Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 546 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 546 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
MILANO
nei confronti di:
D’AMBROSIO ANTONIO N. IL 07/08/1960
D’AMBROSIO GIOVANNI N. IL 04/01/1965
SILECCHIA EGIDIO N. IL 17/10/1972
inoltre:
D’AMBROSIO GIOVANNI N. IL 04/01/1965
NEGRI ANGELO NICOLA N. IL 28/04/1963
SILECCHIA EGIDIO N. IL 17/10/1972
VIMERCATI GIOVANNI N. IL 02/11/1949
avverso la sentenza n. 7462/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
13/03/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MASSIMO RICCIARELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. r40L O Cilú4tS,VSLI-16Nro colti giN vi a Cr& ii<R1411nosio
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Data Udienza: 18/11/2015

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RITENUTO IN FATTO

1. Negri Nicola Angelo, Silecchia Egidio, D’Ambrosio Giovanni, D’Ambrosio
Antonio e Vimercati Giovanni erano rispettivamente chiamati a rispondere:
sub C1) Negri, Silecchia, D’Ambrosio Giovanni e D’Ambrosio Antonio del
delitto di importazione di cocaina dalla Colombia, risalente al 7/3/2012,
aggravato ai sensi degli artt. 73 comma 6 e 80 d.P.R. 309 del 1990 e 4 legge
146 del 2006;

D’Ambrosio Antonio del delitto di importazione di cocaina dalla Colombia,
aggravato come sub C1), risalente al 30/3/2012;
sub C3) Negri, Silecchia, D’Ambrosio Giovanni, D’Ambrosio Antonio del
delitto di importazione di cocaina dalla Colombia, aggravato come sub C1),
risalente al 30/5/2012;
sub C4) Negri, Silecchia e i due D’Ambrosio del delitto di importazione di
cocaina dalla Colombia, aggravato come sub C1), risalente al 14/6/2012;
sub C5) Silecchia del delitto di cessione di cocaina a consumatori finali,
commesso fino al 14/6/2012;
sub C6) e sub C7) D’Ambrosio Giovanni dei delitti di cessione a consumatori
nonché di detenzione e cessione di cocaina presso il Bar Tabaccheria II
Restellone, commessi dal maggio 2012;
sub C8) Negri del delitto di cessione di cocaina a Mauri Antonella fino al
5/6/2012;
sub C9) D’Ambrosio Giovanni del delitto di detenzione di cocaina, risalente al
7/11/2012.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza con sentenza del
20/3/2014, in sede di giudizio abbreviato, qualificato il fatto sub C2) come
tentativo, riconosceva D’ambrosio Giovanni colpevole di tutti i reati a lui ascritti,
fatta eccezione per quello sub C1); Negri Nicola Angelo colpevole di tutti i reati a
lui ascritti; Vimercati Giovanni colpevole del reato sub C2); Silecchia Egidio
colpevole dei delitti sub C4) e C5); escluse le aggravanti contestate, ravvisata la
continuazione, condannava D’Ambrosio Giovanni alla pena di anni sei mesi
quattro di reclusione ed euro 30.000,00 di multa, Negri alla pena di anni sei mesi
otto di reclusione ed euro 32.000,00 di multa, Vimercati alla pena di anni 2 di
reclusione ed euro 10.000,00 di multa, Silecchia Egidio alla pena di anni cinque
di reclusione ed euro 22.000,00 di multa.
Il Giudice assolveva D’Ambrosio Antonio da tutti i reati a lui ascritti,
D’Ambrosio Giovanni dal reato sub C1), Silecchia Egidio dai reati sub C1), C2) e
C3), per non aver commesso il fatto.
2

sub C2) Negri, Silecchia, Vimercati Giovanni, D’Ambrosio Giovanni e

2. Con sentenza del 13/3/2015 la Corte di Appello di Milano, giudicando
sugli appelli degli imputati condannati e su quello del Procuratore della
Repubblica quanto ai proscioglimenti, concedeva a Negri Angelo Nicola le
attenuanti generiche e lo condannava alla pena di anni cinque di reclusione ed
euro 24.000,00 di multa, mentre confermava la sentenza nel resto, peraltro
applicando a D’Ambrosio Giovanni, Negri e Silecchia le pene accessorie di legge.
2.1. La Corte condivideva l’impianto della sentenza appellata, incentrata

dell’accertato traffico di stupefacenti provenienti dalla Colombia, corroborate dai
sequestri della sostanza e dagli arresti di Fiordimondo Domenico, nonché di
Negri e Silecchia, eseguiti in corrispondenza delle importazioni contestate sub
C3) e C4).
Accoglieva in parte l’appello del Negri, dando atto della sua ampia
collaborazione e dunque concedendo le attenuanti generiche e riducendo la
pena.
2.2. Quanto al resto osservava che si sarebbe dovuta ribadire la
colpevolezza di Vimercati Giovanni, risultando inconsistenti, a fronte degli altri
elementi e delle conversazioni intercettate, le discolpe inerenti all’asserita
costrizione subita, in forza della quale egli avrebbe ritirato la cocaina in
Colombia, ma se ne sarebbe poi sbarazzato, recandosi in Madagascar come
previsto, ma solo fingendo di mostrarsi sodale degli altri organizzatori
dell’importazione, salvo alla fine rendersi irreperibile.
Né sarebbe potuta concedersi la sospensione condizionale della pena.
2.3. La Corte inoltre riteneva di poter suffragare la fondatezza delle accuse
mosse al Silecchia sub C4) e C5) -i capi che nell’appello avevano formato
oggetto di contestazione nel merito-, rilevando che egli era consapevole
dell’oggetto dei traffici, anche perché in famiglia vi era stato il precedente
coinvolgimento del padre, dedito a consimili azioni, e che se anche si fosse
potuto dire provato che egli aveva contribuito economicamente all’importazione
sub C4) in misura marginale, al predetto sarebbe dovuta comunque attribuirsi la
corresponsabilità per l’intero carico, peraltro avvalorata dalla chiamata in correità
di Negri. Non si sarebbe potuto parlare di semplice favoreggiamento, giacché la
condotta era finalizzata alla conservazione della sostanza stupefacente.
Quanto alle singole cessioni, la prova, desumibile dalle intercettazioni, era
stata suffragata dalle dichiarazioni di Asiaghi e dal sequestro eseguito nei
confronti di Acquati.

sull’analisi delle conversazioni intercettate, intercorse tra i protagonisti

Non si sarebbe potuta ravvisare l’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R.
309 del 1990 e non si sarebbero potute concedere le attenuanti di cui agli artt.
62-bis e 114 cod. pen.
2.4. Relativamente a D’Ambrosio Luigi, che aveva contestato le accuse
formulate sub C2), C6) e C7), la Corte richiamava la motivazione della sentenza
appellata, incentrata su conversazioni intercettate, peraltro avvalorate quanto al
capo C6) dai contatti con Cofone nonché dal sequestro di cocaina nei confronti di
tal Rosatti, subito dopo un incontro con l’imputato.

attenuanti, a fronte dell’irrilevanza degli elementi invocati.
2.5. Relativamente all’appello del Pubblico ministero, la Corte in primo luogo
rilevava che lo stesso si sarebbe dovuto valutare a prescindere dalla memoria
depositata dal Procuratore Generale, che inammissibilmente aveva introdotto
temi nuovi.
In concreto si sarebbe dovuto seguire l’orientamento in forza del quale la
riforma di una sentenza assolutoria presuppone una motivazione idonea a
vincere il ragionevole dubbio e non solo una valutazione alternativa, non più
plausibile.
A fronte delle osservazioni contenute nella sentenza impugnata, l’appello
non individuava passaggi critici in conflitto con gli elementi di prova acquisiti, ma
si limitava ad una lettura plausibile degli stessi, peraltro non la sola possibile.

3. Presentavano ricorso gli imputati condannati e il Procuratore Generale
presso la Corte di Appello di Milano.

4. Negri Nicola Angelo con ricorso presentato personalmente deduceva agli
effetti dell’art. 606 comma 1, lett. e) cod. proc. pen., contraddittorietà e illogicità
della sentenza sul punto della determinazione della pena, non avendo la Corte
assolto al suo compito di motivare la sua decisione in ordine alle censure
formulate nell’atto di appello.

5.

Vimercati Giovanni presentava ricorso con atto a firma dell’Avv.

Gianantonio Testa.
5.1. Con il primo motivo denunciava contraddittorietà, manifesta illogicità
della motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato, agli effetti
dell’art. 606 comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
Dopo aver premesso la propria ricostruzione della vicenda, il ricorrente
segnalava che la Corte aveva erroneamente ritenuto inverosimili le discolpe
fornite, non essendo state considerate le ragioni addotte, in particolare il
4

Non vi era margine per la riduzione della pena e per la concessione di

,

mancato ritrovamento della droga o di ingenti somme di denaro in Madagascar e
il carattere non incontrovertibile delle conversazioni intercettate, fermo restando
che il ricorrente aveva agito in stato di necessità ai sensi dell’art. 54 cod. pen., in
conseguenza delle minacce subite, non avendo avuto alcuna intenzione di
portare la cocaina di cui si era comunque disfatto.
5.2. Con il secondo motivo denunciava inosservanza o erronea applicazione
della legge penale gli effetti dell’art. 606 comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in
relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

di un idoneo ragionamento giuridico, posto che il Vimercati non era inserito in
alcun contesto di elevato spessore criminale e si era trovato accidentalmente
coinvolto nella vicenda, ben potendosi formulare un favorevole giudizio
prognostico, come avvenuto in occasione della revoca della misura cautelare.

6. D’Ambrosio Giovanni presentava ricorso con atto a firma dell’Avv.
Barbara Viale.
6.1. Con il primo motivo deduceva contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen. e al mancato
proscioglimento dai reati di cui ai capi C2), C6) e C7), agli effetti dell’art. 606
comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
La motivazione era incongruente rispetto ai dati fattuali e probatori acquisiti,
valutati in modo non corretto.
In relazione al capo C2) le telefonate non dimostravano la
compartecipazione del D’Ambrosio, che comunque Fiordimondo Domenico aveva
dichiarato di non conoscere.
Inoltre non si sarebbe potuto valorizzare il fatto della partecipazione ai
diversi episodi sub C3) e C4), di per sé non oggetto di impugnazione.
In relazione al capo C6) l’intercettazione invocata era riferita ad un dialogo
tra il D’Ambrosio e la moglie in cui era stato riferito solo un sogno e non un fatto
reale, fermo restando che non erano stati visti il D’Ambrosio e il preteso
acquirente Cofone intenti alla cessione di droga o di somme di denaro.
Con riguardo al capo C7), non era stata riscontrata l’ipotesi della cessione di
droga da parte del ricorrente, posto che le intercettazioni non avevano
consentito di individuare gli acquirenti, i quantitativi di sostanza e l’epoca delle
cessioni.
Nella conversazione invocata dalla Corte territoriale si parlava di cifre non
associate ad alcun oggetto.
6.2. Con il secondo motivo denunciava inosservanza o erronea applicazione
della legge penale agli effetti dell’art. 606 comma 1, lett. b) cod. proc. pen., con
5

La Corte non aveva fornito valida risposta alle censure formulate sulla base

riguardo ai criteri di determinazione della pena e di concessione o diniego delle
attenuanti generiche.
La Corte aveva fornito una laconica risposta omettendo di indicare gli
elementi per cui il D’Ambrosio non avrebbe potuto godere delle attenuanti e di
una minor pena.
6.3. Con il terzo motivo denunciava inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale agli effetti dell’art. 606 comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in
relazione all’applicazione delle pene accessorie: la Corte non aveva offerto sul

7. Presentava ricorso Silecchia Egidio con atto a firma dell’Avv. Manuela
Cacciuttolo.
7.1. Con il primo motivo deduceva violazione e falsa applicazione degli artt.
192, 530 cod. proc. pen., 110 cod. pen. 73 d.P.R. 309 del 1990 agli effetti
dell’art. 606 lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione dell’art. 73, comma 5,
d.P.R. 309 del 1990 e della normativa in materia di favoreggiamento,
motivazione apparente e contraddittoria in ordine alla partecipazione del
ricorrente al reato sub C4).
La Corte aveva fondato il suo giudizio sulla desumibilità del dolo dal contesto
familiare del Silecchia, stante il pregresso arresto del padre, sul tenore delle
conversazioni e sul versamento di euro 1.500,00 tramite Western Union in
favore del Negri. Ma non aveva potuto spiegare se il Silecchia fosse consapevole
del quantitativo di sostanza trattato e se lo stesso fosse stato reso edotto del
contenuto delle trattative con i sudamericani, in assenza di prova di accordo
preventivo con il Negri, sul quantitativo e sul prezzo.
La motivazione era dunque illogica e contraddittoria non essendo sufficiente
invocare una serie di conversazioni e il precedente coinvolgimento del padre in
affari illeciti.
Era certo solo il versamento di euro 1.500,00, insufficiente per l’acquisto di
kg. 1,3 di stupefacente.
Inoltre non era stato spiegato come fosse desumibile l’adesione del Silecchia
al piano criminoso, essendosi fatto ricorso a congetture.
Peraltro si sarebbe dovuto aver riguardo all’elemento psicologico, al fine di
distinguere il concorso nel reato permanente dal semplice favoreggiamento,
unico reato nel caso di specie semmai configurabile.
Ed ancora, il versamento di euro 1.500,00 avrebbe dovuto comportare la
responsabilità del Silecchia in relazione ad un quantitativo di valore
corrispondente, in tal caso riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5,
d.P.R. 309 del 1990.
6

punto alcuna motivazione.

7.2. Con il secondo motivo denunciava violazione e falsa applicazione degli
artt. 192 e 530 cod. proc. pen., 73 d.P.R. 309 del 1990, difetto di motivazione o
motivazione contraddittoria, agli effetti dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., con riguardo al capo C5).
La Corte si era basata sulle conversazioni intercettate e sul recupero di
sostanza stupefacente nei confronti di tale Asiaghi: ma si era trattato di un unico
caso, a fronte di condotte che si sarebbero protratte per tre mesi, e inoltre le
intercettazioni telefoniche non avrebbero potuto valutarsi, in assenza di riscontri

dovendosi comunque vagliare la chiarezza e decifrabilità dei dialoghi.
Dall’attività di intercettazione non era stata comunque provata la trattativa,
la disponibilità del venditore, il passaggio del denaro e della sostanza.
Il ragionamento del Giudice di merito era stato dunque carente e condotto in
violazione dei principi in materia di valutazione della prova.
In ogni caso sarebbe stata configurabile l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5,
d.P.R. 309 del 1990 per le modalità del fatto, il tempo in cui si sarebbe protratta
la condotta, lo stato di dipendenza dalla cocaina, le difficoltà economiche
dell’imputato, nulla rilevando la semplice reiterazione delle condotte.
L’illogico ragionamento condotto aveva violato il principio dell’oltre ogni
ragionevole dubbio.
7.3. Con il terzo motivo deduceva violazione e falsa applicazione degli artt.
62-bis e 133 cod. pen., insufficienza e illogicità della motivazione, agli effetti
dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione alla mancata
concessione delle attenuanti generiche e alla pena.
A fronte della censura sollevata in appello di difetto di motivazione sul punto
delle attenuanti generiche, la Corte aveva liquidato la questione in poche righe,
con motivazione valida per tutti gli imputati, senza dare contezza del potere
esercitato.
In ogni caso aveva erroneamente compiuto una duplice valutazione degli
stessi elementi in contrasto con il principio del ne bis in idem sostanziale.
L’art. 62-bis cod. pen. non costituisce infatti un doppione dell’art. 133 cod.
pen., dovendosi consentire al giudice di valutare elementi differenti rispetto a
quelli indicati da tale norma per l’esercizio del potere discrezionale nella
commisurazione della pena.
Si sarebbe dovuta inoltre ravvisare insufficienza della motivazione, in quanto
la Corte non aveva fornito adeguata giustificazione dello scostamento dai minimi
edittali.

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sul fatto, come elemento idoneo a fondare la responsabilità dell’imputato,

8. Presentava ricorso anche il Procuratore Generale presso la Corte di
Appello di Milano, denunciando:
erronea applicazione della legge penale agli effetti dell’art. 606, comma 1,
lett. b), cod. proc. pen, in relazione all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.,
all’art. 192, comma 1, cod. proc. pen. e all’art. 546, comma 1, lett. e), cod.
proc. pen;
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
risultante dal testo del provvedimento e da altri atti del processo specificamente

8.1. Segnalava l’errore commesso dalla Corte territoriale all’esordio, allorché
aveva ritenuto di non poter valutare la memoria presentata dal Procuratore
Generale in udienza, in quanto avrebbe introdotto nuovi temi di gravame.
Tale condizionante affermazione sottendeva la genericità dell’originario
appello del Pubblico ministero e l’assunto che una memoria avrebbe introdotto
motivi nuovi e diversi, avulsi dal contesto di quelli ritualmente presentati.
In realtà l’originario appello non sarebbe potuto considerarsi generico, in
quanto in sede di appello si sarebbe dovuto valutare il contenuto devolutivo, atto
a provocare un nuovo esame nel merito, per il quale sarebbe stata sufficiente
l’indicazione dei punti della sentenza da riesaminare e delle ragioni della
richiesta.
In tale prospettiva veniva riprodotto l’appello del Pubblico ministero e si
segnalava che lo stesso aveva focalizzato l’attenzione sulle dichiarazioni rese da
Negri Angelo in data 7/3/2013, che tuttavia non erano state valutate né in primo
grado né in sede di appello.
Del resto la Corte territoriale aveva dato atto dell’esistenza di dichiarazioni
del Negri alla luce delle quali erano state concesse a costui le attenuanti
generiche.
8.2. Il Procuratore Generale procedeva quindi nell’analisi per ciascun capo
cui si riferivano i proscioglimenti.
In ordine al capo C1), riportava le dichiarazioni del Negri e ripercorreva la
motivazione del primo Giudice, facendo rilevare che quelle dichiarazioni non
erano state valutate e che il giudizio si era basato sull’interpretazione di
conversazioni e di sms intercettati.
La Corte aveva omesso di spiegare il motivo per cui la chiamata di correo
coinvolgente anche i due D’Ambrosio e il Silecchía, non potesse ritenersi assistita
da riscontri, ritraibili dall’appello e comunque dalla stessa sentenza di primo
grado.
In tale prospettiva il ricorrente si soffermava sull’analisi di conversazioni e di

8

indicati agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.

8.3. In relazione al capo C2) parimenti si sarebbero dovuti ravvisare
riscontri validi a corroborare la chiamata in correità, insita nella dichiarazione del
Negri del 7/3/2013, nella parte in cui aveva ricondotto sostanzialmente ai due
D’Ambrosio tutte le vicende.
Dialoghi ed sms avrebbero costituito fondamento di prova anche a carico di
Silecchia, come emergeva anche da conversazioni menzionate dal primo Giudice.
D’altronde i riscontri avrebbero potuto essere di qualsiasi tipo e concernere
anche solo una parte del narrato, se riguardante fatti in stretta connessione tra

8.4. In relazione al capo C3) le dichiarazioni del Negri corroboravano la
responsabilità di tutti gli imputati e certamente anche del Silecchia, già
suffragata dalle risultanze delle conversazioni intercettate che venivano di nuovo
riportate e analizzate, peraltro direttamente coinvolgenti anche D’Ambrosio
Antonio.
In particolare veniva segnalata l’opportunità di valutare le conversazioni nel
loro insieme, quali segmenti indiziari, da conciliare con il complesso del materiale
probatorio e indicanti la cointeressenza dei fratelli D’Ambrosio.
8.5. Con riguardo al capo C4), si faceva rilevare che i messaggi coinvolgenti
D’Ambrosio Antonio non erano generici e che inoltre sarebbe dovuta considerarsi
la chiamata di correo del 7/3/2013 da parte del Negri, in ordine alla quale il
primo Giudice aveva solo segnalato la natura etero-accusatoria delle
dichiarazioni.
8.6. Di qui la richiesta di annullamento con rinvio con riferimento alle
posizioni per cui era stato pronunciato proscioglimento.

9. Con memoria recante motivi aggiunti, depositata il 29/10/2015, l’Avv.
Manuela Cacciuttolo, difensore del ricorrente Silecchia, deduceva violazione e
falsa applicazione dell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’appello
del Pubblico Ministero, con conseguente inammissibilità del ricorso del
Procuratore Generale.
Segnalava che nel giudizio di appello aveva eccepito l’inammissibilità
dell’appello del Pubblico ministero per genericità, in quanto conteneva rinvio ad
atti del procedimento (informative, intercettazioni, ordinanza di custodia
cautelare), senza specificare, in relazione a capi e punti ben individuati della
sentenza impugnata e con riguardo a ciascun imputato, le puntuali censure e gli
elementi che erano a base delle stesse.
Né sarebbe potuta valere a colmare la lacuna la memoria del P.G.,
depositata in udienza.

9

loro.

Alla luce di tali considerazioni deduceva l’inammissibilità del ricorso
presentato dal Procuratore Generale .
Veniva condiviso l’assunto della Corte secondo cui l’appello aveva solo
prospettato una diversa e non maggiormente persuasiva lettura dello stesso
materiale probatorio e si faceva rilevare che anche il ricorso aveva offerto una
lettura alternativa di detto materiale, senza censurare la motivazione del giudice
di merito nei modi e nei limiti in cui ciò era consentito nel giudizio di legittimità.

1. Il ricorso presentato da Negri Nicola Angelo è inammissibile.
In modo del tutto generico viene dedotto che la Corte territoriale si sarebbe
limitata a valorizzare la gravità delle condotte, omettendo di fornire una
motivazione a fondamento della decisione con cui erano state disattese le
censure proposte con l’atto di appello.
In realtà, non solo va rilevato che la natura di tali omissioni non ha formato
oggetto di puntuale indicazione, ma va anche osservato che la Corte ha
debitamente valutato la collaborazione prestata dal Negri, per questo
concedendo al predetto le attenuanti generiche, che hanno fortemente inciso
sull’entità della pena in concreto irrogata, per il resto dando atto della gravità
delle condotte (già sottolineata dal primo Giudice, anche in relazione alla loro
reiterazione e al loro riferirsi a quantitativi significativi), fermo restando che la
pena base, prima delle riduzione per le generiche, è stata determinata in anni
sette di reclusione ed euro 30.000,00, cioè in misura non lontana dai minimi
edittali, e che assai contenuti sono risultati gli aumenti per la continuazione con
gli ulteriori reati.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna al pagamento delle
spese processuali e, in relazione ai profili di colpa sottesi alla causa di
inammissibilità, della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle
ammende.

2. Deve considerarsi inammissibile anche il ricorso presentato nell’interesse
di Vimercati Giovanni.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente ha riproposto i medesimi argomenti sui
quali si era fondato l’appello, peraltro conformi alla linea difensiva incentrata
sulle pretese minacce subite in Colombia, a fronte delle quali il Vimercati avrebbe
prelevato la droga, disfacendosene immediatamente e poi fingendo con i sodali
di stare al gioco, prima di rendersi irreperibile.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

Ma quegli argomenti erano stati giudicati insufficienti dal primo Giudice e
sono stati ritenuti del tutto infondati dalla Corte territoriale sulla base di
valutazioni che hanno tenuto conto del materiale probatorio acquisito e che non
presentano vizi logici o profili di manifesta illogicità.
In particolare è stato rilevato come, a fronte delle dichiarazioni rese dal
Vimercati, gli elementi addotti a sostegno, costituiti dal mancato rintraccio della
droga o di denaro in Madagascar e dal fatto che il ricorrente avesse superato
controlli presso altri scali aeroportuali, non potessero in alcun modo dirsi

luogo in cui il Vimercati si era nascosto, e che il superamento di eventuali
controlli avrebbe dovuto costituire la base stessa dell’operazione, anche per il
Negri che avrebbe dovuto ritirare la droga in Madagascar.
Per il resto la Corte ha osservato che a carico del ricorrente militava anche
la chiamata in correità operata da Negri e che l’assunto difensivo era rimasto
indimostrato, in senso contrario deponendo invece le numerose conversazioni
intercettate, non compatibili con la tesi del costringimento mediante armi da
fuoco e del conseguente timore, che avrebbe determinato uno stato di necessità.
A fronte di tali valutazioni il ricorrente si è limitato a dedurre che le
intercettazioni non sarebbero state idonee a far dubitare della genuinità della tesi
difensiva e a ribadire quest’ultima, in tal modo proponendo inammissibili censure
di merito in favore di una diversa ipotesi ricostruttiva e omettendo di
confrontarsi con le valutazioni della Corte e soprattutto con l’argomento
incentrato sulla confermativa chiamata in correità.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha contestato la mancata
concessione del beneficio della sospensione condizionale, censurando la
motivazione incentrata sull’asserito coinvolgimento in un contesto di notevole
spessore criminale, rappresentato da trafficanti sudamericani.
Ma anche in questo caso il ricorrente ha omesso di confrontarsi con il quadro
complessivo degli elementi a carico, debitamente valutati dalla Corte territoriale,
giunta al riconoscimento della penale responsabilità proprio sulla base di
quell’inserimento, che aveva consentito al Vimercati di farsi consegnare il
quantitativo di sostanza stupefacente da trasportare in Madagascar, d’intesa con
gli altri sodali italiani.
Assume rilievo a questo riguardo quanto rilevato dal primo Giudice in ordine
alle fotografie risalenti al 27/28 febbraio 2012, che già ritraevano insieme il
Vimercati e il Negri in Colombia (pag. 90), nonché in ordine alle rimostranze di
Fiordimondo Domenico per un pregresso debito del Vimercati nei suoi confronti
di euro 4.500,00 (pag. 64).

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conducenti, in quanto la droga non era stata neppure cercata, men che mai nel

Corretta risulta dunque la valutazione che ha condotto la Corte territoriale a
negare l’invocato beneficio, essendosi fatto riferimento ad un dato personologico
significativo, evocante la capacità del ricorrente di varcare la soglia del crimine.
2.3. Anche nei confronti del Vimercati, attesa l’inammissibilità del ricorso, va
in conclusione pronunciata condanna al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.

3. Parimenti inammissibile risulta il ricorso presentato nell’interesse di

3.1. Relativamente al capo C2), si deduce che le conversazioni intercettate,
poste dalla Corte territoriale a fondamento della conferma della condanna, non
dimostrerebbero la compartecipazione del D’Ambrosio all’operazione, ma solo il
fatto che egli ne fosse consapevole, in assenza di conversazioni intercorrenti tra
il D’Ambrosio e il Vimercati e a fronte del fatto che il Vimercati aveva sostenuto
di conoscere solo il Fiordimondo.
Ma in tal modo sono stati semplicemente riproposti i temi oggetto dell’atto
di appello, a sostegno di una ricostruzione di merito reputata preferibile, senza
alcuna considerazione delle ragioni poste dalla Corte alla base della condanna e
in particolare senza specifica contestazione della valenza delle conversazioni
riportate dal primo Giudice alle pagine da 66 a 69, richiamate dalla Corte, che ha
da esse, tutt’altro che illogicamente (considerando il rincrescimento espresso dal
D’Ambrosio e i non benevoli propositi da lui manifestati), tratto la piena prova
del coinvolgimento del ricorrente.
D’altro canto non può dirsi illegittimo neppure il riferimento fatto dalla Corte
territoriale al coinvolgimento del D’Ambrosio negli episodi sub C3) e C4), non
oggetto di contestazione con l’atto di appello: ed invero se tali episodi da soli
non avrebbero potuto comprovare la responsabilità del D’Ambrosio per l’ulteriore
spedizione sub C2), ben avrebbero potuto invece invocarsi a supporto, per
segnalare la medesimezza delle condotte e dei soggetti coinvolti.
3.2. Relativamente al capo C6) il motivo di ricorso è nel contempo generico
e manifestamente infondato.
In primo luogo non si formula alcun rilievo con riguardo alla cessione di
sostanza stupefacente da parte del D’Ambrosio a tale Rosatti, peraltro rinvenuto
in possesso di un quantitativo di cocaina subito dopo un incontro con il
ricorrente.
In secondo luogo si muove dall’assunto che la prova della cessione in favore
di tale Cofone sarebbe stata desunta da una conversazione tra il D’Ambrosio e la
moglie, nella quale sarebbe stato raccontato un sogno e non un fatto reale.

12

D’Ambrosio Giovanni.

Ma in realtà la Corte territoriale, anche sulla scorta di quanto osservato dal
primo Giudice, non ha affatto fondato il proprio giudizio su dati onirici, bensì su
elementi calati nella realtà, costituiti essenzialmente dai contatti telefonici
intercorsi tra il D’Ambrosio e il Cofone, che in una circostanza si era accordato
con l’altro per comprare «il pane»: in effetti, come accertato dal primo Giudice,
l’incontro era stato direttamente osservato dalla P.G. ed era risultato fugace, con
il D’Ambrosio che, recatosi in auto presso la banca in cui lavorava il Cofone, lo
aveva fatto salire a bordo, facendogli fare un giro dell’isolato e facendolo

Solo a conferma il primo Giudice aveva riportato una conversazione tra il
D’Ambrosio e la moglie nella quale il ricorrente in risposta al racconto di un
sogno della moglie, aveva raccontato di aver sognato di essersi incontrato con
l’amico Giancarlo che lavorava in banca e di avergli mostrato la droga.
Ciò significa che il ricorrente ha formulato un rilievo deassiale rispetto al
reale quadro probatorio e non si è debitamente confrontato con quest’ultimo.
3.3. Relativamente al capo C7), il motivo di ricorso è all’evidenza generico.
Viene infatti dedotto che l’assunto dell’attività di spaccio compiuta presso il
bar-tabaccheria I! Rastrellone non avrebbe trovato riscontri probatori diversi da
conversazioni intercorse nell’auto tra il D’Ambrosio e la moglie e che per tale via
non sarebbe comunque risultato chi fossero gli acquirenti e quali quantitativi
fossero stati ceduti: riassuntivamente si afferma che gli stralci di conversazione
di cui alle pagine 10, 11 e 12 della sentenza dimostrerebbero l’errata valutazione
delle prove.
Ma in realtà proprio tale ultimo asserto suffraga invece l’inammissibilità del
ricorso, che non si cala nella concreta realtà delle conversazioni, ampiamente
richiamate sia dal primo Giudice che dalla Corte territoriale, conversazioni nelle
quali si dà conto della continuativa attività di spaccio e dei lucri attraverso di
essa conseguiti e conseguibili, oltre che dei relativi rischi. In ogni caso il
ricorrente non censura specificamente il significato attribuito a quelle
conversazioni né la loro genuinità, che la Corte ha con valutazione immune da
vizi ritenuto quanto mai elevata, atteso il contesto riservato (nell’autovettura) in
cui le conversazioni erano intercorse.
3.4. Generico risulta il secondo motivo di ricorso riguardante il trattamento
sanzionatorio e le attenuanti generiche.
Si assume che la Corte non avrebbe debitamente giustificato l’uso del potere
discrezionale, limitandosi a rilevare che non vi era spazio per la riduzione della
pena e per la concessione delle attenuanti generiche.

13

scendere subito dopo.

Ma in realtà già il primo Giudice aveva specificamente valorizzato la gravità
e la continuità delle condotte, in tal modo dando conto della valutazione degli
elementi rilevanti ai fini della determinazione della pena.
La Corte ha osservato che non vi era spazio per una riduzione della stessa,
non essendo state indicate le ragioni per cui essa si sarebbe dovuta reputare
eccessiva e non essendosi invocati validi elementi a sostegno della richiesta di
concessione delle attenuanti generiche: in particolare la Corte ha ritenuto di non
poter attribuire rilievo all’asserita confessione, in quanto assolutamente

dipendenza dal gioco d’azzardo.
Si tratta di valutazioni pienamente in linea con i parametri cui è legata sia
l’individuazione di elementi specifici che giustificano la concessione delle atipiche
attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen. sia la concreta determinazione della
pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen.: a fronte di ciò non sono state formulate
specifiche censure, essendosi omesso di considerare l’esatto contenuto di quelle
valutazioni.
3.5. Il terzo motivo di ricorso, riguardante le pene accessorie, è
manifestamente infondato.
Del tutto correttamente la Corte ha applicato d’ufficio le pene accessorie di
legge, applicazione non legata a valutazioni discrezionali, ma dipendente
dall’entità della pena irrogata (sul punto Cass. Sez. U. n. 8411 del 27/5/1998,
Ishaka, rv. 210979): non sarebbe stata dunque necessaria alcuna motivazione
specifica.
3.6. Anche nei confronti di D’Ambrosio Giovanni va disposta la condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore
della cassa delle ammende.

4. Inammissibile risulta il ricorso presentato nell’interesse di Silecchia
Egidio.
4.1. Il primo motivo, concernente l’imputazione sub C4), si risolve in mere
asserzioni, che non si confrontano in alcun modo con il discorso giustificativo
della decisione contenuto nella sentenza di primo grado e in quella della Corte
territoriale, posto che le motivazioni, in presenza di c.d. doppia conforme, si
saldano tra loro.
Ed invero si assume dal ricorrente che il giudizio di penale responsabilità
sarebbe stato fondato sul fatto che il Silecchia era inserito in un contesto
familiare, coinvolgente nel medesimo giro anche il padre Michele, sul tenore delle
conversazioni telefoniche e sul versamento della somma di euro 1.500,00, ma in
assenza di prove in ordine alla consapevolezza da parte del Silecchia del
14

necessitata, e neppure all’inconferente percorso terapeutico per vincere la

quantitativo trattato e delle trattative intercorse con i sudamericani e dunque in
assenza di prove del coinvolgimento del Silecchia negli accordi intercorsi ai fini
della spedizione di cui al capo C4).
Ma si tratta, come detto, di assunti apodittici, che non trovano conferma nel
contenuto delle sentenze di merito.
Il primo Giudice aveva riportato il testo di numerose conversazioni
telefoniche coinvolgenti il Silecchia e tra queste le conversazioni che davano
conto dei contatti intercorsi tra il Negri e il D’Ambrosio da un lato e tra il Negri e

conversazioni dalle quali era emerso che il Negri, con l’ausilio del Silecchia,
aveva deciso di trovare direttamente un accordo con il fornitore colombiano
scavalcando il D’Ambrosio.
In particolare il primo Giudice aveva riportato (a pag. 48) la conversazione
tra Negri e Silecchia, dalla quale era emerso che il Negri in Colombia aveva preso
accordi in modo che «siamo solo io e te» e che peraltro sarebbe occorso
l’immediato invio di una somma di denaro (aveva detto Silecchia al Negri: «ciò
se gli mandiamo ste 1500 allora lui ti fa lavorare pure a te, diciamo»): di
seguito, come accertato dal primo Giudice, il Silecchia aveva effettivamente
provveduto ad inviare quella somma.
L’operazione si era conclusa con l’arrivo in Italia del Negri, che, dopo aver
riferito al D’Ambrosio di essere «scarico», si era fatto venire a prendere dal
Silecchia: in quel frangente la vettura del Silecchia con a bordo il predetto e il
Negri era stata fermata e controllata, ciò che aveva condotto al rinvenimento di
due bottiglie contenenti cocaina liquida.
La Corte territoriale ha segnalato come il Silecchia fosse inserito in un
contesto familiare di spaccio, in ragione del coinvolgimento del padre Michele,
già tratto in arresto, e ha sottolineato che il Silecchia ben sapeva ciò di cui si
stava parlando in occasione dei colloqui intercettati.
Ha aggiunto che il predetto aveva consapevolezza dell’operazione di
importazione cui stava partecipando, al di là del controvalore della somma da lui
inviata, posto che lo stupefacente era destinato a più soggetti.
Ma la Corte territoriale, oltre a segnalare la valenza dell’arresto del
Silecchia, avvenuto dopo che egli si era recato a prendere il Negri di ritorno dalla
Colombia, ha introdotto l’argomento specifico costituito dalla chiamata in correità
del Negri, precisando infine che il proscioglimento del Silecchia dai reati sub C1),
C2) e C3) era dipeso dalla mancanza di prove circa la sua diretta partecipazione,
pur essendo egli a conoscenza delle operazioni.
Si tratta di una serie di argomenti che da un lato erano idonei a rispondere
alle censure formulate nell’atto di appello, sostanzialmente riproposte in questa
15

il Silecchia dall’altro per l’organizzazione del viaggio nonché specificamente le

sede, e che dall’altro non vengono specificamente contrastati nel motivo di
ricorso, che si limita ad assumere apoditticamente che per quel tramite non
sarebbe stata acquisita prova del consapevole coinvolgimento del Silecchia
nell’operazione nel suo complesso, senza che però venga spiegato perché le
conversazioni riportate dal primo Giudice e sostanzialmente richiamate dalla
Corte territoriale, valutate alla luce degli altri elementi, non fossero idonee a
spiegare il tipo di coinvolgimento del Silecchia, quale diretto sodale del Negri,
intenzionato ad estromettere il D’Ambrosio dall’affare.

sul pregresso coinvolgimento del padre, ma ha invece debitamente inserito tale
elemento nel quadro degli elementi probatori a carico del Silecchia, in quanto
contribuente a delineare il contesto relazionale nel quale il predetto si muoveva.
Inoltre il ricorrente omette di considerare il riferimento fatto alla chiamata in
correità da parte del Negri, il che vale di per sé a segnalare la genericità del
motivo.
4.2. Non corrisponde al vero che la Corte territoriale abbia escluso l’ipotesi
di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990 sulla sola base del rilievo che,
anche considerando il controvalore di euro 1.500,00, non si sarebbe trattato di
quantitativo trascurabile.
Deve osservarsi in via generale che la questione, sostanzialmente irrilevante
al momento del fatto, allorché l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del
1990 costituiva una mera attenuante, assume maggiore rilievo a seguito della
modifica introdotta dall’art. 1, comma 24-ter, lett. a), d.l. 20 marzo 2014 n. 36,
convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n, 79, per effetto della
quale la norma contempla un reato autonomo, del quale va specificamente
valutato l’elemento psicologico.
Ma in realtà la Corte ha solo dialetticamente aggiunto quell’argomento
(senza riconoscere la verosimiglianza dell’assunto difensivo) alla complessiva
motivazione, essenzialmente incentrata sulla compartecipazione del Silecchia
all’intera operazione, destinata ad assicurare l’importazione di un quantitativo di
cocaina rilevante, tale in effetti risultato, tenendo conto delle due bottiglie di
cocaina liquida recuperate.
Del tutto inconferente risulta dunque anche la censura volta a segnalare la
mancanza di riscontro tra l’importo di euro 1.500,00 e l’effettivo quantitativo di
stupefacente, censura peraltro contraddittoria in sé, in quanto nel contempo non
potrebbe trarsi dal riferimento all’importo neppure la conclusione della sua
compatibilità con l’ipotesi invocata.
Va comunque osservato che la Corte territoriale, seguendo l’impostazione
del primo Giudice, ha correttamente ritenuto che il Silecchia avesse partecipato
I
16

Del resto non consta che la Corte abbia fondato la conferma della condanna

all’operazione come tale e che la somma di euro 1.500,00 avesse costituito
l’immediato contributo fornito dal Silecchia alla sua riuscita, contributo che, sulla
base della citata conversazione richiamata nella sentenza di primo grado,
risultava in quella fase necessario, fermo restando che sul piano difensivo non è
stato dedotto come un importo di euro 1.500,00 potesse farsi rientrare
nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, anche alla luce degli altri parametri presi
in considerazione dalla norma.
4.3. Manifestamente infondata risulta la tesi della configurabilità del delitto

Tale tesi invero si fonda semmai solo sull’atto finale, ma elimina dalla scena
tutto ciò che ha preceduto il viaggio di ritorno del Negri in Italia, compreso l’invio
da parte del Silecchia della somma di euro 1.500,00, invio sul quale
primariamente si focalizza il contributo materiale del ricorrente, suggellandone la
corresponsabilità a titolo di concorso nel reato.
In ogni caso, anche valutando l’atto finale sul piano fenomenologico, a
fronte dell’importazione della cocaina ormai perfezionatasi con il ritorno del Negri
in Italia, giammai si sarebbe potuto ravvisare il delitto di favoreggiamento, posto
che la condotta del Silecchia, come spiegata dai giudici di merito, era volta ad
assicurare non la cessazione della detenzione bensì il sicuro trasporto anche
della droga, che il Negri recava con sé (più in generale si rinvia a Cass. Sez. U.
n. 36258 del 24/5/2012, Biondi, rv. 253151, secondo cui il reato di
favoreggiamento non è configurabile rispetto alla illecita detenzione di
stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché nei reati permanenti
qualunque agevolazione del colpevole posta in essere prima che la condotta sia
cessata, si risolve in un concorso nel reato).
4.4. Generico e comunque manifestamente infondato è il secondo motivo di
ricorso, riguardante l’imputazione sub C5).
Il ricorrente formula ancora una volta rilievi astratti, mediante proposizioni
apodittiche che non si confrontano con la realtà della prova, posta dai Giudici di
merito a fondamento del giudizio di penale responsabilità.
E’ inconferente la generica contestazione delle conversazioni intercettate se
non si spiega puntualmente sotto quale profilo le stesse dovrebbero considerarsi
inidonee a suffragare l’ipotesi accusatoria.
Parimenti inconferente risulta l’assunto incentrato sulla mancanza di indizi
gravi, previsi e concordanti, ove non si segnali la concreta lacuna emergente dal
quadro probatorio utilizzato dalla Corte territoriale e dal primo Giudice.
In realtà l’accertamento riguardante il capo C5), incentrato su plurime
condotte di spaccio di stupefacenti, si fonda su una serie di analoghi colloqui
intercettati con i titolari di diverse utenze, con i quali con cadenza quasi
17

di favoreggiamento.

giornaliera il Silecchia si incontrava, incontri il cui significato è stato valutato alla
luce del tenore dei colloqui e di due elementi ulteriori, costituiti dal recupero di 3
grammi di cocaina in possesso di tale Acquati, dopo che lo stesso si era
incontrato con il Silecchia, e dalle dichiarazioni di Asiaghi Ernico, a detta del
quale il Silecchia gli aveva fornito cocaina per 4/5 anni.
Se questo è il concreto accertamento, sinteticamente richiamato dalla Corte
territoriale, risulta evidente la genericità del motivo, che fra l’altro non si
confronta in alcun modo con le dichiarazioni dell’Asiaghi (nel ricorso si confonde

4.5. Ancora una volta generiche risultano le censure riferite al mancato
riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990,
essendosi semplicemente riproposti i profili già dedotti nell’atto di appello,
riguardanti le modalità del fatto, con cessione di piccoli quantitativi, il tempo in
cui si sarebbe protratta la condotta, lo stato di dipendenza da cocaina, le
difficoltà economiche.
In realtà questo profilo del secondo motivo non si misura con i parametri
indicati dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990, e con l’interpretazione
corrente della norma secondo cui tale ipotesi ricorre solo nel caso di minima
offensività, desumibile dal dato quantitativo e qualitativo nonché dagli altri
parametri, cioè i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, con la
conseguenza che ove uno degli indici risulti negativamente assorbente ogni altra
considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Cass. Sez. U. n. 35737 del
24/6/2010, Rico, rv. 247911; Cass. Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, Xhihani, rv.
263651; Cass. Sez. 6, n. 39977 del 19/9/2013, Tayb, rv. 256610).
E’ vero che l’ipotesi invocata è compatibile anche con condotte reiterate, nel
quadro del c.d. piccolo spaccio: tuttavia la Corte territoriale ha correttamente
fatto leva sulla posizione complessiva del ricorrente e rilevato che lo stesso non
occupava un ruolo marginale, fermo restando il significato della pressoché
quotidiana capacità, emergente dalla sentenza di primo grado, di rifornire una
pluralità di acquirenti, la quale implicava la disponibilità di canali di
approvvigionamento e la previa acquisizione di sufficienti quantitativi da
riversare nel minuto spaccio.
Ciò si colloca al di fuori del piccolo spaccio, cioè al di fuori del mero riscontro
estrinseco di una pluralità di condotte di spaccio al minuto, compatibili con il
giudizio di minima offensività, rientrando invece in una dimensione qualificata
dal numero degli acquirenti e dei quantitativi a disposizione.
D’altro canto la gran parte dei profili invocati dal ricorrente sono inidonei a
suffragare la concreta configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, cit.:
anche a voler reputare rilevanti le circostanze soggettive dell’azione (secondo
18

peraltro la posizione dell’Asiaghi con quella dell’Acquati).

quanto prospettato da Corte cost. n. 333 del 1991, peraltro in un quadro
normativo diverso) e a voler dunque riconoscere la valenza delle finalità
perseguite dal reo, in quanto tossicodipendente, dovrebbe nondimeno
inquadrarsi tale elemento all’interno di una complessiva valutazione dei
parametri di riferimento, non potendosi attribuire allo stesso significato
dirimente, soprattutto quando si accerti un’attività di spaccio di dimensioni
ragguardevoli (Cass. Sez. 3, n. 27/3/2015, Genco, rv. 264490); va aggiunto che
nel caso di specie la dipendenza da cocaina e la difficoltà economica sono solo

temporale, non tiene conto delle dichiarazioni rese dal citato Asiaghi, secondo cui
il Silecchia lo riforniva da anni.
4.6. Manifestamente infondato e ancora una volta generico risulta il terzo
motivo riguardante il trattamento sanzionatorio.
Si assume che si sarebbe tenuto conto due volte di uno stesso elemento, sia
ai fini della determinazione della pena sia ai fini del diniego delle attenuanti
generiche e che inoltre sarebbe mancata una motivazione adeguata in punto di
commisurazione della pena.
Ma, quanto alle attenuanti generiche, il primo giudice aveva espressamente
negato la concessione, osservando che, a fronte della gravità dei fatti, non
militava in favore delle attenuanti atipiche il comportamento processuale,
caratterizzato al più da confessioni parziali e comunque necessitate.
La Corte territoriale ha sottolineato per parte sua che non sussisteva alcun
elemento di positiva valutazione, al fine del riconoscimento delle attenuanti
generiche.
In tale prospettiva il motivo di ricorso risulta all’evidenza privo di
qualsivoglia riscontro negli argomenti utilizzati dai giudici di merito, i quali, se
per un verso hanno segnalato la gravità dei fatti, dall’altro hanno semplicemente
preso atto dell’insussistenza di elementi specificamente valutabili ai fini del
riconoscimento delle attenuanti invocate.
Né il motivo di ricorso segnala profili già invocati, di cui non si sia tenuto
conto e che dunque siano stati indebitamente pretermessi in sede di valutazione
della concedibilità delle attenuanti atipiche.
Va infatti osservato che l’art. 62-bis cod. pen. rimette al Giudice la facoltà di
trarre motivo di riduzione della pena da circostanze diverse da quelle
specificamente tipizzate, solitamente desunte da uno o più dei parametri che
presiedono alla determinazione della pena, contemplati dall’art. 133 cod. pen,
esclusa peraltro, per disposizione di legge, la possibilità di attribuire rilievo alla
mera incensuratezza.

19

assertivamente invocate in questa sede e che l’assunto del ristretto ambito

In sostanza la concessione delle attenuanti postula comunque
l’individuazione di un elemento positivamente valutabile a tal fine, inerente al
fatto o alla personalità del reo, che giustifichi in concreto l’attenuazione della
pena (Corte Cost. n. 183 del 2011 fa riferimento ad un «principio generale che
governa la complessa attività commisurativa della pena da parte del giudice,
saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali
essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall’art. 27, terzo comma,
Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell’applicazione delle

Ed allora la motivazione dei giudici di merito, che hanno ritenuto di non
poter attribuire rilievo ad alcun specifico elemento, risulta corretta e rispettosa
del relativo onere di motivazione, in assenza di puntuali indicazioni rivenienti
dalla parte interessata e in assenza di specifiche censure rilevanti in questa sede.
Né può porsi in concreto un problema di violazione del

bis in idem

sostanziale.
In via astratta va effettivamente osservato che «il giudice di merito non può
valutare un fatto integrante una specifica circostanza attenuante o aggravante
sia ai fini della quantificazione della pena base che ai fini della sua successiva
attenuazione o aggravamento, atteso che, ai sensi dell’art. 63, comma primo
cod. pen., l’aumento o la diminuzione della pena previsti da circostanze tipizzate
presuppongono una base di calcolo che esclude dai suoi elementi di valutazione
lo stesso fatto integrante la circostanza» (Cass. Sez. 3, n. 40765 del 30/4/2015,
Brutto, rv. 264905). Tale principio, riferito alle attenuanti generiche, implica che
una volta individuato l’elemento positivamente valutabile ai fini
dell’attenuazione, non si possa allo stesso attribuirsi valore anche in sede di
determinazione della pena, il che non coincide con la prospettiva invocata dal
ricorrente.
Semmai il problema potrebbe porsi allorché l’elemento in teoria valutabile,
sia stato reputato in concreto inidoneo, in quanto sub-valente rispetto ad altri,
nel quadro di una globale valutazione dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen.
(insegna invero Cass. Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic, rv. 256172, che
per il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il
giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti
dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga
obbligatoriamente conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle
specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato): ciò tuttavia non
porrebbe un problema di bis in idem, in quanto semplicemente sarebbe stato

20

circostanze»).

fatto uso del potere discrezionale nei limiti consentiti, da un lato per escludere
una ragione di attenuazione e dall’altro per addivenire al calcolo della pena.
Sta di fatto che comunque nel caso di specie il problema non si pone in
alcun modo, in quanto i giudici di merito, come rilevato, non hanno individuato
alcun elemento in concreto valutabile ai fini della concessione delle attenuanti
generiche, cosicché non rileva il riferimento alla gravità dei fatti, la quale ha
costituito invece il parametro fondamentale di determinazione della pena e non
ha assunto il significato ulteriore di contrastare la valenza di eventuali elementi

Quanto poi alla determinazione della pena, è dirimente osservare che il
primo Giudice, discostatosi in misura modesta dal minimo edittale rispetto alla
pena base del reato sub C4), ha comunque valorizzato un parametro
legittimamente valutabile, costituito dalla gravità e reiterazione dei fatti, e che la
Corte territoriale ha asseverato tale giudizio, peraltro rilevando che il Silecchia
non aveva avuto un ruolo marginale e nel contempo osservando che la pena non
si sarebbe potuta ridurre, in quanto già irrogata in misura contenuta, sia con
riferimento alla pena base sia con riguardo all’aumento per la continuazione,
tenendo conto che gli episodi sub C5) avrebbero implicato anche un computo
della continuazione interna.
Deve dunque escludersi che sia mancata una motivazione congrua e
adeguata in punto di determinazione della pena, dovendosi invece ritenere che il
giudizio sia stato fondato sulla presa d’atto completa degli elementi in concreto
valorizzabili, alla luce di quanto previsto dall’art. 133 cod. pen., e risulti dunque
suscettibile di adeguato controllo.
4.7. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa sottesi alla
causa di inammissibilità, della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa
delle ammende.

5. Un’analisi più articolata si impone con riferimento al ricorso del
Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano.
5.1. Va in primo luogo osservato come il primo Giudice avesse ritenuto di
prosciogliere D’Ambrosio Antonio da tutti i reati a lui ascritti, D’Ambrosio
Giovanni dal reato sub C1) e Silecchia Egidio dai reati sub C1), C2) e C3), sul
rilievo che le conversazioni e gli sms acquisiti, in quanto di generico o
ambivalente contenuto, non suffragassero la loro diretta partecipazione a quelle
operazioni, quand’anche potessero far ritenere che gli stessi ne avessero avuto
conoscenza.

23.

atipici.

Il Pubblico Ministero aveva presentato appello (l’appello è per intero
richiamato nel ricorso del P.G. e allegato alla memoria presentata dall’Avv.
Cacciuttolo, difensore di Silecchia), deducendo che erano stati erroneamente
valutati gli elementi a carico degli imputati, posto che le conversazioni e gli sms
nonché le risultanze dei servizi di osservazione e controllo erano già risultati
idonei a fondare una richiesta di applicazione di misura cautelare ed erano stati
poi confermati dalle dichiarazioni rese da Negri Nicola Angelo.
Oltre a descrivere l’esordio dell’indagine e l’apparire sulla scena dei vari

rese dal Negri nel corso dell’interrogatorio del 7/3/2013, essenzialmente riferite
all’episodio sub C1), dopo di che aveva richiamato gli elementi, costituiti da sms
e conversazioni, che erano stati menzionati nell’informativa di P.G. con
riferimento alle imputazioni dalle quali i vari imputati erano stati prosciolti.
L’appellante assumeva che quegli elementi avrebbero dovuto considerarsi
tutt’altro che generici e dunque idonei a suffragare la penale responsabilità di
quegli imputati.
Il Procuratore Generale all’udienza celebrata dinanzi alla Corte di appello di
Milano aveva presentato una memoria, nella quale aveva dato un assetto diverso
alle doglianze contenute nell’atto di appello, sottolineando che in realtà tutti gli
elementi acquisiti avrebbero dovuti intendersi come riscontri del dato probatorio
fondamentale costituito dalla chiamata in correità riveniente dalle dichiarazioni
rese dal Negri: in tal modo l’analisi era stata condotta con riferimento alle
singole imputazioni, in modo da delineare il quadro dei riscontri desumibili dai
vari elementi acquisiti.
Le difese, in particolare l’Avv. Cacciuttolo, aveva eccepito la genericità
dell’atto di appello e l’inammissibilità della memoria del P.G..
La Corte di appello ha in concreto respinto l’eccezione di inammissibilità
dell’appello, ma ha rilevato che la memoria del P.G. non avrebbe potuto
intendersi come idonea ad ampliare la sfera dell’appello fino ad includere temi di
gravame nuovi, in precedenza non allegati.
Nel merito poi l’appello del Procuratore della Repubblica è stato interamente
respinto, con conferma delle pronunce assolutorie.
In questa sede la questione dell’ammissibilità dell’originario appello del
Pubblico Ministero è stata riproposta dall’Avv. Cacciuttolo con memoria
contenente motivi aggiunti sullo specifico tema: si è dedotto che l’inammissibilità
dell’appello per mancanza del requisito della specificità avrebbe travolto anche il
ricorso del Procuratore Generale e si è rilevato inoltre come correttamente la
Corte avesse disatteso i rilievi del P.M., limitatosi ad una diversa e non
maggiormente persuasiva lettura dello stesso materiale probatorio; quanto al
22

personaggi, l’appellante aveva poi riportato un ampio stralcio delle dichiarazioni

ricorso del Procuratore Generale si è dedotto altresì che lo stesso parimenti era
rivolto ad una rilettura del materiale probatorio e non dimostrava l’insufficienza
dell’iter argomentativo seguito dal giudice del merito.
5.2. Ciò posto, è d’uopo rilevare in primo luogo che la memoria, con motivi
aggiunti, presentata dall’Avv. Cacciuttolo, deve ritenersi ammissibile, in quanto,
con essa si deducono questioni non sollevate con il ricorso ma rese attuali (e di
interesse per la parte) solo dal ricorso del Procuratore Generale.
5.3. In secondo luogo deve condividersi il rilievo della Corte territoriale per

Corte di appello non avrebbe potuta prendersi in considerazione in riferimento a
nuovi temi di gravame, per quanto riferiti ai medesimi capi e punti.
Va infatti rimarcato che la memoria per questa parte si sarebbe dovuta
reputare tardiva, in quanto presentata dopo che era decorso il termine per la
presentazione di motivi aggiunti.
Questi ultimi d’altro canto devono riguardare gli stessi capi e punti oggetto
dell’appello originario (Cass. Sez. 6, n. 45075 del 2/10/2014, Sabbatini, rv.
260666): proprio per questo non può utilmente darsi ingresso ad una memoria
tardivamente presentata, sol perché riferita ai medesimi capi e punti, per tale via
addivenendosi altrimenti ad una indebita violazione del termine previsto a pena
di inammissibilità.
5.4. In concreto si rileva che anche l’appello è soggetto alla disciplina
prevista in generale per le impugnazioni dall’art. 581 cod. proc. pen.
Al comma 1, lett. c), si prevede in particolare che devono essere esposti i
motivi con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto
che sorreggono ogni richiesta.
Prevale in proposito la tesi che il requisito della specificità dei motivi debba
essere inteso in modo meno rigoroso con riguardo all’appello rispetto al giudizio
di legittimità (Cass. Sez. 5, n. 41082 del 19/9/2014, Sforzato, rv. 260766; Cass.
Sez. 1, n. 1445 del 14/10/2013, dep. nel 2014, Spada, rv. 258357, ove si
sottolinea il carattere devolutivo dell’appello, atto a provocare un nuovo giudizio
di merito).
Peraltro si sottolinea che la specificità dei motivi deve essere valutata alla
luce della funzione dell’impugnazione, non potendo essere intesa in modo da
eludere il disposto dell’art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (Cass. Sez. 5,
n. 39210 del 29/5/2015, Jovanovic, rv. 264686). Ed ancora si pone in luce che
l’appello deve comunque contrapporre alle ragioni poste a fondamento della
decisione impugnata argomentazioni che attengano agli specifici passaggi della
motivazione della sentenza ovvero concreti elementi fattuali pertinenti a quelli

23

cui la memoria presentata dal Procuratore Generale solo all’udienza dinanzi alla

considerati dal primo giudice, senza limitarsi a considerazioni generiche e
astratte (Cass. Sez. 6, n. 37392 del 2/7/2014, Alfieri, rv. 261650).
In particolare si afferma che il motivo di appello è generico per mancanza di
specificità quando la deduzione che lo sorregge in sé considerata non è
pertinente e non è formulata in termini tali da indicare al giudice di secondo
grado la direzione verso la quale deve indirizzarsi la sua verifica autonoma e da
consentire al medesimo sulla base di quanto dedotto un apprezzamento
tendenzialmente idoneo ad orientare la decisione del punto devoluto (Cass. Sez.

Tali principi devono essere letti alla luce dell’ulteriore consolidato principio
per cui il giudice che intenda riformare integralmente il giudizio di primo grado
ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento
probatorio e confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione
della prima sentenza dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o
incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Cass.
Sez. U. n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, rv. 231679; nello stesso senso Cass.
Sez. 5, n. 35762 del 5/5/2008, Aleksi, rv. 241169, secondo cui il giudice deve
dimostrare l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più
rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica
seguita da convincente e completa motivazione che dia ragione delle scelte
operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o
diversamente valutati; cfr. anche Cass. Sez. 6, n. 6221 del 20/4/2005, dep. nel
2016, Aglieri, rv. 233083).
D’altro canto si assume che «nel giudizio di appello, per la riforma di una
sentenza assolutoria non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera
e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi
ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia
caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata
dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far
venir meno ogni ragionevole dubbio» (Cass. Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013,
Paparo, rv. 2568695).
Ed invero, se la specificità del motivo va intesa in rapporto alla funzione
dell’impugnazione e implica che le argomentazioni debbano indirizzare
l’autonoma verifica del giudice, contrapponendosi alle ragioni poste a
fondamento della decisione, deve concludersi che l’obbligo di motivazione c.d.
rafforzata, che deve sorreggere l’integrale riforma, deve trovare proprio nel
motivo la prima base di riferimento, in quanto lo stesso sia idoneo a suffragare
l’auspicato ribaltamento della decisione.

24

6, n. 13446 del 12/2/2014, Meli, rv. 261830).

Ed allora, contrariamente a quanto osservato in udienza dal Procuratore
Generale, non può ritenersi che l’obbligo di motivazione rafforzata gravi solo sul
giudice e non anche sull’appellante, dovendosi invece ritenere che la specificità,
in relazione all’appello, debba essere intesa nel senso che il motivo, per
indirizzare realmente la decisione di riforma, debba contenere nelle linee
essenziali le ragioni che confutano e sovvertono sul piano strutturale e logico le
valutazioni del primo giudice, non essendo sufficiente la mera riproposizione di
temi reputati in primo grado insufficienti o inidonei.

può dirsi realmente investito dei poteri decisori di cui all’art. 597, comma
secondo, lett. b), cod. proc. pen. e legittimato a verificare tutte le risultanze
processuali e a riconsiderare anche i punti della sentenza di primo grado che non
abbiano formato oggetto di specifica critica, senza essere vincolato alle
alternative decisorie prospettate nei motivi di appello (secondo quanto affermato
da Cass. Sez. U. n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, cit., rv. 231675).
Da ciò discende corrispondentemente che la motivazione del giudice
dell’appello può essere censurata con ricorso per cassazione solo nei limiti in cui
era sorto sulla base di un ammissibile e specifico motivo di appello l’obbligo di
un’adeguata risposta alle censure formulate.
5.5. Così inquadrato il tema, deve rilevarsi che l’originario appello del P.M.
non era per intero inammissibile.
In particolare si sarebbe dovuta considerare rilevante la circostanza che
nell’atto di appello era stato richiamato e riportato per un ampio stralcio il
contenuto delle dichiarazioni rese da Negri il 7/3/2013, che fornivano una
ricostruzione del primo episodio contestato al capo C1), lumeggiando il ruolo
degli altri personaggi coinvolti nel presente processo.
Accanto a tale elemento erano stati poi richiamati, senza peraltro un
inquadramento complessivo, ma con riguardo a ciascun capo di imputazione, gli
elementi che erano stati già valutati dal primo Giudice e reputati inidonei a
fondare un giudizio di penale responsabilità.
Orbene, quell’elemento aggiuntivo, costituito dalle dichiarazioni del Negri,
era tale da integrare consistentemente il quadro delle acquisizioni e da orientare
il giudizio della Corte di appello verso una decisione diversa in ordine allo
specifico capo direttamente coinvolto da quelle propalazioni, cioè il capo sub Cl),
riguardante la prima spedizione effettuata da Negri e conclusasi il 7 marzo 2012.
Per il resto l’appello si limitava, come detto, a riproporre gli elementi già
valutati, deducendone la concludenza, senza specifica confutazione del
fondamento logico e fattuale degli argomenti del primo Giudice e senza una

25

Solo in presenza di un gravame siffatto e in tali limiti il giudice di appello

puntuale verifica del modo in cui con riguardo alle ulteriori imputazioni erano
state utilizzate e valutate le dichiarazioni rese dal Negri.
In tali limiti la Corte territoriale era legittimata a considerare esaustivo il
giudizio di primo grado, in quanto i motivi di appello relativi ai capi sub C2), C3)
e C4), per quanto di ragione, non erano caratterizzati da quella specificità di cui
si è detto, tale cioè da orientare convenientemente il giudice di secondo grado
verso una decisione difforme, sorretta dalla dedotta e puntualmente rilevata
inadeguatezza strutturale e logica dei fondamenti del primo giudizio.

Corte territoriale e sottolineato nella memoria presentata in questa sede
dall’Avv. Cacciuttolo, di contrapporre alla prima decisione una valutazione
alternativa, semmai plausibile, ma non sorretta inequivocamente da maggiore
attendibilità.
Del resto l’oggettiva genericità di alcuni contenuti dei messaggi scambiati
dai protagonisti delle varie vicende e l’ambiguità di alcuni riferimenti non
avrebbe potuto essere superata solo attraverso la loro riproposizione e l’invito ad
una difforme valutazione.
In tal senso i motivi di appello riferiti ai capi sub C2), C3) e C4) avrebbero
dovuto reputarsi generici, esattamente come prospettato dalla difesa, non
confrontandosi specificamente con gli asserti del primo giudice e non deducendo
elementi idonei ad orientare, nel modo dovuto, la decisione del primo giudice
verso la loro integrale riforma.
5.6. Sulla scorta di tali premesse, deve quindi valutarsi il ricorso del
Procuratore Generale.
Esso coglie pienamente nel segno allorché segnala l’omessa valutazione da
parte della Corte territoriale dell’elemento aggiuntivo costituito dalle dichiarazioni
rese dal Negri il 7/3/2013.
Esse assumevano l’inequivoco carattere di una chiamata in correità, di cui si
sarebbe dovuta previamente valutare la concreta attendibilità e l’intrinseca
coerenza, fermo restando tuttavia che le stesse costituivano una base di
partenza ineludibile ai fini della ricostruzione dell’episodio e delle responsabilità
dei singoli.
Al contrario la Corte territoriale, pur avendo riconosciuto il significato di
quelle dichiarazioni al punto da concedere al Negri le attenuanti generiche, aveva
del tutto omesso una puntuale valutazione di quel fondamentale elemento.
Rispetto ad esso gli altri elementi già acquisiti e valutati (conversazioni e
messaggi sms, coinvolgenti in varia guisa i diversi imputati, anche quelli assolti)
avrebbero dovuto trovare una nuova collocazione, in quanto idonei a corroborare
o a smentire la concludenza e l’attendibilità di quelle dichiarazioni, secondo lo
26

In pratica, per questa parte, si trattava, come esattamente rilevato dalla

v

schema delineato dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non potendosi invece
la Corte limitare per questa parte a reputare quegli elementi sic et simpliciter
inidonei a sorreggere un giudizio di colpevolezza, in quanto il riscontro rileva per
il fatto di convergere nella stessa direzione indicata dalla dichiarazione
accusatoria, in tal modo suffragandola, a prescindere dalla sua intrinseca
idoneità a costituire prova autosufficiente.
Con riguardo al capo C1) si rileva dunque un vizio di motivazione che
riguarda tutti gli imputati assolti, cioè D’Ambrosio Antonio, D’Ambrosio Giovanni

riguardo ai predetti e reputati allora insufficienti (in primo luogo le conversazioni
e i messaggi sms, a cominciare da quelli intercorsi nel marzo 2012, cioè in epoca
successiva al ritorno del Negri), devono essere sottoposti ad un nuovo vaglio alla
luce del fondamentale elemento integrativo menzionato nell’atto di appello e non
fatto oggetto di adeguato esame.
In altre parole dovrà essere riletto, previa disamina delle dichiarazioni del
Negri e della loro intrinseca tenuta, ogni ulteriore elemento acquisito, onde
verificarne la conducenza ai fini del coinvolgimento dei tre imputati assolti nella
spedizione conclusasi il giorno 7 marzo 2012, oggetto del capo C1).
5.7. Relativamente alle altre imputazioni il ricorso del Procuratore Generale
non può essere invece accolto.
Lo stesso segue il medesimo percorso, senza avvedersi tuttavia della diversa
base di partenza, costituita dall’inidoneità dell’originario atto di appello a
tracciare la strada da seguire per giungere alla riforma della sentenza di
assoluzione.
Il

mero

riferimento

agli

elementi

già

valutati,

accompagnata

sostanzialmente dall’invito a rivalutarli onde giungere a conclusioni reputate
maggiormente plausibili, non rappresentava lo strumento per porre a carico della
Corte territoriale l’obbligo di fornire sul punto una nuova e adeguata risposta,
ben potendo invece la Corte limitarsi, come in concreto avvenuto, a prendere
atto del giudizio già formulato dal primo giudice, in assenza di un motivo di
appello che la orientasse attendibilmente e convincentemente verso la riforma.
Non rileva, come detto, la memoria del Procuratore Generale, che in effetti
introduceva nuovi temi di gravame, lucidamente impostando in modo diverso
l’analisi sui medesimi capi e punti oggetto dell’appello originario, e che tuttavia
era stata presentata dopo la scadenza del termine previsto per i motivi aggiunti.
In tale quadro il ricorso del Procuratore Generale trova l’ostacolo
insormontabile costituito dai limiti di risposta rivenienti dall’appello, a fronte dei
quali le censure sollevate in questa sede risultano infondate, non essendo
ravvisabile con riguardo ai capi C2), C3) e C4) un obbligo della Corte di valutare
27

e Silecchia Egidio, in quanto gli elementi già valutati dal primo Giudice con

specificamente gli elementi acquisiti alla stregua di riscontri di un dato probatorio
ulteriore, costituito dalle dichiarazioni del Negri, per quella parte non speso dal
P.M. appellante (neppure nei casi in cui il primo Giudice vi aveva, pur
fugacemente, fatto cenno) e che invece costituisce la base, cioè la chiave di
lettura, sulla quale è costruito il ricorso, al di là di talune di per sé travalicanti e
dunque inammissibili deduzioni di merito, che non avrebbero comunque potuto
trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
Da tutto ciò discende che il ricorso del P.G. relativamente ai capi C2), C3) e

5.8. Segue dunque l’annullamento della sentenza impugnata solo con
riguardo al capo C1), nei confronti di D’Ambrosio Antonio, D’Ambrosio Giovanni e
Silecchia Egidio, con rinvio a diversa sezione della Corte di appello di Milano per
nuovo giudizio sul punto.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D’Ambrosio Antonio,
D’Ambrosio Giovanni e Silecchia Egidio, limitatamente al capo C1), e rinvia ad
altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio sul punto.
Rigetta nel resto il ricorso del Procuratore Generale. Dichiara inammissibili i
ricorsi degli imputati, che condanna al pagamento delle spese processuali e della
Cia744 elete0
somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18/11/2015

Il Consigliere estensore

Il Pre

C4) deve essere rigettato.

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