Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 546 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 546 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Ancona

avverso la sentenza del Giudice di pace di Sant’Elpidio a Mare del 04/12/2012, nel
procedimento penale nei confronti di RENZI Giovanni, nato a Sant’Elpidio a Mare il
07/01/1956;

visto il ricorso, gli atti e la sentenza impugnata;
visto il verbale dell’08/10/2013 dei Carabinieri della Stazione di Sant’Elpidio a Mare
attestante remissione di querela e contestuale accettazione;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Carmine Stabile, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata;
sentito, altresì, l’avv. Igor Giosta che, nell’interesse dell’imputato, ha chiesto
l’estinzione del reato per intervenuta remissione della querela e relativa
accettazione.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 30/10/2013

í

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Giudice di pace di Sant’Elpidio a Mare
dichiarava Giovanni Renzi colpevole del reato a lui ascritto, ai sensi dell’art. 612
cod. pen., (perché col mezzo del telefono, minacciava ingiusto danno a Renzi
Daniela, dicendole: “non provare a presentarti domani mattina in udienza perché te
la faccio pagare ; Se provi a venire non sai cosa ti succede “; con recidiva) e,
per l’effetto, con la concessione delle attenuanti generiche, lo condannava alla pena

Avverso la anzidetta pronuncia il PG di Ancona ha proposto ricorso per
cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con unico motivo d’impugnazione il PG ricorrente eccepisce incompetenza
per materia del primo giudice sul rilievo che, nel caso di specie, avrebbe dovuto
essere configurata la più grave ipotesi di reato di cui all’art. 610 cod. pen., posto
che la minaccia non era fine a sé stessa, ma intesa a costringere la parte lesa a non
presenziare ad un’udienza.

2. Il ricorso è fondato e deve, pertanto, trovare accoglimento.
E’ indubbio, infatti, che, alla stregua della perspicua formulazione del capo
d’imputazione, il fatto contestato fosse riconducibile al paradigma della violenza
privata, sia pure nella forma del tentativo – e non già alla meno grave ipotesi della
minaccia – in quanto integrante condotta potenzialmente idonea a coartare la
volontà della persona offesa per costringerla ad un determinato comportamento.
Si trattava, allora, di astratta formulazione di fattispecie delittuosa riconducibile
alla competenza ratione materiae del tribunale e non già del giudice di pace, che
non avrebbe potuto, dunque, provvedere in merito.
Resta da dire che va disattesa l’intervenuta remissione di querela, posto che il
fatto-reato, così come qualificato in termini di tentata violenza privata, non era
suscettibile di estinzione per remissione di querela, trattandosi di reato procedibile
d’ufficio.

3. Per tutto quanto precede, occorre provvedere come da dispositivo, con le
consequenziali statuizioni pure di seguito specificate, ai fini delle pertinenti
iniziative del PM competente.

P.Q.M.

di € 31,00 di multa, oltre consequenziali statuizioni.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti
al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Fermo.

Così deciso il 30/10/2013

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