Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 54037 del 03/10/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 54037 Anno 2017
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1.Parlongo Bruno, nato ad Ardore il 25/10/1962
2.Varacalli Rocco Bruno, nato a Ciminà il 06/08/1967
3.Ietto Carmelo Gaetano, nato a Careri il 20/03/1946

avverso la sentenza del 21/04/2016 della Corte di appello di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Luca Tamperi, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi;
udito l’avvocato della parte civile, Comune di Antonimina, Carmela Neri, che
insiste per il rigetto del ricorsi, deposita atto dì costituzione, conclusioni e nota
spese;
udito l’avvocato della parte civile, Comune di Canolo, Leandro Bombardieri,
bRisi LA;

v.

che deposita atto di costituzione di parte civile, conclusioni e nota spese;

Data Udienza: 03/10/2017

udito il difensore di Parlongo Bruno, avv. Antonio Managò, che insiste per
l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di letto Carmelo Gaetano, avv. Roberto Randazzo, che
conclude per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Reggio Calabria con la sentenza in epigrafe
indicata, in parziale riforma di quella pronunciata all’esito di giudizio

abbreviato dal Tribunale della medesima città il 29 aprile 2014, giudicando,
per quanto di interesse, sugli appelli di Bruno Parlongo, Rocco Bruno
Varacalli e Carmelo Gaetano letto, ha: rideterminato le pene agli imputati
rispettivamente inflitte dopo aver escluso, per tutti, le aggravanti di cui
all’art. 3 della legge n. 146 del 2006 ed all’art. 7 della legge n. 203 del
1991, contestate ai capi A), AI) ed AL) della rubrica; dichiarata l’estinzione
dei reati di cui al capo AL), quanto a Parlongo e Varacalli, per intervenuta
prescrizione, assolto il Varacalli dal reato di cui al capo A) per non aver
commesso il fatto.

2. Nel confermare, sul punto, le statuizioni di primo grado, la Corte
territoriale ha ritenuto, per la contestazione di cui alla lettera A) della
rubrica (art. 416-bis, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, cod. pen.), l’esistenza di
un’associazione a delinquere di stampo mafioso, la ‘sacra corona’ che,
facente parte della più ampia organizzazione denominata ‘ndrangheta,
aveva la funzione di raggruppare le ‘ndrine dei centri cittadini meno
importanti facenti parte del comprensorio della Locride per dare loro, riunite,
un maggiore peso.
L’associazione era finalizzata alla gestione ed al controllo delle attività
economiche — con particolare riguardo al settore edilizio, al movimento
terra ed al taglio boschivo in Aspromonte — alle concessioni ed agli appalti
pubblici, per accaparramento delle gare bandite dagli enti locali, e ad
impedire od ostacolare l’esercizio del voto in occasione di consultazioni
elettorali, convogliando le preferenze su candidati vicini in cambio di future
utilità.
Con le aggravanti del carattere armato e del finanziamento delle attività
economiche con il prezzo, il prodotto ed il profitto dei delitti.
Segnatamente, di Bruno Parlongo si è ritenuta la qualità di partecipe al
‘locale’ di Ardore, anche quale imprenditore di riferimento, nonché il
concorso, con il Varacalli, nella ricettazione di una imprecisata quantità di
2

< materiale inerte di provenienza delittuosa asportata da una cava abusiva (capo AI) e di Carmelo Gaetano letto la partecipazione alla 'società maggiore' del locale di Natile, con la qualità di capo ed organizzatore. 3. Nell'interesse di Bruno Parlongo, condannato per la partecipazione all'associazione 'ndranghetistica e per il concorso in ricettazione (capi A) ed AI), il difensore di fiducia ricorre in Cassazione con due motivi di annullamento. 3.1. Con il primo motivo si fa valere vizio di motivazione con riguardo al governo della prova (art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in relazione all'art. 192 cod. proc. pen.). Dopo aver ricostruito il compendio indiziario di riferimento su captazioni di conversazioni telefoniche, la Corte territoriale avrebbe mancato di applicare i criteri di valutazione elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in punto di conversazioni intercorse tra terzi e di dare, comunque, corretta interpretazione ai contenuti di quelle del 13 gennaio 2008, del 29 settembre 2007 e del 29 marzo 2007. 3.1.1. Della prima non sarebbe stato inteso, secondo deduzione difensiva, e nella sua rilevanza, il tono 'scherzoso' utilizzato dai loquenti, Vincenzo Melia e Nicola Romano, nell'intrattenersi su coloro che avrebbero costituito la mafia di Ardore. La Corte di merito avrebbe infatti ed invece inteso di quella conversazione il tono 'irridente', in tal modo obliterando i diversi esiti di un accertamento tecnico di parte acquisito in atti comunque confermato, nei dedotti esiti, dalle dichiarazioni rese da ufficiali della p.g. in un procedimento connesso. 3.1.2. L'ulteriore conversazione, quella del 29 settembre 2007, non lineare e con presenza di interruzioni e segmenti non codificati, sarebbe stata intesa, con conseguente travisamento della prova, come espressiva della partecipazione del Parlongo all'associazione criminosa perché dalla frase pronunciata da Vincenzo Melia, intercettato, «spara ... gli zingari», la Corte di appello avrebbe dedotto un «proposito di reazione violenta manifestata» del primo. 3.1.3. Della conversazione del 29 marzo 2007 non sarebbe stato inteso il tono, anch'esso, scherzoso con il quale il conversante, Melia, avrebbe definito il Parlongo quale «soldato di Bruno Bova». Lo stesso lemma 'soldato' sarebbe poi stato apprezzato come univocamente indicativo della contestata appartenenza mafiosa, dimenticando la Corte di merito che di quel termine era stata ritenuta 3 i valenza probatoria dal giudice di primo grado in quanto riferito a due soggetti, Bruno Bova e Peppe Varcalli, ritenuti membri dell'associazione criminosa contestata. La frase apprezzata dal primo giudice, più ampia, sarebbe infatti stata: «Parlongo Bruno è un soldato di Bruno Bova e Peppe Va rcalli». Poiché i termini di quella conversazione risultavano differenti nelle due versioni in atti — rispettivamente integrate dalla trascrizione operatane dalla p.g. e da quella effettuata, e sopravvenuta alla definizione del processo di Ventra —, il contenuto del dialogo, mancante dei caratteri della obiettiva esistenza, della determinatezza e della certezza, avrebbe assunto natura contraddittoria e non avrebbe potuto integrare il pure ritenuto indizio, conducendo al travisamento della prova. L'ammissione da parte della Corte di appello della nuova prova documentale, costituita dalla trascrizione effettuata dal perito, avrebbe qualificato la prima, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., in termini di 'assoluta necessità' e quindi di `decisività' non potendo quindi la Corte di merito ometterne la valutazione nell'osservato percorso argomentativo. Inoltre, non figurando più nella trascrizione del perito i nomi di Bruno Bova e Varacalli Peppe, ma soltanto quello di Peppe Bova, la Corte di appello ricorrendo ad argomenti ipotetici avrebbe cercato di integrare la portata indiziante della conversazione con un dato decisivo al fine dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, e non provvedendo a disporre, invece, a fronte del contrasto dei contenuti, una prova tecnica. 4. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione e mancata assunzione di prova decisiva (art. 606, comma 1, lett. e) e d) cod. proc. pen., con riguardo all'art. 192 cod. proc. pen.). 4.1. La Corte di appello avrebbe ritenuto la penale responsabilità dell'imputato quanto al reato di ricettazione contestato al capo AI), riproponendo per relationem ed acriticamente la motivazione del giudice di primo grado, mancando così di fornire risposta alle deduzioni difensive. 4.2. A fronte dell'intervenuta ammissione in grado di appello di documentazione comprovante l'esistenza di una concessione all'estrazione rilasciata ad Antonio Cosmo — il preteso venditore del materiale inerte oggetto di ricettazione — sarebbe venuta meno la sussistenza stessa del contestato reato. 4 primo grado, in procedimento connesso, nelle forme della perizia, perizia Poiché aveva ammesso la prova documentale, in tal modo ritenendola decisiva, la Corte sarebbe poi incorsa in omessa valutazione non argomentando al fine di escludere della prima valenza dimostrativa. 5. Con motivi aggiunti depositati in data 11 settembre 2017, la difesa del Parlongo ha denunciato dei contenuti delle intercettazioni di conversazioni intercorse tra terze persone il limitatissimo valore indiziante circa la responsabilità del soggetto su cui i colloquianti si intrattengano ed conversazioni, richiamata sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte (sentenza Alcaro, Sez. 6, n. 46070 del 21/07/2015, Rv. 265536; sentenze D'Agostino e Pesce, nel procedimento cd. Crimine). Ha dedotto, la difesa, la necessità, al fine della partecipazione all'organizzazione criminosa, della prova pacifica del ruolo rivestito dal preteso partecipe, da intendersi in forma dinamica in ragione della concreta utilità resa al sodalizio. Le frasi intercettate «qua fuori c'è la 'ndrangheta di Ardore» e «Bruno Parlongo è un soldato di Bruno Bova e di Peppe Varacalli», inficiate da errori di trascrizione, non sarebbero state idonee ad affermare la responsabilità dell'imputato, di cui non avrebbero indicato il ruolo, evidenza, questa, sostenuta dall'intervenuta assoluzione del Parlongo dal reato dell'illecita concorrenza di cui all'art. 513-bis cod. pen., circostanziato ai sensi dell'art. 7 legge n. 203 del 1991, e dall'esclusione la medesima aggravante quanto ai contestati reati-fine. L'errore nell'interpretazione dei contenuti della conversazione del 29 settembre 2007 intercorsa tra il Melia ed il Romano, per il quale si era attribuita al Parlongo l'iniziativa di 'sparare contro gli zingari', sarebbe emerso dal significato a quel passo attribuito nella distinta sentenza, allegata ai motivi aggiunti, del Tribunale di Locri che, intervenuta nel troncone principale, celebrato con rito ordinario, aveva attribuito ogni riferimento non a Bruno Parlongo, ma a Bruno Bova. Viene reiterata la deduzione sull'omessa valutazione della prova documentale ammessa quanto al capo AI). Viene allegata la trascrizione della conversazione del 29 marzo 2007 firmata dal perito Ventra. 6. La difesa di Rocco Varacalli, condannato per la ricettazione di cui al capo AI) della rubrica, articola due motivi di annullamento. 5 ha fatto altresì valere il difetto di riscontri esterni alla veridicità delle 6.1. Con il primo motivo è dedotto vizio di motivazione e mancata assunzione di prova decisiva (art. 606, comma 1, lett. d) ed e) cod. proc. pen.). La Corte, mancando di rispondere alla difesa, avrebbe ritenuto la sussistenza dell'estremo oggettivo e soggettivo della contestata ricettazione. Vengono riproposte le questioni dedotte a sostegno del secondo motivo del coimputato Parlongo, in punto di motivazione per relationem e di omessa valutazione di prova decisiva in grado di appello. in ordine alla quantificazione della pena per violazione del divieto della reformatio in peius (artt. 606, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., in relazione all'art. 597, comma 3, cod. proc. pen.). La Corte di appello, assolto l'imputato dal reato associativo, su cui il primo giudice aveva determinato la pena base, dichiarata altresì l'estinzione di uno dei reati satellite, aveva confermato il giudizio di penale responsabilità sul reato di ricettazione, aggravando — in violazione del divieto di reformatio in peius da valere per gli autonomi elementi che concorrono a determinare il trattamento sanzionatorio nel suo complesso — la relativa pena che sarebbe stata più grave rispetto a quella che, per il medesimo titolo, aveva determinato il giudice di primo grado. La difesa conclude per l'annullamento dell'impugnata sentenza sul punto per violazione dell'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. 7. La difesa di Carmelo Gaetano letto, condannato per la partecipazione all'associazione mafiosa, affida il proposto mezzo a tre motivi di annullamento. 7.1. Con il primo motivo è dedotta inosservanza ed erronea applicazione di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità della prova e vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., in relazione all'art. 267 cod. proc. pen. ed e) cod. proc. pen.). Il riferimento è ai progressivi 5961 e 5965 del compendio intercettativo, per assenza di motivato decreto del G.i.p. La captazione ambientale del 10 dicembre 2007, effettuata a bordo dell'autovettura in uso a Nicola Romano di una conversazione intercorsa tra quest'ultimo e lo Tetto, si sarebbe svolta in assenza di uno specifico decreto di autorizzazione del G.i.p. distrettuale, competente in ragione della contestazione associativa ex art. 416-bis cod. proc. pen., ed in forza di una proroga dell'originaria intercettazione che era stata disposta dal G.i.p. del Tribunale di Locri per altro procedimento, il n. 732 del 2006. 6 6.2. Con il secondo motivo si fa valere la violazione della legge penale Per quest'ultimo, infatti, altra sarebbe stata la persona offesa ed altra la contestazione che, comprensiva dei reati di rapina e danneggiamento, e non di quello associativo, sarebbe stata iscritta a carico di ignoti. La Corte di appello avrebbe erroneamente richiamato il giudicato formatosi, in punto di utilizzabilità della prova, nel procedimento incidentale de libertate in esito a sentenza emessa dalla Corte di legittimità, mancando in tal modo di fornire risposta alle deduzioni difensive. 7.2. Con il secondo motivo, viene dedotta la nullità della sentenza per la applicazione della legge penale sostanziale e processuale, anche da travisamento ed omessa valutazione di prova decisiva e vizio di motivazione (artt. 606, comma 1, lett. b), c), d) e) cod. proc. pen.). La Corte di Reggio Calabria avrebbe fondato il giudizio di penale responsabilità sulla conversazione, intercettata, del 10 dicembre 2007 e sulle dichiarazioni etero-accusatorie rese dal collaboratore di giustizia Rocco Varacalli, riproponendo acriticamente passaggi della motivazione del G.u.p. senza rispondere alle deduzioni difensive. La chiamata, proveniente da un soggetto da sempre vissuto a Torino ed estraneo alle vicende della 'ndrangheta calabrese, sarebbe stata scarsamente dimostrativa della partecipazione contestata e non sostenuta dalla conversazione tra lo letto ed il Romano. Sarebbe mancata cautela nel distinguere tra le informazioni che il collaboratore di giustizia è in grado di rendere in quanto riconducibili ad un patrimonio cognitivo comune — di cui sarebbe mancata la verifica — a tutti gli appartenenti al sodalizio, e come tali sottratte al controllo di cui all'art. 195 cod. proc. pen., da quelle de relato, non utilizzabili se non per le modalità di scrutinio di cui all'art. 195 cit. La Corte di merito, nel convalidare il narrato del collaboratore, avrebbe fatto ricorso al notorio, maturato nell'esperienza giudiziaria, che i locali di ‘ndrangheta, formatisi in alcune zone del settentrione, costituiscono ramificazioni delle cosche madri calabresi con cui mantengono forti legami familiari, sociali e di tipo criminale. I giudici di appello non avrebbero considerato che il Varacalli, ritenuto attendibile nonostante le sentenze prodotte dalla difesa e nonostante egli avesse riferito di circostanze che, pure rappresentative di rilevanti momenti della vita associativa, avrebbero visto assente l'imputato, indica lo letto come capo del locale di Natile struttura che, in quanto parte della 'società maggiore', anello intermedio della più articolata organizzazione, avrebbe 7 ritenuta partecipazione dell'imputato all'associazione mafiosa per erronea comunque consentito all'imputato di assumere autonomamente decisioni interne. La Corte di merito aveva inoltre escluso per lo letto proprio l'aggravante di cui all'art. 416-bis, secondo comma, cod. pen. 7.2.1. Della conversazione intercettata sarebbe stata fornita una interpretazione decontestualizzata che non avrebbe tenuto conto di quella alternativa, fornita dalla consulenza della difesa, per la quale il Romano non si sarebbe recato a Natile per incontrare l'imputato, e con lui risolvere questioni associative, ma tale Pino letto, macellaio, per un acquisto di carne. Diversa, su punti rilevanti, la versione del dialogo nella consulenza di parte in cui il riferimento non sarebbe stato alla mancanza di unità o fratellanza mafiosa, ma alla non capacità del prevenuto di mantenere, a beneficio dei figli, le attività lavorative svolte. L'utilizzo, poi, da parte dell'imputato al cospetto di Nicola Romano, ritenuto personaggio di spicco della mafia reggina, della frase 'la prima dote te la dà Gesù Cristo', avrebbe denunciato, per la Corte territoriale, l'appartenenza ‘ndranghetistica dello letto e sarebbe stata espressiva di un'attribuzione di sacralità a momenti della vita associativa, propria delle organizzazioni criminali. Con travisamento della prova, la Corte di merito avrebbe ritenuto l' appartenenza al tessuto mafioso dell'imputato in ragione di uno status privo dei quei caratteri di dinamicità e funzionalità del contributo, integrativi (sentenza Mannino, SU n. 33748 del 2005) della condotta permanente di partecipazione. 7.3. Con il terzo motivo si contesta l'erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante delle armi (art. 606, comma 1, lett. b) ed e) in relazione all'art. 416-bis, quarto comma, cod. pen.). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. E' necessario muovere dall'esame del primo e secondo motivo proposto nell'interesse dell'imputato letto e dal primo motivo del ricorso Parlongo, che possono essere congiuntamente esaminati perché attengono alla configurabilità del reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., quanto ai caratteri della effettività ed efficacia del contributo reso dai compartecipi alla compagine associativa, sulla base del compendio probatorio anche costituito dalle intercettazioni telefoniche. 8 Ì 2. L'utilizzabilità di queste ultime è censurata dalla difesa dello letto, ma il profilo è precluso. Si tratta invero di deduzione in rito, su cui questa Corte si è già negativamente pronunciata, in via incidentale, nell'ambito del procedimento cautelare e nei confronti dello stesso imputato (Sez. 5, n. 42558 del 2013, letto) e che, come tale, non è più proponibile (ex pluribus: Sez. 1, n. 47655 del 12/10/2011, Adamo, Rv. 252181; Sez. 5, n. 26809 del 10/02/2016, Minopoli, Rv. 267869). ritenuto infatti che, una volta che il giudice di legittimità si sia espresso, in relazione allo stesso procedimento e nei confronti delle medesime parti, per la non utilizzabilità di determinate prove, urti con l'efficienza processuale, in difetto di elementi nuovi, che la decisione in precedenza adottata non sia vincolante e consenta di reiterare la questione 'quante volte si voglia', in palese pregiudizio della ragionevole durata del processo (in motivazione, Sez. 1, n. 47655, cit.). La mancanza di sopravvenienze e la reiterazione di argomenti scrutinati nel procedimento incidentale de liberate in punto di utilizzabilità delle intercettazioni dalla Corte di legittimità rendono il motivo inammissibile perché manifestamente infondato e perché reiterativo di censura a cui ha, nell'osservanza del richiamato principio, correttamente risposto la Corte di appello di Reggio Calabria. 3. Ciò non di meno, sono fondate le contestazioni portate nei proposti mezzi alla esegesi che dei contenuti delle conversazioni intercettate ha dato la Corte di appello, apprezzandone la capacità di esprimere rituali e posizioni propri dell'organizzazione contestata, là dove si fa valere l'assoluta inadeguatezza del dato intercettato a definire ruolo e contributo degli imputati all'interno della ritenuta associazione 'ndranghetistica. 3.1. La giurisprudenza di legittimità si è ha da tempo espressa nel senso che la partecipazione dell'associato al sodalizio criminoso non si esprime con l'evocare del primo lo status di appartenenza, per richiamo a rituali e linguaggi propri della compagine associativa. Quanto rileva all'indicato fine è, piuttosto, il ruolo dinamico e funzionale assolto dal singolo all'interno della struttura associativa, manifestazione di un rapporto di stabile e organica compenetrazione con l'organizzazione del gruppo criminoso. La partecipazione dell'associato al sodalizio criminoso deve palesarsi per emergenze fattuali che vanno scrutinate quanto a gravità e precisione 9 Con affermazione che si apprezza come pienamente condivisibile, si è indiziaria, nella loro logica concludenza, sulla base di regole di esperienza, anche giudiziaria, la cui formazione risente dell'acquisita, negli anni, valenza storico-criminologica del fenomeno indagato. Per le varie fasi che conducono alla formale investitura di ruoli all'interno della struttura, assumono pertanto rilievo, al fine della prova indiziaria, i comportamenti osservati dal preteso associato in quanto gravi e precisi e, quindi, i contributi causali, senza che in materia operi nessun automatismo probatorio a dimostrazione della sicura appartenenza al 3.1.2. Tanto non esclude che al mero dato lessicale, con cui si attribuisce al soggetto un ruolo nell'organigramma della struttura associativa (soldato) o con cui ancora si riconoscono come appartenenti al primo momenti (la dote) espressivi di rituali di affiliazione all'associazione, possa riconoscersi la capacità di esprimere il necessario contributo associativo ove il linguaggio dia conto, in modo in—equivoco, dell'apporto del singolo, nella stretta correlazione esistente, all'interno dell'indagata struttura e per le connotazioni sue proprie, tra ruolo rivestito e stabile e consapevole partecipazione dell'affiliato (Sez. 6, n. 39112 del 20/05/2015, Catalano). 3.1.3. Il dato terminologico può, ancora, in modo conducente integrare la prova della piena adesione ove ad esso si leghi l'illustrazione di una progressione meritocratica dell'affiliato destinata ad esprimere, per implicito, con la forza del vincolo, l'apporto partecipativo nel tempo (Sez. 6, n. 46070 del 21/07/2015, Alcaro, Rv. 265536, in particolare, sul punto, in motivazione, p. 44). 3.2. Nessuna delle declinate accezioni della prova del contributo associativole nell'impugnata sentenza, neppure per raccordo con la motivazione di quella di primo grado che soffre della medesima mera descrittività del fenomeno. La sentenza impugnata va pertanto sul punto annullata, restando assorbito ogni ulteriore motivo. 3.3. La Corte di appello di Reggio Calabria è tenuta, pertanto, in sede di rinvio e nell'esercizio del potere discrezionale che le è proprio, a motivare, quanto alle posizioni degli imputati, Bruno Parlango e Carmelo Gaetano letto: a) sull'univoca correlazione tra ruoli e rituali di affiliazione nell'associazione, scrutinando dei primi l'eventuale valenza di progressione meritocratica degli intranei all'interno del sodalizio criminoso; b) sui contributi partecipativi espressi per fatti concludenti. 10 sodalizio (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670). Ogni altra deduzione svolta dalle difese Parlongo e letto in punto di responsabilità per l'indicato titolo resta assorbita. 4. La posizione degli imputati Varacalli e Parlongo, per la parte in cui sono stati condannati per i fatti di ricettazione di cui al capo AI) della rubrica. I motivi di ricorso non sono fondati. 4.1. Le deduzioni difensive, comuni ai due imputati, suggeriscono una precisazione di principio sulla nozione di prova decisiva e sul suo La prova è decisiva ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen. quando, nel confronto con le argomentazioni contenute nella motivazione, essa si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe certamente e diversamente orientato l'assunta decisione e che quindi poiché non assunta o non valutata, essa vizi la sentenza sottraendole forza portante (in termini, tra le altre: Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323). Fermo il principio indicato, si ha che una prova non possa ritenersi decisiva soltanto perché sia stata ammessa in appello, ai sensi dell'art. 603, comma 1, cod. proc. pen. Il documento — l'autorizzazione all'estrazione rilasciata ad Antonio Cosmo ovverosia a colui che secondo imputazione avrebbe estratto illecitamente i materiali oggetto, come tali, di ricettazione (capo AI della rubrica) — è stato formato agli atti del Comune di San Luca il 5 maggio 2015, ed è quindi sopravvenuto, nei termini di cui all'art. 603, comma 2, cod. proc. pen., alla sentenza di primo grado, che è del 29 aprile 2014. Non si tratta quindi di prova ammessa nel presupposto della sua assoluta necessità («se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti», art. 603, comma 1, cod. proc. pen.), ma di una prova che, in quanto sopravvenuta, è soggetta in appello al trattamento che le sarebbe stato riservato in primo grado Ferma l'indicata precisazione, che attrae il trattamento della prova in appello a quello del primo grado («se le nuove prove sono sopravvenute ... dopo il giudizio di primo grado, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall'art. 495, comma 1» art. 603, comma 2, cit. cod. proc. pen.), vero è poi che il carattere decisivo di una prova, conseguendo ad un'attività che è di giudizio, non discende dalla mera ammissione della prima, non vigendo alcun automatismo tra ammissione e decisività. 11 travisamento, che del motivo costituisce oggetto. Il giudice del merito dopo avere ammesso il mezzo di prova, nel successivo momento deputato alla sua valutazione e finalizzato a dare contenuto e composizione al giudizio, può ben reputare la prova non decisiva ove l'omessa valutazione diviene essa stessa espressione dell'apprezzata mancanza di decisività della prima. Il motivo, incapace di condurre ad una critica concludente, risulta nel resto infondato, assorbita ogni ulteriore deduzione difensiva sul vizio di mancanza di motivazione. che toccano la stessa ammissibilità del proposto mezzo. Assolto l'imputato dal reato associativo sub capo A) della rubrica (416bis cod. pen.) e dichiarato estinto il reato sub capo AL) (furto), residua a carico del Varacalli la sola imputazione sub capo AI) per ricettazione e quindi per un reato, singolo. Viene meno, pertanto, quanto costituisce il presupposto applicativo della giurisprudenza di legittimità, richiamata in ricorso a sostegno dell'introdotto motivo, che fa divieto, pena la violazione del principio di reformatio in peius, al giudice di appello — chiamato a pronunciare su impugnativa del solo imputato dopo aver riqualificato in termini di minore gravità il fatto sul quale è commisurata la pena base — di applicare per i reati-satellite, già unificati in continuazione, un aumento di pena maggiore rispetto a quello praticato dal giudice della sentenza riformata. E' ostativa all'indicato aumento l'immutabilità della struttura del reato continuato nonostante la diversa qualificazione della violazione più grave (Sez. 2, n. 34387 del 06/05/2016, Savarese, Rv. 267853). La pena della ricettazione non potrà più identificarsi in una quota-parte, in aumento, della pena base ex art. 81, secondo comma, cod. pen., ma assume il ruolo di pena distinta, i cui criteri di commisurazione sono autonomi. Il ricorso del Varacalli e quello del Parlongo, il secondo solo sul punto infondato, vanno quindi rigettati ed il Varacalli, la cui posizione resta in tal modo definita, va condannato, per l'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. 5. All'intervenuta revoca da parte della Corte di appello di Reggio Calabria delle disposizioni civili nei confronti di Rocco Bruno Varacalli, assolto nel grado dalla contestazione associativa di cui all'art. 416-bis cod. pen., consegue il mancato riconoscimento alle parti civili, sull'indicato titolo 12 4.2. Il secondo motivo del ricorso Varacalli è infondato per contenuti costituitesi, delle spese processuali ancora in questa fase del giudizio reclamate. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Parlongo Bruno e Tetto Carmelo Gaetano limitatamente al reato associativo e rinvia per nuovo giudizio su tale capo ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Rigetta nel resto il ricorso del Parlongo. Rigetta il ricorso di Varacalli Rocco Bruno che condanna al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 03/10/2017 Il Consigliere estensore Laura Scalia Il Presidente Giacomd Paoloni e Calabria.

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