ad un soggetto portatore delle

solo quelle di un soggetto passivo colpito pochi giorni prima da infarto
miocardico esteso a carico della parete anteriore del ventricolo sinistro) e sia
nella misura in cui l’affermazione, secondo la quale le preesistenti patologie
(neppure tutte valutate in sé e/o nella loro gravità) rendevano comunque
giustificata la dimissione, sia stata ripresa dalle stringate conclusioni peritali,
espressamente contraddette dalla consulenza di parte, senza che, con
motivazione accurata ed approfondita, si sia dato sufficientemente conto delle
ragioni di una tale scelta.

4. I vizi di motivazione su punti così decisivi del tema di prova contaminano
anche il giudizio espresso e l’iter logico motivazionale seguito in ordine alla
configurazione del nesso causale poiché, pur tenendo in considerazione le ipotesi
alternative poste dai periti, di cui è cenno nella motivazione della sentenza
impugnata, produttive di un contrasto stimato come irrisolvibile sulla base delle
evidenze disponibili quanto alla causa del decesso, il meccanismo controfattuale
necessario per stabilire l’effettivo rilievo condizionante della condotta umana
(nella specie: l’effetto salvifico o meno delle cure omesse nel caso di
permanenza del ricovero, effetto anche in ipotesi transitorio, nel senso che
l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore
o, al momento, con minore intensità lesiva) deve fondare, sia per ritenere che
per escludere il nesso causale, su affidabili informazioni scientifiche nonché sulle
contingenze significative del caso concreto, situazioni che, nella specie e come si
è detto, appaiono mancanti, e tanto sul presupposto che, in campo penale,
l’accertamento della causalità va compiuto in termini di elevata credibilità
razionale nel senso che l’ipotesi scientifica o la massima di esperienza
generalizzata debbano avere un elevato grado di conferma e le ipotesi
alternative debbano essere ragionevolmente escluse (Sez. U, n. 30238 del
10/07/2002, Franzese, RV. 222138); il che richiede non solo una comparazione
delle evidenze disponibili, nel caso di specie del tutto omessa nel ragionamento
giustificativo della soluzione prescelta con la decisione di escludere il nesso di
causalità, ma altresì richiede, siccome il giudice di primo grado tale nesso aveva

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medesime criticità del Baruzzo (che non erano, come in precedenza accennato,

invece in precedenza ritenuto, la specifica confutazione dei principali argomenti
del ragionamento probatorio che hanno sostanziato l’opposto orientamento circa
il punto della decisione controverso, confutazione che non si rinviene nella
motivazione dell’impugnata sentenza, incombendo il relativo onere motivazionale
anche al giudice di rinvio in virtù di quanto dispone l’art. 627, comma 2, cod.
proc, pen. che a questi attribuisce, salve le limitazioni previste dalla legge, gli
stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata.
A tale proposito, quanto ai doveri motivazionali del giudice d’appello, va

il principio per il quale, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di
appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di
delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di
confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima
sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza,
tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del
12/07/2005,Mannino, Rv. 231679), principio anche recentemente ribadito dalla
giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, p.c. in proc.
Rastegar, Rv. 254638) e valido anche nell’ipotesi, come nella specie, di giudizio
di affermazione della responsabilità seguito da esito assolutorio in grado di
appello.

5. Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alle
statuizioni civili, dovendosi conclusivamente precisare che al giudice civile è
devoluto il compito di accertare la fondatezza della pretesa risarcitoria e poi,
eventualmente, il

quantum debeatur,

essendo, con tutta evidenza,

impregiudicata la pronuncia assolutoria penale, la quale nel caso di specie non
determina effetti vincolanti sul giudizio civile di danno secondo quanto disposto
dall’art. 652 cod. proc. pen.
Va data quindi continuità all’orientamento espresso da questa Corte secondo
il quale, in ipotesi di accoglimento del ricorso per cassazione della parte civile
avverso una sentenza di assoluzione, al di fuori dei casi in cui il giudice penale
abbia accertato che il fatto non sussista o che l’imputato non lo abbia commesso
o che il fatto sia stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di
una facoltà legittima, il conseguente giudizio civile non patisce alcun tipo di
condizionamento e deve, pertanto, estendersi all’intera pretesa risarcitoria, in
ordine sia al fondamento della stessa sia all’eventuale determinazione
dell’ammontare del danno (Sez. 1, n. 11994 del 30/01/2013, P.C. in proc. Di
Pauli, Rv. 255447).
Infatti, a fronte di una sentenza assolutoria irrevocabile pronunciata a
seguito di dibattimento, il confine della cognizione del giudice civile è definito da
12

ricordato l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte che hanno espresso

effetti extrapenali del giudicato assolutorio secondo gli epiloghi descritti e le
condizioni espressamente contenute nell’art. 652 cod. proc. pen., con la
conseguenza che fuori da questi casi, il giudizio civile, anche ove segua ad un
annullamento disposto da questa Corte in sede penale per accoglimento di un
ricorso della parte civile contro una sentenza di proscioglimento, non subisce
alcun tipo di condizionamento e pertanto deve estendersi all’intera pretesa
risarcitoria, e dunque sia all’an che al quantum debeatur.

statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente in grado di appello per
valore, al quale va anche rimessa la pronunzia sulle spese del presente grado.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e rinvia al
giudice civile competente in grado di appello per valore, al quale rimette la
pronunzia sulle spese del presente grado.
Così deciso il 04/12/2013

6. La sentenza impugnata va pertanto annullata limitatamente alle

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