Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 54042 del 16/11/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 54042 Anno 2017
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MUCA ARMANDO nato il 15/05/1995

avverso la sentenza del 16/12/2015 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere EMILIA ANNA GIORDANO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SIMONE PERELLI
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uidto pe ril ricorrente il difensore, avvocato GIAMBATTISTA LUDOCIO SCALVI del
Foro di Brescia, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 16/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Armando Muca ricorre per l’annullamento della sentenza della Corte di
appello di Brescia che, in esito a giudizio abbreviato, in accoglimento
dell’impugnazione proposta dal Procuratore generale e disatteso l’appello
dell’imputato, ha riqualificato il fatto come reato previsto e punito dall’art. 73,
comma 1 d.P.R. 309/1990 e rideterminato la pena inflitta in quella di anni tre,
mesi sei e giorni venti di reclusione ed euro 11.555,00 di multa, oltre statuizioni

all’art. 73, comma 1 d.P.R. 309/1990, per avere detenuto, in concorso con
Caush Muca, a fini di cessione, gr. 35,82 di cocaina pura, frazionata in varie dosi,
reato commesso in Chiari il 14 ottobre 2014.

2. Il giudice di primo grado aveva riqualificato il fatto ascritto al ricorrente
nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990,

sul rilievo che il

quantitativo puro di stupefacente (poco superiore a 35 grammi); la pur notevole
percentuale di purezza (tra il 74 ed il 78 per cento di principio attivo); il numero
di dosi confezionate; le dichiarazioni rese da uno degli acquirenti e le ulteriori
modalità del fatto (possesso di ritagli di cellofan e della somma di euro 2.000),
denotassero il fatto in termini di spaccio da strada, così connotando la condotta
ascritta all’imputato come fatto di minore offensività.

3. Il ricorrente deduce, con unico motivo di ricorso, l’erroneità della sentenza
impugnata. Assume che l’impugnazione proposta dal Procuratore generale
avverso la sentenza di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarata
inammissibile perché proposta per motivi di merito e non per vizio di legittimità.
Rileva che, in tema di giudizio abbreviato, quando l’imputato ha proposto appello
avverso la sentenza di condanna, l’eventuale ricorso per Cassazione proposto dal
Procuratore generale, come nel caso che occupa, si converte sì in appello ma
conserva la natura di impugnazione di legittimità con conseguente devoluzione,
al giudice dell’impugnazione, dei connessi poteri di valutazione limitati alle
censure di legittimità. Solo ove ritenga fondata tale censura la Corte di appello
riprende le funzioni di merito e può adottare le conseguenti statuizioni. E, nel
caso, il motivo espresso dal Procuratore della Repubblica di Brescia, con la
proposta impugnazione, non atteneva al vizio di violazione di legge – pure
evocata – ma involgeva una questione di fatto, in relazione alla offensività della
condotta avuto riguardo al quantitativo puro di sostanza stupefacente, questione
già esaminata dal giudice di primo grado e risolta in termini non manifestamente

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accessorie. Il Muca è stato riconosciuto, pertanto, colpevole del reato di cui

illogici, tanto più che nella proposta impugnazione la parte pubblica neppure
aveva dedotto la manifesta illogicità della decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Giova, in primo luogo, rammentare che l’impugnazione proposta dal

titolo di reato – che rientra nei casi in relazione ai quali non opera la limitazione
testuale all’appellabilità della sentenza emessa a seguito del rito abbreviato, a
norma dell’art. 443, comma 4, cod. proc. pen.. Nel caso in esame non è
controverso che il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Brescia ha
proposto, avverso la sentenza del giudice per l’udienza preliminare del Tribunale
di Brescia, ricorso per saltum ai sensi dell’art. 569, comma 1, cod. proc. pen.
deducendo vizio di violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica del
fatto operata dal giudice con la sentenza di primo grado, impugnazione
convertita in appello, ai sensi dell’art. 580 cod. proc. pen. in presenza di appello
proposto dall’imputato e, quindi, di impugnazioni eterogenee. La proposta
impugnazione, in relazione a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato,
costituisce legittima espressione della facoltà per la parte pubblica di contestare
davanti alla Corte di legittimità le determinazioni assunte dal giudice di primo
grado, in quanto viziate da errores in procedendo o in iudicando, sussumibili nel
vizio di violazione di legge poiché, come noto, nel ricorso immediato per
cassazione, previsto dall’art. 569 cod. proc. pen., non è consentita la deducibilità
dei motivi sub d) e, per quel che qui rileva, in relazione alle deduzioni svolte dal
ricorrente, il vizio di motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc.
pen..

3. La difesa, con il proposto ricorso, incentra i propri rilievi critici sul
mantenimento da parte del ricorso convertito in appello della sua immutata
natura di impugnazione di legittimità, affermazione senza dubbio corretta che
riprende indiscussa opinione formatasi nella giurisprudenza di questa Corte (Sez.
1, n. 40280 del 21/05/2013, Agostino e altri, Rv. 257326; Sez. 6, n. 24965 del
14/6/2011, P.G. in proc. Soriato, Rv. 250080; Sez. 6, n. 42694 del 23/10/2008,
Raia e altro, Rv. 241872; sez. 1, n. 15025 del 14/2/2006, Di Petrillo, Rv.
234039). Tale affermazione si accompagna, nelle richiamate sentenze, alla
precisazione secondo cui, una volta concluso positivamente il giudizio
rescindente, il giudice d’appello riprende la propria funzione di giudice del merito

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Procuratore generale concerne una statuizione — cioè quella della modifica del

e può adottare le statuizioni conseguenti alla formulazione del giudizio
rescissorio devolutogli.

4. Non può, viceversa, condividersi l’ulteriore affermazione del ricorrente
nella parte in cui sostiene che il motivo espresso dal Procuratore della Repubblica
di Brescia non atteneva al vizio di violazione di legge perchè involgeva una
questione di fatto, in relazione alla offensività della condotta, che avrebbe
comportato la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, tanto più che il

5. Ed invero il Procuratore generale ha sollevato una questione di diritto che
attiene alla individuazione e interpretazione della norma sostanziale, peraltro
caratterizzata dalla presenza di un elemento indefinito quale la lieve entità,
interpretazione che direttamente incide sulla qualificazione del fatto come
operata dal giudice di primo grado, norma sostanziale che, secondo il ricorrente,
era stata erroneamente applicata al caso in decisione. Correttamente, pertanto,
la parte pubblica ha dedotto un errore di giudizio nell’applicazione della norma,
che sostanzia la violazione di legge penale di cui all’art. 606, comma 1, lett. b)
cod. proc. pen., sebbene tale questione interagisca con una questione di fatto,
cioè quella della individuazione degli elementi strutturali della fattispecie
concreta rilevanti ai fini della qualificazione giuridica, nel caso indiscussi con
riguardo al quantitativo di stupefacente detenuto; al suo peso, in relazione alla
particolare purezza che ne contrassegnava il taglio, ed alle condotte di spaccio
ascritte al Muca. Dalla lettura del proposto ricorso del Procuratore generale si
rileva che il ricorrente aveva censurato la decisione di primo grado poiché il
giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia non aveva tenuto conto
della formulazione della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990,
come interpretata dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che impone di
aver riguardo a tutte le circostanze del caso concreto e che esclude la ricorrenza
dell’ipotesi di reato attenuata qualora i mezzi, le modalità o le circostanze
dell’azione, la qualità o la quantità delle sostanze non concorrono tutte a
denotare una minima offensività del fatto, trascurando proprio l’esame
dell’elemento fondamentale di valutazione in ipotesi del tipo in esame e cioè
quello della qualità e quantità dello stupefacente trattato, elemento che può, da
solo assumere valore decisivo, per escludere la lieve entità del fatto, in quanto
sintomo sicuro di una notevole potenzialità diffusiva dell’attività di spaccio.

6. Tale denunciata omissione, riscontrabile nella sentenza di primo grado, ad
avviso del Collegio, era tale da inficiare la valutazione effettuata ai fini della

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Procuratore generale non aveva dedotto la manifesta illogicità della decisione.

sussunzione del fatto nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 73, comma 5,
d.P.R. 309/1990, e legittimava il ricorso per l’annullamento della decisione
proposto dalla parte pubblica, ricorso in conseguenza del quale la Corte di
merito, sulla scorta degli incontestati elementi di fatto e attribuendo la dovuta
rilevanza al quantitativo di sostanza stupefacente ed alla sua efficacia drogante,
in relazione alla purezza che lo contrassegnava, ed alla entità delle condotte di
cessione, conclamata dal possesso ingiustificato di una somma di denaro (circa
duemila euro), provento della contestuale attività di spaccio confermata dalle

Polizia, ha sussunto la condotta contestata all’imputato nella fattispecie
incriminatrice di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, oggetto dell’originaria
contestazione ascritta al Muca con la richiesta di rinvio a giudizio, conclusione,
questa, che non costituisce, ex se, oggetto di impugnazione.

7. Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 novembre 207

dichiarazioni rese da uno degli acquirenti presente al momento del controllo di

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