Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 541 del 05/07/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 541 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Marchese Giuseppe, nato a Falcone il 3.4.1944, e da Trovato Carmela,
nata a Ginevra (Svizzera) il 19.7.1957, avverso la sentenza pronunciata
in data 2.4.2012 dalla corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Eduardo Vittorio Scardaccione, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 2.4.2012 la corte di appello di Palermo, in
riforma della sentenza con cui, in data 22.12.2010, il giudice per le
indagini preliminari presso il tribunale di Palermo, in sede di giudizio
abbreviato, aveva condannato Arrigo Antonino, imputato del delitto di

Data Udienza: 05/07/2013

cui agli artt. 595, co. 3, c.p., 13, I. 8 febbraio 1948, n. 47, commesso in
danno di Trovato Carmela e di Marchese Giuseppe, alla pena ritenuta di
giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore delle
persone offese, costituite parti civili, assolveva l’imputato con la formula
perché il fatto non costituisce reato.

della Trovato, per avere scritto, con il contenuto che si vedrà in seguito,
come si evince dalla lettura del capo d’imputazione, un articolo,
pubblicato sul “Giornale di Sicilia del 10.4.2008 (edizione di Messina),
intitolato: “Falcone. Uno dei due coniugi vuole 150.000 euro: in due
saranno processati per falsa testimonianza: assistono a lite tra moglie e
marito, citati per danni, in cui, contrariamente al vero, si affermava
anche che la richiesta di costituzione di parte civile di Marchese
Giuseppe era stata rigettata dal GUP”.
2.

Avverso la sentenza della corte di appello, di cui chiedono

l’annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione con il medesimo
atto, ai soli effetti civili, le costituite parti civili, deducendo identici
motivi di impugnazione.
3. In particolare, con il primo motivo, i ricorrenti lamentano il vizio di
violazione di legge, in relazione agli artt. 595, co. 3 e 51, c.p., in
quanto, sulla base delle risultanze processuali, non è possibile affermare
che l’Arrigo si possa escludere il dolo in capo all’imputato, quanto meno
nella forma del dolo eventuale, sufficiente ad integrare, sotto il profilo
soggettivo, l’ipotesi di reato in contestazione, tenuto conto della natura
obiettivamente lesiva dell’onore e del decoro dei coniugi Marchese, che
caratterizza il contenuto dell’articolo, in cui questi ultimi “sono indicati
come protagonisti di una sensazionale lite tra marito e moglie e di due
vicende giudiziarie non meno oggettivamente disonorevoli” e della
circostanza che l’Arrigo, come dichiarato da quest’ultimo in sede di
esame dibattimentale, ben sapeva che la lite era incorsa tra il Marchese
ed una donna diversa dalla moglie.

2

All’Arrigo veniva contestato di avere offeso la reputazione del Marchese e

I ricorrenti, inoltre, evidenziano come la corte territoriale non abbia fatto
buon governo dei principi che regolano il legittimo esercizio del diritto di
cronaca da parte di un giornalista.
4. Con il secondo motivo di ricorso, infine, i ricorrenti lamentano la
contraddittorietà

e

la

manifesta

illogicità

della

motivazione

concilia con le circostanze: che nel corso del suo esame dibattimentale,
l’imputato ha dichiarato di avere “la piena consapevolezza che la moglie
indicata sul decreto di citazione a giudizio non era la moglie del
Marchese”; che in seguito alla pubblicazione dell’articolo la Trovato “è
stata coinvolta in una vicenda (lite) e in due processi penali (quello per
la lite e quello per la falsa testimonianza) ai quali la stessa era
totalmente estranea, come risulta dal decreto che dispone il giudizio sul
quale viene espressamente indicata come persona offesa Giusa Maria”;
che nell’articolo si dava la notizia, risultata non veritiera, che la
costituzione di parte civile del Marchese era stata rigettata dal giudice
per le indagini preliminari; che il percorso argomentativo seguito dal
giudice di secondo grado “non trova corrispondenza ed è incompatibile
con il contenuto del decreto che dispone il giudizio, da cui è stata tratta
la notizia”.
5. Il ricorso non può essere accolto perché infondato.
6. La corte territoriale, con motivazione approfondita ed immune da vizi,
ha correttamente individuato nella carenza dell’elemento soggettivo del
reato, il principale ostacolo all’affermazione di responsabilità dell’Arrigo.
Quest’ultimo, nel riportare la notizia che Lucà Giovanni e Lo Presti Mario
erano stati rinviati a giudizio per falsa testimonianza, in relazione ad una
lite alla quale avevano assistito, aveva indicato nei litiganti, Marchese
Giuseppe e la moglie Trovato Carmela, che sarebbe stata colpita dal
coniuge “con una pala”, laddove, rileva la corte di appello, “dagli atti è
incontestabilmente emerso che la lite tra confinanti era intercorsa tra il
Marchese e la moglie di Lucà Giovanni, Giusa Maria”.
L’imputato, sottolinea ancora la corte territoriale, aveva ricavato la
notizia dal decreto di citazione a giudizio del Lucà, in cui il capo di

3

dell’impugnata sentenza, in quanto l’intervenuta assoluzione mal si

imputazione era formulato in maniera tale da dare l’impressione che il
diverbio fosse scoppiato tra i coniugi Marchese-Trovato e non, come
effettivamente avvenuto, tra il Marchese e la Giusa.
Ed invero nel capo d’imputazione si attribuisce al Lucà di avere
affermato, in sede di deposizione testimoniale, di trovarsi, nel momento

“seduto su un muretto accanto alla moglie e di aver visto il Marchese
Giuseppe colpire con una pala la coniuge”, espressione quest’ultima che,
effettivamente, poteva ingenerare nel giornalista il convincimento che il
Marchese avesse aggredito la Trovato, tenuto conto che, nel riferirsi alla
Giusa, il pubblico ministero aveva utilizzato il termine “moglie”, non
ritenendo opportuno specificare meglio a chi intendesse fare riferimento
con il successivo termine “coniuge”, immediatamente riconducibile, nella
sequenza del periodo, proprio al Marchese.
6.1 Tale condotta, certo non improntata alla massima diligenza, non
può, tuttavia, ritenersi sorretta dall’elemento psicologico del delitto di
diffamazione a mezzo stampa, che, pur non richiedendo l’intenzione di
offendere il soggetto passivo, non può assumere i profili della colpa,
presupponendo pur sempre il dolo generico, consistente nella volontà di
usare espressioni offensive con la consapevolezza di offendere l’altrui
reputazione (cfr. Cass., sez. V, 31/01/2008, n. 16420, R.),
consapevolezza, nel caso in esame, da escludersi proprio perché, come
rilevato dalla corte territoriale, non può affermarsi che l’imputato abbia,
con coscienza e volontà, offeso l’onore dei coniugi Marchese-Trovato,
attribuendo al primo una condotta che non aveva mai posto in essere in
danno della Trovato.
6.2 Ciò è tanto più vero, ove si consideri la particolare fonte di
conoscenza dell’Arrigo, rappresentata dal capo di imputazione di un
provvedimento giudiziario, quale il decreto che dispone il giudizio,
rispetto al quale, come per qualsiasi altro provvedimento dell’autorità
giudiziaria, il giornalista esercita correttamente il diritto di cronaca
quando si limiti, come nel caso in esame, a riferire una notizia, sia pure
erroneamente interpretata, desunta dall’attività giurisdizionale in corso,

4

in cui insorgeva un diverbio tra la moglie Giusa Maria ed il Marchese,

non dovendo in tal caso egli assumere la responsabilità di verificare
ulteriormente rattendibilità dei provvedimenti giudiziari (cfr. Cass., sez.
V, 20/09/2000, n. 12194, R. T.).
6.3 Quanto all’assunto difensivo, che vuole dimostrata la consapevolezza
da parte dell’Arrigo che ad avere subito l’aggressione del Marchese era

dalla citazione di alcuni brani delle dichiarazioni rese dall’imputato nel
sua esame dibattimentale, riportate nei motivi di ricorso solo
parzialmente in violazione del principio della “autosufficienza”,
dichiarazioni che, per consentire l’apprezzamento del vizio dedotto,
avrebbero dovuto, invece, essere trascritte integralmente (cfr. Cass.,
sez. IV, 26/6/2008, N. 37982, b., RV. 241023).
6.4 Con riferimento, infine, alla notizia, risultata non veritiera, che la
costituzione di parte civile del Marchese era stata rigettata dal giudice
per le indagini preliminari, basta osservare che lo stesso giudice di primo
grado ne ha decretato l’irrilevanza “sotto il profilo diffamatorio oggetto di
contestazione” (cfr. p. 4 della sentenza del tribunale).
7. Sulla base delle svolte considerazioni, che assorbono ogni qualsiasi
ulteriore rilievo difensivo, il ricorso va, dunque, rigettato, con condanna
dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del
procedimento
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali
Così deciso in Roma il 5.7.2013

stata la Giusa Maria, e non la Trovato, esso non può certo desumersi

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA