Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5453 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5453 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Simari Domenico, n. a Lon g obucco il 31/07/1963;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro in data 20/12/2012;
visti g li atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consi g liere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale A. Policastro, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per
prescrizione;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20/12/2012 la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato
la sentenza del Tribunale di Rossano di condanna di Simari Domenico per il reato
di cui all’art. 2, comma 1 bis, del d.l. n. 463 del 1983 per avere omesso di
versare, q uale titolare dell’omonima azienda a g ricola, alla sede Inps di Rossano
le ritenute previdenziali ed assistenziali operate nei confronti dei lavoratori
dipendenti nel periodo dal secondo trimestre 1999 al q uarto trimestre 2004.

2. Ha proposto ricorso l’imputato.

Data Udienza: 28/11/2013

Con un primo motivo lamenta la violazione dell’art.2, comma 1 bis, del d.l. n.
463 del 1983 in relazione agli artt.14 e 35, comma 5, legge n. 689 del 1981
osservando che, in caso di mancata contestazione immediata, è necessaria la
notifica all’interessato della violazione nelle forme previste dall’art. 145 c.p.c.;
nella specie, la sentenza impugnata non si sofferma minimamente sulla
intervenuta notificazione del verbale ispettivo di accertamento della violazione.
Con un secondo motivo lamenta la mancata indicazione e ricezione nel capo

termine previsto dall’art.2, comma 1 bis, cit. per sanare ed usufruire della
speciale causa di non punibilità e in ogni caso la manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla possibilità di sanatoria delle violazioni successive.
Lamenta inoltre la mancata prova dell’esborso delle somme dovute ai lavoratori
a titolo di retribuzione quale presupposto del reato contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo è inammissibile. Con l’atto di appello, infatti, il ricorrente si
era limitato a dolersi della mancata indicazione nel capo d’imputazione
dell’avviso di quanto dovuto e non versato all’Inps e della inesatta
interpretazione dei fatti effettuata nella sentenza di primo grado, con
conseguente inammissibilità, ex art. 606, comma 3, c.p.p. di una violazione di
legge dedotta per la prima volta nella presente sede di legittimità. Va anche
aggiunto, in ogni caso, come questa Corte abbia ripetutamente affermato che la
notifica dell’accertamento della violazione in questione non è soggetta a
particolari formalità, non applicandosi ad esso il regime delle notificazioni
previsto per i soli illeciti di natura amministrativa dalla legge n. 689 del 24
novembre 1981, né quello delle notificazioni previsto dal codice di procedura
penale, sì che la comunicazione può essere, pertanto, anche effettuata a mezzo
del servizio postale mediante raccomandata inviata sia presso il domicilio del
datore di lavoro che presso la sede dell’azienda (Sez. Un., n. 1855 del
24/11/2011, Sodde, Rv. 251268; Sez. 3, n. 9518 del 22/02/2005, Jochner; Sez.
3, n. 20753 del 13/01/2006, Agostani; Sez. 3, n. 26054 del 14/02/2007, Vincis).

4.

Il secondo motivo è anch’esso inammissibile. Quanto al primo profilo

sollevato, la questione in ordine alla sussistenza, nel decreto di citazione a
2

d’imputazione della notifica dell’avviso di accertamento delle violazioni e del

giudizio, dei requisiti che consentano l’equipollenza del contenuto dello stesso
alla notifica dell’avviso di accertamento (requisiti che, nella specie, secondo il
ricorrente, mancherebbero), in tanto ha, evidentemente, rilievo, in quanto,
appunto, la notifica dell’avviso di accertamento non possa considerarsi
ritualmente effettuata sì che il termine per la sanatoria di cui all’art. 2
decorrerebbe, appunto, secondo quanto affermato in particolare da Sez. U. n.
1855 del 24/11/2011, Sodde, Rv. 251268, non dalla notifica di tale avviso ma

visto sopra, nessuna doglianza può validamente essere mossa con riferimento
all’aspetto della notifica dell’avviso di accertamento, conseguendone, per quanto
appena detto, l’inammissibilità, altresì, della censura rivolta al capo
d’imputazione.
Infine, anche l’ulteriore doglianza relativa alla mancanza di motivazione circa la
prova del pagamento delle retribuzioni risulta formulata per la prima volta ed è
dunque inammissibile anche a non considerare che la Corte territoriale ha, sul
punto, adeguatamente richiamato l’esistenza dei modelli DM 10 attestanti
validamente, per come riconosciuto anche da questa Corte, la corresponsione
delle retribuzioni stesse (cfr. Sez.3, n. 46451 del 07/10/2009, Carella, Rv.
245610).

5. Il ricorso è dunque inammissibile. L’inammissibilità del ricorso per motivi
originari in conseguenza della sua manifesta infondatezza preclude il rilievo delle
cause di non punibilità, ivi compresa l’estinzione del reato per prescrizione,
quand’anche maturate anteriormente, come, nella specie, per alcune delle
mensilità in contestazione, alla pronuncia della sentenza impugnata; infatti,
come condivisibilmente affermato, nonostante arresti di segno contrario, dalle
Sezioni Unite di questa Corte, l’inammissibilità del ricorso per motivi originari in
conseguenza della sua manifesta infondatezza preclude il rilievo delle cause di
non punibilità, ivi compresa l’estinzione del reato per prescrizione, maturate
successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, essendo, come già
enunciato da questa Corte a Sezioni Unite, detto ricorso inidoneo ad instaurare
validamente il rapporto di impugnazione (per tutte, Sez. U., n. 32 del
22/11/2000, De Luca). All’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle processuali e, non essendovi ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, quella al versamento della somma, determinata in euro
1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.

3

dalla notifica del decreto di citazione a giudizio. Nella specie, però, come già

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013
I residente

Il Consi lier est.

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