Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5456 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5456 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Toso Giancarlo, n. a Udine il 17/01/1951;

avverso la sentenza della Corte d’ Appello di Firenze in data 03/12/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale A. Policastro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. Gonzi, difensore di fiducia, che ha chiesto
l’accoglimento ed in subordine l’annullamento senza rinvio per prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 03/12/2012 la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la
sentenza del Tribunale di Montepulciano di condanna di Toso Giancarlo per i reati
di cui all’art. 44 lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo a), 44 lett. c) del d.P.R.
n. 380 del 2001 (capo b) e 181 del d. Igs. n. 42 del 2004 (capo c).

2. Ha proposto ricorso l’imputato.

Data Udienza: 28/11/2013

Con un primo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 44 lett. b) del
d.P.R. n. 380 del 2001; in particolare, quanto alla natura non precaria delle
opere di copertura di due concimaie mediante tettoia, rileva come la precarietà
debba essere collegata alla intrinseca destinazione del materiale e ad un uso
realmente precario e temporaneo non essendo rilevanti invece le caratteristiche
costruttive ed i materiali impiegati; nella specie i manufatti in questione, non
infissi al suolo, dovevano servire a dare riparo alle attrezzature agricole e di

risanamento dell’area; censura inoltre la motivazione della sentenza ove viene
esclusa la natura pertinenziale delle due tettoie; nella specie, attesa la
destinazione oggettiva delle due strutture adibite alla rimessa di mezzi agricoli e
di materiali di cantiere, avrebbe dovuto essere riconosciuta la pertinenzialità,
essendo opera dotata di propria individualità fisica, preordinata ad un’oggettiva
esigenza dell’edificio principale, sfornita di autonomo valore di mercato e non
valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo.
Con un secondo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 41, comma 8,
della legge regionale Toscana n. 1 del 2005 e dell’art. 7 del regolamento di
attuazione quali disposizioni autorizzanti l’installazione di manufatti precari
realizzati con strutture in materiale leggero appoggiate a terra e finalizzati allo
svolgimento dell’attività agricola; nella specie l’opera è consistita nella copertura
con una struttura lignea della platea di maturazione del letame di due concimaie
già esistenti senza alcuna modificazione morfologica sostanziale dello stato dei
luoghi.
Con un terzo motivo lamenta la erronea applicazione dell’art. 142 del d. Igs. n.
42 del 2004. Premette che non tutti i territori coperti da foreste e da boschi
possono ritenersi assoggettati a vincolo paesaggistico, ma unicamente quelli che
presentino le specifiche condizioni fisico – naturalistiche richieste dalla normativa
regionale emanata in materia. Nella specie, non sarebbero emersi elementi
probatori sufficienti ad acclarare che il sito ove sono stati compiuti i lavori
presentasse le caratteristiche fisico – naturalistiche in particolare richieste
dall’art.3 della legge regionale toscana n.39 del 2000 per la classificazione
dell’area quale boschiva. Lo stesso sovrintendente della forestale, Orlandi,
sentito come teste, ha sostenuto l’esistenza del vincolo paesaggistico sulla base
di una aprioristica classificazione dell’area quale boschiva senza dare contezza di
alcuna verifica concreta eseguita; mentre infatti la legge regionale richiede la
presenza in particolare di un’estensione non superiore a 2000 metri quadri e di
larghezza maggiore di 20 m. e una copertura vegetativa di densità non inferiore
a 500 piante per ettaro o tale da determinare una copertura del suolo pari ad
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cantiere fino a che non fossero terminate le opere di ristrutturazione e

almeno il 20%, nella specie il sovrintendente ha riferito esclusivamente di un
presunto accertamento afferente la densità della copertura vegetativa dell’area
richiamando successivamente il dato di per sé non rilevante della contiguità con
altra area boschiva; la circostanza che il sito interessato dai lavori fosse contiguo
ad area boscata non assume di per sé alcun significato classificatorio, non
potendo lo stesso prescindere da una pregiudiziale verifica circa l’estensione

Con un quarto motivo lamenta la manifesta illogicità e contraddittorietà della
motivazione nella parte in cui è stata affermata la sussistenza del vincolo
paesaggistico; infatti laddove la sentenza ha assunto, contrariamente al vero,
che le dichiarazioni del teste Orlandi consentirebbero di ritenere la sussistenza
del vincolo paesaggistico, sarebbe stato integrato un travisamento della prova,
avendo del resto il tecnico comunale Ferrigno smentito l’esistenza in loco di un
vero e proprio bosco.
Con un quinto motivo lamenta la erronea applicazione dell’art. 181 del d. Igs. n.
42 del 2004, essendo il giudice tenuto a verificare l’ offensività specifica della
condotta tenuta con una valutazione ex ante diretta ad accertare se il tipo di
intervento fosse idoneo astrattamente a ledere il bene giuridico protetto; è del
resto innegabile che laddove si tratti di interventi che non alterino lo stato dei
luoghi, ancorché eseguiti in zone protette, è sufficiente la semplice dia e non è
necessaria alcuna preventiva autorizzazione da parte dell’autorità deputata alla
salvaguardia del paesaggio. Nella specie era in discussione unicamente il
ripristino di manufatti esistenti ed altri lavori non comportanti modificazioni dello
stato dei luoghi incidenti sull’assetto degli stessi.
Con un sesto motivo lamenta la contraddittorietà e illogicità della motivazione in
relazione alla deposizione del teste Ferrigno, nella parte in cui la Corte ha
omesso di considerare le oggettività offerte dalla difesa; premesso che l’art. 149
del codice dei beni culturali e del paesaggio stabilisce che non è comunque
richiesta l’autorizzazione per gli interventi di manutenzione ordinaria,
straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non
alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici, osserva che gli
elementi acquisiti hanno consentito di poter accertare che gli interventi in
oggetto costituivano unicamente interventi di manutenzione o tutt’al più di
restauro conservativo, che in ogni caso non hanno comportato un’alterazione
dello stato dei luoghi.
Con un settimo motivo lamenta la erronea applicazione dell’art. 157 c.p. e degli
artt. 129, 529 e 531 c.p.p.; premesso che nella specie è applicabile la nuova
disciplina della prescrizione, il relativo termine risulta essere decorso 1’8
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totale dell’area unicamente considerata.

settembre 2012, ovvero anteriormente all’adozione della sentenza di secondo
grado.
Con un ultimo motivo lamenta l’omessa motivazione in ordine alla richiesta di
declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

3. Il ricorso, inammissibile, ripropone gli assunti già presentati con l’atto di
appello e motivatamente disattesi dalla Corte territoriale con la sentenza
impugnata.

3.1. Quanto ai primi due motivi la Corte fiorentina ha anzitutto, con motivazione
congrua e logica, spiegato da un lato perché difettasse, nell’opera in
contestazione, la caratteristica di precarietà ravvisata invece dal ricorrente e
dall’altro escluso la natura pertinenziale della stessa.
Quanto al primo punto ha infatti posto in rilievo (pag.3 della sentenza) che
l’opera, composta di due tettoie con struttura ed ordinatura lignea, di copertura
di due concimaie, era senz’altro destinata a soddisfare esigenze di riparo e
copertura durevoli nel tempo come dimostrato da stabilità strutturale, presenza
di impianti di scolo delle acque piovane e rifacimento della pavimentazione
sottostante, quali caratteristiche evidentemente non compatibili, secondo Vid
quod plerumque accidit, con le finalità di temporaneo ricovero di prodotti ed
attrezzature agricole; ciò tanto più avendo la stessa Corte ulteriormente
evidenziato come, al momento degli accertamenti in loco, di detti attrezzi e
materiali agricoli non vi fosse traccia.
Quanto poi al secondo profilo, la Corte territoriale ha correttamente richiamato il
principio secondo cui la pertinenza non è configurabile in relazione ad
un fondo agricolo o un’area, non potendo prescindersi dal necessario
collegamento tra la pertinenza ed un edificio, quantunque non necessariamente
residenziale (cfr. Sez.3, n. 6109 del 08/01/2008, Berretti, Rv. 238994; Sez. 3, n.
33289 del 28/04/2005, Maggiore, Rv. 232179).
Con riguardo poi al secondo motivo, la motivata esclusione del requisito della
precarietà rende pregiudizialmente inammissibile ogni questione legata alla
pretesa erronea applicazione dell’art. 41, comma 8, della legge regionale
Toscana n. 1 del 2005 e dell’art. 7 del regolamento di attuazione giacché, come
lo stesso ricorrente ricorda, tali disposizioni autorizzano l’installazione di
manufatti precari realizzati con strutture in materiale leggero appoggiate a terra
e finalizzati allo svolgimento dell’attività agricola.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

3.2.

Il terzo ed il quarto motivo, proposti in relazione ai capi b) e c)

dell’imputazione, appaiono anch’essi inammissibili perché sostanzialmente volti
a pretendere da questa Corte una non consentita valutazione degli esiti delle
prove assunte in giudizio.
La sentenza impugnata, quanto alla presenza del vincolo paesaggistico,

dichiarazioni del teste Orlandi, del Corpo forestale dello Stato, che, oltre a
richiamare le risultanze catastali, ha descritto con precisione le modalità di
rilevazione dei parametri indicativi della destinazione boschiva dell’area (con
verifica condotta sul terreno e con rilevazioni aerofotogrammetriche) ed i dati
acquisiti (ovvero in particolare la copertura superiore al 20 % della superficie e
la contiguità con l’area boscata) idonei a far ritenere la sussistenza di detto
vincolo. Dal canto suo il ricorrente, ripercorrendo le dichiarazioni del teste
Orlando, neppure trascritte, come necessario, nella loro integralità (cfr., Sez. 1,
n. 25834 del 04/05/2012, P.G. in proc. Massaro Rv. 253017), ha dedotto un
preteso travisamento della prova per il solo fatto che la Corte abbia ritenuto,
all’esito, in realtà, di una necessaria interpretazione del dato probatorio, desunto
dalle stesse la dimostrazione del vincolo; né, evidentemente, detto travisamento
potrebbe discendere dal solo fatto che altro teste (in particolare il tecnico
comunale Ferrigno) possa avere affermato che in loco non ci sarebbe stato “un
vero e proprio bosco” . La stessa sentenza impugnata ha del resto rilevato che
anche detta teste ebbe a riconoscere che la zona in oggetto risultava
catastalmente zona boscata.
Va rammentato, in proposito, che il vizio di travisamento della prova
dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto
definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile
difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che
il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il
suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio
della dichiarazione medesima (da ultimo, Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012,
Maggio, Rv. 255087).
Peraltro deve anche ricordarsi che il vizio del travisamento della prova, per
utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per
omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per
cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado,
non potendo, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, essere superato il limite
costituito dal “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il
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individuato nella presenza di bosco, ha infatti motivatamente privilegiato le

giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame,
abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (tra le altre, Sez.
4, n. 19710 del 03/02/2009, p.c. in proc. Buraschi, Rv. 243636).

3.3.

Il quinto e sesto motivo sono anch’essi inammissibili perché

manifestamente infondati.
Va ricordato, in via generale, che questa Corte ha già affermato che la punibilità

42, è esclusa solo nell’ipotesi di interventi di “minima entità”, e cioè di quelli
inidonei, già in astratto, a porre in pericolo il paesaggio, e a pregiudicare il bene
paesaggistico-ambientale (tra le altre, Sez.3, n. 39049 del 20/03/2013, Bortini
ed altro, Rv. 256426; Sez. 3. n. 2903 del 20/10/2009, Soverini, Rv. 245908).
Nella specie la Corte territoriale, con il richiamare espressamente sul punto le
valutazioni del giudice di primo grado, ha posto in rilievo l’apprezzabile
modificazione dello stato dei luoghi insita nelle opere realizzate in tal modo
dando corretta giustificazione della impossibilità di escludere l’incidenza
sull’assetto del bene tutelato ordinariamente discendente dal reato in questione.
Va aggiunto, per venire al sesto motivo, da depurarsi comunque delle doglianze
volte a riesaminare profili di mero fatto, qui improponibili, che su tale
conclusione non può incidere neppure il regime di assoggettabilità dei lavori a
mera d.i.a.; anche su tale punto la Corte fiorentina ha richiamato puntualmente
la giurisprudenza di questa Corte secondo cui gli interventi minori da compiere in
zone sottoposte a vincolo, pur se assentibili con la denuncia di inizio attività,
sono ugualmente subordinati al preventivo rilascio del parere o
dell’autorizzazione da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo,
configurandosi, in difetto, il reato di cui all’art. 181 del d. Igs. n. 42 del 2004 (tra
le altre, Sez. 3, n. 8739 del 21/01/2010, Perna, Rv. 246218; Sez. 3, n. 15929
del 12/01/2006, Molaro, Rv. 234312); invero, alla stregua di quanto disposto
dall’art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004, la non assoggettabilità ad autorizzazione
relativamente agli interventi, tra gli altri, di manutenzione ordinaria e
straordinaria, è pur sempre espressamente condizionata alla mancata alterazione
dello stato dei luoghi.

3.4. Infine, sono manifestamente infondate le doglianze, di cui al settimo ed
ottavo motivo, in ordine alla mancata declaratoria di estinzione dei reati per
intervenuta prescrizione; infatti, individuato il

dies a quo

in quello del

08/09/2007 come da contestazione, il termine di prescrizione, pari ad anni
cinque, è maturato, per effetto del prolungamento dovuto alla sospensione pari a
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del reato di pericolo previsto dall’art. 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n.

giorni trecentodiciannove (di cui giorni centotrentatre dal 18/11/2008 al
31/03/2009 per contestuale impegno professionale del Difensore e giorni
centottantasei dal 31/03/2009 al 06/10/2009 per adesione del Difensore alla
astensione dalle udienze), in data 17/07/2013, ovvero successivamente alla
pronuncia della sentenza di appello del 03/12/2012.
Né tale prescrizione può essere qui rilevata posto che l’inammissibilità del ricorso
preclude il rilievo delle cause di non punibilità, ivi compresa l’estinzione del reato

impugnata, essendo, come già enunciato da questa Corte a Sezioni Unite, detto
ricorso inidoneo ad instaurare validamente il rapporto di impugnazione (per
tutte, Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, De Luca). Ne segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non essendovi ragione di
ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, quella al versamento della
somma, determinata in euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013

Il Consi er est.

Il Pref nte

per prescrizione, maturate successivamente alla pronuncia della sentenza

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