Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5457 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5457 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Mauro Antonio, n. a Cerchiara di Calabria il
15/10/1960;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano in data 09/11/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale A. Policastro, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per
prescrizione;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 09/11/2012 la Corte d’Appello di Milano ha confermato la
sentenza del Tribunale di Como di condanna, all’esito di rito abbreviato, di Mauro
Antonio alla pena di mesi sei di reclusione per il delitto di cui all’art.4 del d. Igs.
n. 74 del 2000 in relazione alla indicazione, nella dichiarazione di imposta sui
redditi ed Iva per l’anno 2004 , di elementi attivi per un ammontare inferiore a
quello effettivo.

Data Udienza: 28/11/2013

2. Ha proposto ricorso l’imputato.
Con un unico motivo lamenta il mancato riconoscimento della circostanza
attenuante di cui all’art.13 della I. n. 74 del 2000 (così dovendosi intendere
l’erronea indicazione, contenuta in ricorso, dell’art.13 della I. n. 205 del 1999).
Premette che, chiamato il processo, in primo grado, all’udienza di smistamento
del 08/01/2009 e rinviato all’udienza del 04/06/2009 al fine della proposizione di

di debiti tributari con successiva presentazione della relativa documentazione in
limine a detta udienza. Ciò posto, contesta l’argomentazione della Corte
territoriale che ha ritenuto legittimo il mancato riconoscimento dell’attenuante
per essere stato effettuato il pagamento successivamente alla dichiarazione di
apertura del dibattimento; nella specie, infatti, versandosi in presenza di rito
abbreviato, cui si era pervenuti per effetto di rinvio tecnico operato all’udienza di
smistamento, nessuna dichiarazione di apertura “del dibattimento” sarebbe stata
effettuata essendo dunque il termine rilevante a tal fine quello dell’inizio della
discussione, nella specie rispettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che, secondo quanto previsto dall’art.13, comma 1, del d.lgs. n. 74
del 2000, “le pene previste per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite
fino ad un terzo e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se,
prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti
tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante
pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione
all’accertamento previste dalle norme tributarie”.
Nella specie, risulta dagli atti, cui questa Corte ha accesso in ragione della natura
processuale della norma la cui violazione, secondo il ricorrente, avrebbe
comportato l’illegittimo diniego dell’attenuante, che, alla prima udienza del
08/01/2009, il Difensore di Mauro ebbe a chiedere preliminarmente l’ammissione
al rito abbreviato disponendo quindi il giudice il rinvio all’udienza del 04/06/2009
“per la discussione”; risulta altresì che, a tale ultima udienza, lo stesso Difensore
ebbe a produrre l’atto di adesione della Agenzia delle Entrate e due modelli F 24
relativi ai pagamenti effettuati (come risultante sempre dagli atti in data
11/05/2009) al fine, appunto, di richiedere ed ottenere il riconoscimento della
circostanza attenuante speciale di cui al suddetto art.13 comma 1.
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richiesta di rito abbreviato, nelle more si era provveduto a pagare euro 233.000

Ciò posto, incontestato che il pagamento venne effettuato dopo l’ ordinanza di
ammissione al rito abbreviato e prima della udienza di discussione, deve ritenersi
che l’attenuante in questione sia stata legittimamente negata sia pure per
ragioni diverse da quelle esplicitate nella sentenza impugnata le cui motivazioni
vanno quindi, sul punto, rettificate a norma dell’art. 619, comma 1, c.p.p.

Tribunale, e, successivamente, la sentenza della Corte d’Appello hanno dato in
ordine all’individuazione del termine ultimo previsto dal citato art.13 laddove,
come nella specie, si versi nell’ambito di giudizio abbreviato, ritenendo di
ricollegare alla dichiarazione del giudice di ammissione al rito speciale richiesto il
momento entro il quale detto pagamento debba essere effettuato. Va infatti
chiarito che la norma, nel prevedere, evidentemente con riferimento al giudizio
ordinario, la “dichiarazione di apertura del dibattimento” quale termine ultimo
per l’effettuazione del pagamento, ha inteso con ciò evitare che la circostanza
attenuante in oggetto possa essere fruita sulla base di una dimostrazione di
ravvedimento che, manifestata successivamente all’inizio del giudizio di primo
grado, ben potrebbe essere “interessata” e non, invece, il frutto di uno
spontaneo ravvedimento, posto che, una volta preso atto dell’andamento del
dibattimento, l’imputato potrebbe determinarsi, secondo un calcolo di mera
opportunità, al comportamento previsto dalla norma in esame. Tale, del resto, è
la ragione alla quale questa Corte ha ricollegato la modulazione, nei termini di un
comportamento risarcitorio o restitutorio da tenersi “prima del giudizio”, della
previsione di cui all’art. 62 n. 6 c.p. Si è infatti affermato, anche in tal caso, che
la ragione del limite temporale plasmato dal legislatore va individuata nella
possibilità di verifica, da parte del giudice, del sincero ravvedimento, la cui prova
può essere data dall’imputato, secondo la presunzione logica che si evince dalla
norma, solo prima che egli si sia sottoposto al vaglio del giudizio, mentre è
invece oggettivamente preclusa l’applicabilità di detta attenuante sulla base di
qualsiasi dimostrazione di ravvedimento, pur nel senso previsto dalla norma,
resa successivamente all’inizio del giudizio di primo grado, nell’ambito del quale,
una volta visto appunto l’andamento del dibattimento, ancor prima della
sentenza, l’imputato potrebbe determinarsi, seguendo un calcolo di opportunità,
a risarcire il danno ovvero al comportamento alternativo previsto dalla norma in
esame (Sez. 6, n. 897 del 25/11/1993, Ceglie, Rv. 197360).
Se, allora, questa è la ratto del termine processuale, ne deriva come sia del tutto
incongrua una interpretazione che, nel caso di giudizio abbreviato, finisca per
pretendere, come accaduto nella specie, che l’imputato debba risarcire il danno
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2. E’ infatti anzitutto non corretta l’interpretazione che, dapprima la sentenza del

(con riferimento all’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p.), ovvero effettuare il
pagamento del debito tributario (con riferimento all’attenuante di cui all’art.13
del d. Igs, n. 74 del 2000) necessariamente prima della ordinanza di ammissione
al rito abbreviato, non assumendo tale momento alcun significato di ragionevole
discriminazione tra manifestazioni dell’imputato di ravvedimento davvero
disinteressate e manifestazioni, invece, possibilmente suggerite dallo sfavorevole
andamento processuale; un tale momento deve, invece, assai più coerentemente

discussione ex art. 421 c.p.p come richiamato dall’art. 442 c.p.p. posto che solo
successivamente a detto inizio possono insorgere, per effetto principalmente
delle argomentazioni del Pubblico Ministero o delle eventuali parti civili, elementi
predittivi di uno sfavorevole epilogo processuale tali da indurre l’imputato a
“tentare la carta”, quanto meno, dell’attenuante; al contrario, nessun elemento
in tal senso potrebbe trarsi dalla mera ammissione al rito, di per sé,
evidentemente, del tutto “neutra”.
Deve quindi, in definitiva, affermarsi, non potendosi condividere gli esiti di segno
opposto raggiunti, con riferimento al rito abbreviato, in relazione in particolare
alla circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., e pur a fronte della ratio
della norma come illustrata sopra, da altre pronunce di questa Corte (Sez. 2, n.
45629 del 13/11/2012, Lucchesi ed altro, Rv. 254356 secondo cui il termine
ultimo è segnato dalla pronuncia dell’ordinanza ex art. 438, comma 4, c.p.p.),
che nel caso in cui il procedimento venga definito con giudizio abbreviato, il
pagamento del debito tributario, ai fini del riconoscimento della relativa
circostanza attenuante, deve aver luogo prima che abbia inizio la discussione.

3. In tal modo chiarita, dunque, l’erroneità delle argomentazioni dei giudici di
merito, va tuttavia subito aggiunto che, ciononostante, come già anticipato in
premessa, legittimamente è stata all’imputato negata l’attenuante richiesta.
Va infatti ricordato come il rito abbreviato “ordinario” disciplinato dall’art. 438,
comma 1, c.p.p. sia di per sé caratterizzato dalla fisiologica incompatibilità dello
stesso con richieste di ammissione di mezzi di prova, sia orali che documentali,
come chiaramente evincibile dal fatto che in tal caso il processo viene definito,
secondo la testuale espressione della norma, “allo stato degli atti” e che solo nel
caso del comma 5, richiamato dal comma 1 come un’evidente eccezione rispetto
a tale definibilità allo stato degli atti, è consentita la richiesta di una integrazione
probatoria necessaria ai fini della decisione cui il rito stesso viene condizionato.

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rispetto alle ragioni giustificatrici del termine, ravvisarsi nell’inizio della

Ne consegue che, una volta richiesto e disposto il rito speciale nella
configurazione “secca” del comma 1, nessuna prova, documentale od orale, può
essere acquisita.
Nella specie, è indiscusso che il pagamento e, per quanto soprattutto rileva, la
conseguente produzione dei modelli F 23 comprovanti lo stesso vennero
irritualmente effettuati una volta già incardinato il rito abbreviato preclusivo

di carattere documentale; sicché, ove l’imputato avesse voluto dare
dimostrazione del pagamento stesso avrebbe dovuto richiedere, secondo un
corretto percorso processuale, l’ammissione al rito abbreviato condizionato,
appunto, alla acquisizione della documentazione relativa; non essendo invece ciò
avvenuto, legittimamente il Tribunale ha, in definitiva, non utilizzato i modelli F
24 dimostrativi del pagamento e negato la circostanza attenuante richiesta.

4. Così rigettato il ricorso, deve peraltro prendersi atto della ormai decorsa
prescrizione, alla data del 20/04/2013, del reato, consumato, infatti, il
20/10/2005 e rilevabile da questa Corte a fronte della non manifesta
infondatezza della questione proposta attesa, quanto meno, l’erroneità del
percorso ermeneutico valorizzato dai giudici di merito per giungere a pur corretta
soluzione; la sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio per
estinzione del reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per
prescrizione.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013

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tuttavia, per quanto appena detto, di ogni richiesta di mezzi di prova anche solo

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