Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 54025 del 26/10/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 54025 Anno 2017
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CISSE TALLA nato il 29/07/1968

avverso la sentenza del 24/02/2016 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FULVIO BALDI
che ha concluso per l’inammissibilita’

Data Udienza: 26/10/2017

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte di appello di Catania in parziale riforma della sentenza di primo grado
confermava la condanna per il reato di cui all’art. 648 cod. pen e riconosciuta
l’attenuante della lieve entità del fatto condanna lo stesso alla pena di un mese
di reclusione.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore

dell’imputato che deduceva:
2.1. vizio di legge e di motivazione in relazione alla mancata concessione
dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen.; si deduceva altresì l’assenza
di motivazione in ordine alla richiesta di conversione della pena detentiva in
quella pecuniaria.
Entrambe le doglianze sono manifestamente infondate.
Con apprezzamento di merito, non censurabile in questa sede in assenza della
rilevazione di vizi logici decisivi o di incoerenza della valutazione con le
emergenze processuali, la Corte di merito riteneva che l’elevato numero di capi
contraffatti rinvenuti nella disponibilità dell’imputato fosse incompatibile con la
concessione dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen.
Quanto alla dedotta omessa motivazione in ordine alla conversione della pena
detentiva in pena pecuniaria il collegio ribadisce che ai fini della sostituzione
della pena detentiva con pena pecuniaria il giudice ricorre ai criteri previsti
dall’art. 133 cod. pen.; tuttavia, ciò non implica che egli debba prendere in
esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua
discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in
proposito, quali l’inefficacia della sanzione (Cass. sez. 5, n. 10941 del
26/01/2011, Orabona, Rv. 249717; Cass. sez. 2, n. 28707 del 03/04/2013 -, Di
Pasquale, Rv. 256725).
Pertanto, in coerenza con tali indicazione la Corte di appello nell’escludere ogni
ulteriore beneficio rispetto a quello concesso (pag. 6 della sentenza impugnata),
evidenziava di avere implicitamente apprezzato tutti i parametri previsti dall’art.
133 cod. pen., anche ai fini del diniego della invocata conversione.
In materia di oneri motivazionali il collegio ribadisce che non è censurabile una
sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il
gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della
sentenza complessivamente considerata (Cass. sez. 1, n. 27825 del
22/05/2013 Rv. 256340). Pertanto il giudice non è tenuto a prendere in
considerazione ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente che
2

2.

egli indichi le ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver
tenuto presente ogni fatto decisivo (Cass. Sez. 5, sent. n. 7588 del 06/05/1999,
dep. 11/06/1999, Rv. 213630).
2.2. Vizio di motivazione in relazione all’accertamento di responsabilità: questo
si sarebbe fondato esclusivamente sulla valutazione effettuata dagli operanti
senza l’effettuazione di alcuna perizia.
Anche tale motivo è manifestamente infondato.
La censura si risolve non nella rilevazione di un vizio logico decisivo del percorso

difetto, tuttavia, non emerge dal compendio integrato composto dalle due
sentenze conformi di merito, che invece afferma con nettezza, facendo
riferimento alla deposizione del verbalizzante ed agli elementi prova ricavabili dal
sequestro, che i beni detenuti erano idonei ad ingannare il pubblico sulla loro
,
originalità (pag. 5 della sentenza impugnata e secondo foglio della senza di
primo grado). Tale valutazione rientra, peraltro, tra gli apprezzamenti di merito
non revisionabili in sede di legittimità, ove esposti in modo logico e coerente con
le emergenze processuali.

3.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che si determina equitativamente in € 1500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1500.00 a favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 26 ottobre 2017

Sentenza a motivazione semplificata.

motivazionale, ma nella evocazione di una presunta carenza probatoria. Tale

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