Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 54026 del 05/07/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 54026 Anno 2017
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI RONZA STEFANO nato il 12/03/1962

avverso il decreto del 07/06/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
sentita la relazione svolta dal Consigliere UGO DE CRESCIENZO;
lette/sentite le conclusioni del PG
ce1_
(7-

2

y

N

\

r

Data Udienza: 05/07/2017

RITENUTO IN FATTO

DI RONZA Stefano, tramite il difensore ricorre per Cassazione (Ex art. 10 comma
3 d.lgs 159/2011) avverso il decreto 7.6.2016 con il quale la Corte d’Appello di
Napoli in parziale riforma del provvedimento 8.7.2015 ha ridotto la misura di prevenzione della sorveglianza speciale ad anni uno e mesi sei.
La difesa richiede l’annullamento della decisione impugnata deducendo i seguenti
motivi così riassunti entro i limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

4 del d.lgs 159/2011, perché la Corte d’Appello ha rigettato la questione
relativa alla competenza per territorio. La difesa richiamando il principio
per il quale la competenza per territorio nella applicazione delle misure di
prevenzione antimafia va individuata nel luogo in cui il proposto ha tenuto
comportamenti sintomatici idonei far presumere la sua pericolosità, rileva
che i fatti sono stati realizzati nell’ambito del luogo di residenza.
2) Ex art. 606 comma 1 lett. b) cod, proc. pen. la violazione degli artt. 1, 4, 6,
7, 8 del d.lgs 159/2011. La difesa afferma che il provvedimento della Corte
d’Appello è erroneo in relazione all’accertamento della attualità della pericolosità sociale e che manca la motivazione in ordine ai motivi specificatamente dedotti con l’atto di impugnazione.
3) Ex art. 606 comma 1 lett. b) cod, proc. pen. la violazione degli artt. 1, 4, 6,
7, 8 del d.lgs 159/2011. La difesa afferma che il provvedimento della Corte
d’Appello è erroneo in relazione all’accertamento della attualità della pericolosità sociale e che la motivazione del decreto impugnato è apparente.

RITENUTO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. L’art. 5 del d.lvo 159/2011
non fissa un unico criterio per individuare la competenza territoriale dell’Autorità
giudiziaria titolata ad emettere il decreto applicativo della misura di prevenzione
speciale esclusivamente ancorata alla residenza del preposto, come intende sostenere la difesa, ma fissa due alternativi criteri, luogo di residenza e luogo di dimora, in via mediata indicando i soggetti pubblici titolati a formulare la proposta di
prevenzione. Sono all’uopo funzionalmente indicati come proponenti della misura:
il Questore, il Procuratore Nazionale Antimafia il Procuratore della Repubblica
presso il tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona da sottoporre
a misura di prevenzione. Il riferimento alla “dimora” (che dal tenore testuale della disposizione non deve necessariamente presentare il carattere della abitualità
indica una mera relazione di fatto tra la persona e il luogo che secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità è il luogo di manifestazione della pericolosità

1) Ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. la violazione dell’art. 5 comma

correlato alla sua attualità. La stessa giurisprudenza di legittimità ha affermato,
che nel caso in cui tali manifestazioni siano plurime e si verifichino in luoghi diversi, là dove le condotte di tipo qualificato appaiano di maggiore spessore e rilevanza [Cass. sez. Unite n. 33451 del 29.5.2104 in ced Cass. rv. 260245]. In consonanza al principio richiamato, la stessa giurisprudenza di legittimità ha ancora
affermato che Zn materia di misure di prevenzione, la competenza per territorio
nei procedimenti relativi a soggetti la cui pericolosità si fonda su indizi di appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso, va individuata con riferimento al luo-

to luogo di manifestazione della capacità di intimidazione del gruppo medesimo
[Cass sez. 1 n. 51076 del 4.4.2014 in Ced Cass. rv 261601 e nello stesso senso
Cass. sez. 1 n. 23407 del 24.3.2015 in Ced Cass. rv 263964; Cass. sez. 1 n.
45380 del 7.7.2015 in Ced Cass. rv. 265255]. Di fronte ad un’apparente dicotomia
tra “dimora” (concetto già richiamato dall’art. 4 I. 1423/1956 e ripreso dal vigente
articolo 5) e luogo ove si è manifestata la “pericolosità sociale”, va osservato che
la stessa giurisprudenza di legittimità ha da tempo ormai chiarito che
la competenza per territorio a decidere in materia di applicazione di misure di prevenzione spetta al tribunale del capoluogo della provincia nella quale il proposto
ha la sua dimora la quale, anche se non coincidente con la residenza anagrafica,
va individuata nel luogo in cui il proposto ha tenuto comportamenti sintomatici idonei a lasciar desumere la sua pericolosità, a nulla rilevando eventuali modificazioni intervenute successivamente alla proposta di applicazione della misura. Sulla
base del suddetto principio (pienamente condiviso da questo collegio) consegue
che la competenza (ex art. 5 d.lgs 159/2011) deve essere individuata con riferimento allo spazio geografico-ambientale in cui il soggetto manifesta i suoi comportamenti socialmente pericolosi, anche se tale luogo sia diverso da quello di dimora abituale [v. Cass. sez. 5 n. 19067 del 31.3.2010 in Ced Cass. rv. 247504;
Cass. sez. 1 n. 21009 del 24.1.2012 in Ced Cass. rv 252858; Cass. sez. 5 n. 9350
del 25.10.2012 in Ced Cass. rv 255204].
Se questi sono i consolidati punti di riferimento giurisprudenziali (né la difesa ne
ha individuati altri validamente confutando in diritto quanto affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità), va osservato che in punto competenza territoriale la Corte d’Appello si è ben attenuta all’indirizzo univoco dettato da questa
Suprema Corte, procedendo ad incrociare il dato dell’attualità della pericolosità sociale del proposto, con quello dello spessore e rilevanza delle condotte, criteri che
confluiscono (per il caso che qui interessa) nel circondario del Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere. Nella specie si tratta di accertamento di fatto che è stato oggetto di specifica ed articolata motivazione [v. ciao% 3 del decreto impugnato] da
parte della Corte d’Appello, sindacabile in questarsé non negli stretti limiti previsti

go ove si trova il centro organizzativo e decisionale del gruppo criminale, in quan-

dall’art. 10 d.lvo 159/2011, che limitano le censure alle sole violazioni di legge,
che nel caso di specie non si evidenziano.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile ex art. 581 comma 1 lett. c) cod.
proc. pen. conducente all’applicazione dell’art. 591 comma 1 lett. c) del codice di
rito. La difesa denuncia la violazione degli artt. 1, 4, 6, 7, 8 del d.lvo n. 159 del
2011, ma dalla lettura del ricorso [pag. 3-7] non denuncia el$ alcuna specifica erronea applicazione delle norme indicate: la difesa si limita ad illustrare circostanze
di fatto conducenti (a suo dire) ad una diversa soluzione giuridica, così ritenendo

corrente confrontandosi direttamente con le valutazioni degli elementi di fatto assunti dalla Corte territoriale a fondamento della decisione adottata, si limita ad illustrare inammissibili censure di merito o al più vizi della motivazione che per il
disposto dell’art. 10 del d.lvo 159/2011 non costituiscono valido motivo di doglian,,
za in sede di legittimità Va infatti ribadito che In tema di misure di prevenzione, la
riserva del sindacato di legittimità alla violazione di legge non consente di dedurre
il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc.
pen., sicché il controllo del provvedimento consiste solo nella verifica della rispondenza degli elementi esaminati (se necessario acquisiti ex officio dal giudice) ai
parametri legali, imposti per l’applicazione delle singole misure e vincolanti, in assenza della quale ricorre la violazione di legge sub specie
di motivazione apparente [v. ex multis: Cass. sez. 5 n. 19598 del 8.4.2010 in Ced
Cass. rv. 247514; Cass. sez. 6 n. 24272 del 15.1.2013 in Ced Cass. rv 256805].
Nel caso in esame la Corte territoriale ha puntualmente indicato gli elementi di
fatto dimostrativi di una appartenenza (da valutarsi – secondo il dettato di cui
all’art. 4 d.lvo 159/2011 — in modo differenziale dal similare, ma non sovrapponibile concetto di “partecipazione ad associazione” ex art. 416 bis cod. pen. v.
fra le altre ex multis Cass. sez. 6 n. 9747 del 21.1.2014 in Ced Cass. rv 259074)
del ricorrente al Clan dei Casalesi pressoché ventennale riferendo di plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni telefoniche dimostrative della detta appartenenza. Secondo la costante giurisprudenza in materia si afferma
che il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione, richiede una situazione di contiguità all’associazione stessa che risulti funzionale agli interessi della struttura criminale, nel
senso che il proposto deve offrire un “contribuito fattivo” alle attività ed allo sviluppo del sodalizio criminoso [Cass. sez. 6 n. 3941 del 21.1.2016 in Ced Cass. rv
266541]. Nel caso in esame la Corte territoriale, dando atto che il Tribunale del riesame con ordinanza 19.3.2013 ha ritenuto insussistenti i gravi indizi in merito alla partecipazione esterna del jdzrrente al clan dei casalesi, ha messo in rilievo
come il concetto di appartenenzanifestarsi in un “contributo fattivo alle attività
del sodalizio criminoso’? può essere desunta comunque dal contesto dei residui de-

di avere dimostrato una erronea applicazione della legge penale. Nella specie il ri-

littí di concorso in estorsione aggravata anche dall’art. 7 I. 203/1991 siccome finalizzata alla agevolazione del clan dei Casalesi.
La valutazione fatta dai giudici di merito e dalla Corte d’Appello in particolare è
corretta in diritto essendo state prese in considerazioni circostanze di fatto non
smentite dalle indagini effettuate nel parallelo procedimento penale. Di qui discende che la circostanza della revoca della misura cautelare disposta dal Tribunale del
riesame di Napoli in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., non vale ad
escludere una diversa valutazione del medesimo materiale probatorio, che se in-

giungimento di una certezza di responsabilità penale oltre ad ogni ragionevole
dubbio), può comunque essere ritenuto sufficiente ai fini dell’applicazione di una
misura di prevenzione. Va infatti qui confermato il principio per il quale nel procedimento di prevenzione il giudice è titolare di un autonomo potere di valutazione
degli elementi probatori e indiziari tratti dai procedimenti penali, che possono essere utilizzati nei confronti dei soggetti indicati nella lett. a) dell’art. 4 del D.Lgs. 6
settembre 2011, n. 159 anche qualora non siano stati ritenuti sufficienti ad integrare la prova della partecipazione ad associazione mafiosa, in ragione della diversità tra il concetto di “appartenenza” (evocato dalla disposizione citata) e quello di
“partecipazione”, necessaria ai fini di integrare il reato di cui all’art. 416 bis cod.
pen.; non di meno, qualora vi sia stata condanna nel procedimento penale, il giudice della prevenzione potrà riferirsi ad essa come ad un “fatto” solo se passata in
giudicato, mentre, qualora non sia definitiva, egli non potrà limitarsi a richiamare
la sentenza, dovendo confrontarsi “autonomamente” con gli elementi probatori per
verificare la sussistenza dei presupposti che legittimano l’applicazione della misura. [Cass. sez. 5 n. 1831 del 17.12.2015 in Ced Cass. rv 265862]. Nel caso in esame la Corte territoriale ha indicato in modo specifico e puntuale i fatti probatori
ritenuti fondanti la misura di prevenzione adottata e li ha analizzati in dettaglio in
modo autonomo.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La difesa evoca il vizio della
motivazione apparente conducente alla nullità di cui all’art. 125 cod. proc. pen.,
validamente denunciabile in questa sede trattandosi di violazione di legge trattandosi di fattispecie che esula dall’ipotesi di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.
proc. pen., per essere ricompresa in quella di cui alla lettera c) del primo comma
della citata disposizione.
Dalla semplice lettura del decreto impugnato si evince l’infondatezza manifesta
della doglianza difensiva. La motivazione del provvedimento è puntuale, articolata,
rispondente alle censure mosse con l’atto di impugnazione, con la conseguenza
che non è violato l’art. 125 cod. proc. pen.
In punto attualità della pericolosità sociale del prevenuto, va in primo luogo osservato che essa deve essere apprezzata in relazione al momento di proposizione del-

sufficiente a condurretcl una condanna penale (siccome ritenuto inidoneo al rag-

la richiesta da parte dell’autorità competente titolata alla proposta. In secondo
luogo, l’apprezzamento dell’indice di attualità della pericolosità va relazionata non
in base ad un mero dato cronologico, ma ad un apprezzamento concreto che va
riferito all’intensità, al modo e alla durata della manifestazione della condotta che
costituisce indice della pericolosità.
Nella specie la Corte d’Appello ha puntualmente assolto al proprio onere di accertamento &motivazione; infatti i giudici dell’Appello hanno preso in considerazione
il tipo di associazione di stampo mafioso con la quale il DI RONZA ha intrattenuto

quindi un’organizzazione che ha una tradizione storica con forte radicazione sul
territorio; in secondo luogo la Corte d’Appello, sulla scorta di univoche e convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia ha collocato la collaborazione del DI
RONZA con il suddetto clan per un periodo di tempo che va dai primi anni ’90 fino
al 2010. Si tratta di un più che apprezzabile lasso di tempo che ben può costituire
base per una valutazione di legame particolarmente intenso, e idoneo a provare
l’estremo dell’appartenenza ad associazione di cui all’art. 416 bis cod. pen., secondo il dettato del primo comma dell’art. 4 d.lgs. 158/2011. Avendo la Corte
d’Appello adeguatamente dimostrato l’appartenenza del DI RONZA al “Clan dei
Casalesi”, in assenza di elementi di prova che facciano ragionevolmente desumere
che essa sia venuta meno sulla base di fatti specifici (dissoluzione del clan criminale, dissociazione individuale dallo stesso dimostrate da specifiche condotte quale
la collaborazione, interruzione per apprezzabile lasso di tempo di qualsivoglia contatto con la associazione o con soggetti a quest’ultima legati), appare corretta,
perché rispettosa della più recente giurisprudenza, la valutazione della Corte territoriale nel ritenere attuale la pericolosità sociale del proposto sull’assunto che
ancora attuale sia il suo legame con l’associazione di stampo mafioso [v. Cass.
sez. 2 n. 18765 del 31.1.12017 in Ced Cass. rv. 269742; Cass. sez. 5 n. 1831 del
17.12.2015 in Ced Cass. rv 265863; Cass. sez. 2 n. 8106 del 21.1.2016 in Ced
Cass. rv 266155; Cass. sez. 5 n. 51735 del 12.1.2016 in Ced Cass. rv 268849;
Cass. sez. 6 n. 51666 dell’11.11.2016 in Ced Cass. rv. 268087; dovendosi ritenere sostanzialmente isolate e di assoluta minoranza: Cass. sez. 5 n. 31881 del
5.6.2002 in Ced Cass. rv 223010 e Cass. sez. 1 n. 44327 del 18.7.2013 in Ced
Cass. rv 257637 che escludono la possibilità di giudizi fondati su automatismi che
non diano dimostrazione concreta ed attuale della pericolosità]. Nel caso in esame
la Corte territoriale ha condotto un accertamento sulla pericolosità sociale del DI
RONZA sulla base di tre indicatori fondamentali costituiti: dal livello di coinvolgimento del proposto nella pregressa attività del gruppo criminale (durata pressochè
ventennale), dalla tendenza del gruppo di riferimento a mantenere intatta la sua
capacità operativa (nella specie si tratta del Clan dei Casalesi), nonché la assenza
da parte del proposto di comportamenti denotanti l’abbandono di logiche criminali

stabili contatti, mettendo in evidenza che si è trattato del “Clan dei Casalesi”,

in precedenza condivise [Cass. sez. 2 n. 821 del 31.1.12017 in Ced Cass. rv.
269555]. Di qui appare adeguatamente motivato, sì da escludere ogni apparenza
ex art. 125 cod. proc. pen., il giudizio di perdurante appartenenza con conseguente attualità della pericolosità sociale del prevenuto al momento della proposizione
della richiesta.
In data 10.3.2017 la difesa del ricorrente ha depositato motivi nuovi che non possono essere presi in considerazione nella presente sede. La difesa richiama a conforto della propria tesi: 1) il provvedimento di archiviazione con il quale il giudice

archiviazione della posizione del DI RONZA per la violazione dell’art. 416 bis cod.
pen.; 2) il provvedimento di assoluzione del sign. GARZILLO Nicola (accusato di
concorso in estorsione con il DI RONZA pronunciata) pronunciato dal Giudice delle
indagini preliminari del Tribunale di Massa.
Si tratta di provvedimenti emessi successivamente alla pronuncia impugnata in
questa sede, sicché quanto contenuto nella memoria della difesa, correlato al suddetti provvedimenti si traduce in censure sul merito valutativo del provvedimento
impugnato che non possono essere prese in considerazione in questa sede, implicando comunque valutazioni ed accertamenti di merito inerenti ad accadimenti e
valutazioni processuali successive alla pronuncia impugnata.
Per le suddette ragioni rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma)il 5.7.2017

Il giudice e

-)
s ore

Dr. Ugoscienzo

delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 30.9.2016 ha disposto la

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA