Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 54044 del 16/11/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 54044 Anno 2017
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile ANNICCHIARICO ORONZA nato il 17/03/1956 a GROTTAGLIE
nel procedimento a carico di:
MANIGRASSO ISABELLA nato il 08/03/1969 a GROTTAGLIE
avverso la sentenza del 26/01/2017 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere EMILIA ANNA GIORDANO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SIMONE PERELLI
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito per la parte civile ricorrente il difensore, avvocato GIOVE ANNA del foro di
TARANTO che nel riportarsi ai motivi di ricorso deposita conclusioni e nota spese;
Udito l’avvocato MELILLO FULVIO del foro di ROMA difensore d’ufficio di
MANIGRASSO ISABELLA che chiede il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 16/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del Tribunale di Taranto del 17 novembre 2014 Elisabetta
Manigrasso era stata condannata alla pena di anni due di reclusione ed al
risarcimento del danno, liquidato in euro cinquemila oltre interessi, ed alla
rifusione delle spese in favore della parte civile, Oronza Annicchiarico. La
Manigrasso era stata ritenuta colpevole del reato di cui all’art. 372 cod. pen.
perché, deponendo come testimone nel giudizio civile proposto da Maria

falso sostenendo che Cira Francesca Santopietro, mentre si trovava degente in
ospedale, aveva consegnato a Maria Francesca Elia, alla presenza di essa
Manigrasso, una busta che si accertava conteneva il testamento olografo, di
Chiara Vincenzo Orlando con il quale veniva nominata erede della Orlando la Elia,
eredità avente ad oggetto un immobile del quale la Santopietro, divenutane a
suo tempo titolare, aveva disposto in favore di Cosima Martini.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello ha assolto la
Manigrasso dal reato ascrittole perché il fatto non sussiste.

3. Propone ricorso avvero detta sentenza, con motivi qui sintetizzati ai sensi
dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili per la
motivazione, la parte civile Oronza Annicchiarico. La ricorrente, con il primo
motivo, denuncia i vizi di mancanza e illogicità della motivazione; omessa
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello in relazione alla
prova dichiarativa e omessa motivazione sulla documentazione prodotta dalla
parte civile nel corso del giudizio di appello. Deduce, in particolare, che il radicale
sovvertimento della decisione di primo grado imponeva un riesame approfondito
del materiale probatorio e l’obbligo di rinnovare l’istruzione con la riescussione
dei dichiaranti, vieppiù stringente in presenza di condanna in primo grado con
costituzione di parte civile. In ogni caso, si imponeva al giudice di appello una
motivazione “rafforzata” sulla decisione assolutoria. Né la Corte tarantina aveva
valutato la documentazione prodotta in udienza e, cioè, la intervenuta condanna
in primo grado di Maria Francesca Elia e Lucia Russo – le cui dichiarazioni erano
state rilevanti per ritenere insussistente la falsità delle dichiarazioni rese dalla
Manigrasso -, condanna concernente il delitto di falsa testimonianza per le
dichiarazioni rese nel dibattimento di primo grado a carico della Manigrasso.
Analoghe carenze motivazionali inficiano la sentenza impugnata nella parte in cui
ha pretermesso la valutazione delle condizioni personali della Santopietro,
ostative a che la anziana degente prelevasse la busta dai pochi effetti personali

Francesca Elia contro Cosima Martini, madre dell’odierna ricorrente, dichiarava il

che erano custoditi in altro luogo della camera di degenza. Con il terzo motivo
denuncia vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 546, comma 3, cod.
proc. pen. per il contrasto tra motivazione, nella quale si fa luogo ad assoluzione
ai sensi dell’art. 530, comma 2 cod. proc. pen., e dispositivo, carente di tale
indicazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

conseguente annullamento della sentenza impugnata, dichiarazione di
prescrizione del reato ascritto alla Manigrasso e rinvio dinanzi al giudice civile per
la decisione sulle statuizioni civili.

2.E’, in vero, fondato il primo motivo di ricorso con riguardo alla carenza di
motivazione che inficia la sentenza impugnata.

3.Ritiene il Collegio che non possa condividersi la tesi della ricorrente
secondo la quale i giudici di appello, in vista del sovvertimento della sentenza di
condanna in primo grado recante statuizioni in favore della parte civile,
avrebbero dovuto procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in
relazione alla prova dichiarativa, tesi, questa, che non ha trovato avallo nella
giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte secondo la quale
l’obbligo di procedere alla riassunzione della prova testimoniale, sancito dall’art.
6 CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti
dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan Moldavia, non sussiste nell’ipotesi di
riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, non venendo in rilievo,
in tal caso, il principio del superamento del “ragionevole dubbio” (Sez. 5, n.
35261 del 06/04/2017, P.G. in proc. Lento e altro, Rv. 270721).

4.Sotto altro aspetto, questa Corte ha avuto modo di precisare che in tema
di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di
condanna del giudice di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di
assoluzione, non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della
decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di
dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il
materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello
eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per
dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e

2>

1.11 ricorso deve trovare accoglimento, per le ragioni di seguito indicate, con

compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez.
4, n. 35922 del 11/07/2012, P.C. in proc. Ingrassia, Rv. 254617).

5.Ed è proprio a tale riguardo che la sentenza impugnata presenta una
evidente carenza argomentativa. La Corte di merito è pervenuta alla conclusione
che non poteva ritenersi provata la falsità delle dichiarazioni rese dalla
Manigrasso. Perimetrata la portata della condotta alle sole dichiarazioni rese
dalla Manigrasso all’udienza del 17 febbraio 2010 – nel corso del giudizio civile

della Santopietro in forza di testamento pubblico redatto il 14 ottobre 1998 e
pertanto titolare dell’immobile conteso -, e rilevato che le fonti di prova, a
sostegno della falsità della ricostruzione della Manigrasso, provenivano solo da
persone interessate all’esito del giudizio civile, derivandone in capo a loro un
vantaggio patrimoniale, ovvero da persone parenti delle parti interessate – cioè
la Annicchiarico e il padre -, i giudici a quibus

hanno ritenuto che non fossero

oggettivamente sussistenti ovvero dirimenti in chiave accusatoria, le discrasie
rinvenibili nella ricostruzione compiuta dalla Manigrasso. Tali discrasie
attenevano alla presenza o meno, al momento della consegna della busta dalla
Santopietro alla Elia, di Lucia Russo, infermiera presso la struttura ospedaliera e
nipote della Elia, tenuto conto che sia la Russo che la Elia avevano confermato la
presenza della Russo al momento della consegna della busta; alla durata della
visita della Manigrasso alla degente Santopietro e all’anno nel quale la degenza
e, quindi, la visita erano da collocarsi (cioè all’anno 1998, come attestato dalla
documentazione sanitaria ovvero 1999, secondo quanto riferito dalla
Manigrasso), discrasie che non apparivano risolutive, nel senso della dolosa
falsità delle dichiarazioni della Manigrasso, atteso il lungo tempo trascorso tra i
fatti e il momento della deposizione. Non apparivano, infine, dirimenti le
dichiarazioni rese dalle parti contrapposte alla Elia – Oronza Annicchiarico, figlia
della Martini, e Gaetano Mariella – che avevano escluso la possibilità che la
Santopietro avesse con sé la busta al momento del ricovero e che potesse
disporne durante la degenza tenuto conto delle modeste dimensioni della busta
contenente lo scritto.

6.Rileva il Collegio che elemento centrale della valutazione dei giudici
distrettuali sono state le dichiarazioni rese da Maria Francesca Elia e Lucia Russo
– che sarebbero state presenti alla consegna della busta contenente il risalente
testamento della Orlando dalla Santopietro alla predetta Elia – e le uniche
direttamente afferenti alla dichiarazione, supposta falsa, della Manigrasso,
omettendo, tuttavia, di valutare la circostanza, comprovata dalla difesa, della

A

che vedeva contrapposte Maria Francesca Elia a Martini Cosima, nominata erede

intervenuta condanna in primo grado delle predette Elia e Russo per il reato di
falsa testimonianza commessa nel dibattimento celebrato a carico della
Manigrasso. Orbene, pure in presenza di diffusa argomentazione in relazione al
contenuto delle dichiarazioni rese dalle predette ed alla loro estraneità – o
perlomeno alla estraneità della Russo – al sottostante groviglio di interessi che
opponeva la Annicchiarico, quale erede della Martini, a Maria Francesca Elia circa
la proprietà dell’immobile, la condanna sia pure solo in primo grado e dunque
non irrevocabile della Elia e della Russo, nelle more intervenuta, imponeva ai

saggiare, alla luce di tale evenienza, le discrasie della ricostruzione compiuta nel
giudizio civile dalla Manigrasso, e che investivano circostanze affatto secondarie
quali la presenza o meno della Russo alla consegna della busta e l’anno in cui i
fatti si erano verificati.

7.Risulta, invece, generico il secondo motivo di ricorso che non spiega le
ragioni della rilevanza della deduzione difensiva – che si suppone trascurata dai
giudici di appello ma che non aveva costituito oggetto di disamina nella sentenza
di primo grado – e che, avuto riguardo alla perimetrazione delle false
dichiarazioni oggetto di contestazione alla Manigrasso si riferisce ad un antefatto
estraneo alla sfera di percezione della dichiarante ed alle circostanze intorno alle
quali era stata sentita nel giudizio civile.

8. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso poiché la
mancata indicazione in dispositivo delle norme processuali a tenore delle quali si
è pervenuti all’assoluzione, e, nella specie il richiamo all’art. 530, comma 2 cod.
proc. pen., non determina la nullità della sentenza, poiché non ne deriva alcuna
incertezza ovvero incompletezza degli elementi essenziali della decisione.

9.Rileva, conclusivamente,

il Collegio che la riscontrata carenza

motivazionale imporrebbe il rinvio dinanzi al giudice di appello che, tuttavia, non
potrebbe che prendere atto, ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen.,
della prescrizione del reato, intervenuta il 17 agosto 2017, successivamente alla
sentenza di secondo grado, con la conseguenza che la pronuncia va annullata
senza rinvio agli effetti penali per tale causa direttamente da questa Corte non
evincendosi dagli atti, alla stregua degli elementi illustrati nella sentenza di
primo grado, la prova evidente dell’insussistenza del fatto, della sua irrilevanza
penale o della non commissione del medesimo da parte dell’imputato.

g

giudici distrettuali un accurato confronto con la nuova situazione fattuale onde

10. Ciò comporta, peraltro, la necessità, contenendo la sentenza di primo
grado la condanna al risarcimento del danno, di rinviare la decisione al giudice
civile competente per valore in grado di appello il quale provvederà, ricorrendone
i presupposti, alla liquidazione delle spese dell’odierna fase.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione e

sulle statuizioni civili.
Così deciso il 16 novembre 2017

rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello per il giudizio

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