Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 54023 del 12/09/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 54023 Anno 2017
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DICUONZO GIUSEPPE N. IL 21/05/1970
avverso la sentenza n. 2807/2015 CORTE APPELLO di TORINO, del
13/07/2016
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/09/2017 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
‘;e2
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 12/09/2017

RITENUTO IN FATTO

DICUONZO Giuseppe, tramite il difensore ricorre per Cassazione avverso la sentenza 13.7.2016 con la quale la Corte d’Appello di Torino, a seguito di giudizio abbreviato, lo ha condannato alla pena di anni tre, mesi due di reclusione ed C
900,00 di multa per la violazione dell’art. 628 commi 1 e 3 nn. 1 e 3 bis cod. pen.
La difesa chiede l’annullamento della decisione impugnata deducendo i seguenti
motivi così riassunti entro i limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

605, 361 e 213 cod. proc. pen. La difesa sostiene la nullità della sentenza perché
in essa viene fatto reiteratamente riferimento alla prova della “ricognizione”, mentre nella specie si sarebbe trattato di una semplice atto di “individuazione fotografica” compiuto dalle persone offese, peraltro irregolarmente svolto, posto che la
persona da riconoscere non sarebbe mai stata indicata o descritta.
La difesa sostiene che le descrizioni delle caratteristiche fisiche dell’aggressore,
rese dalle persone offese, sarebbero fra loro discordanti e che i riconoscimenti sarebbero stati operati in loco e non in caserma e da parte di militari dell’Arma dei
Carabinieri non competenti per territorio.
2) ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., violazione dell’art. 628 comma 3
n. 3 bis cod. pen., perché sarebbe stata ritenuta sussistente l’aggravante suddetta, quando il fatto risulta essere stato commesso in un luogo pubblico (ristorante)
e non già in una privata dimora.

RITENUTO IN DIRITTO

Va premesso che le due decisioni di merito sono consultabili congiuntamente in
questa sede alla luce del noto principio per il quale quando la sentenza appellata e
quella di appello, non divergono sui punti denunciati, esse si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logicogiuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della
motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le
eventuali carenze di quella di appello (Cass. Sez. 5, n. 14022 del 12.1.2016, in
Ced Cass. Rv. 26661701), dovendo il giudice di appello soltanto rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate dall’appellante (Cass. Sez. 6, n.
28411 del 13.11.2012, in Ced Cass. Rv. 25643501). In questo caso, dunque, il
controllo del giudice di legittimità si limiterà alla verifica della congruità e logicità
delle risposte fornite alle predette doglianze.
Ciò posto, va osservato che entrambe le decisioni rendono evidente come la prova
utilizzata per l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato si fondi sulle
dichiarazioni testimoniali delle persone offese che hanno riconosciuto in fotografia
l’autore dell’illecito. La Corte d’Appello ha riportato il contenuto delle dichiarazioni

§1.) Ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., violazione degli artt. 533,

rese dai testimoni nel corso delle indagini preliminari ed utilizzabili in sede di giudizio stante il rito processuale adottato. La Corte d’Appello ha sviluppato
un’accurata analisi critica valutativa delle dichiarazioni testimoniali pervenendo alla conclusione della piena attendibilità e convergenza delle dichiarazioni delle persone offese. La motivazione è adeguata e non presenta vizi che neppure sono stati
denunciati dalla difesa. Del tutto insussistenti sono le censure di violazione di
norme di legge.
Il secondo motivo di ricorso è fondato e va accolto alla luce del principio contenuto
nella sentenza n. 31345 del 23.3.2017 con la quale le Sezioni Unite di questa Corgurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di
privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente
atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza
il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale. (Nella specie la Corte ha escluso l’ipotesi prevista dall’art. 624 bis cod. pen.
in relazione ad un furto commesso all’interno di un ristorante in orario di chiusura). Nel caso in esame si deve mettere in evidenza che la rapina è stata commessa in ristorante durante l’orario di apertura, con la conseguenza che la circostanza
aggravante doveva ritenersi esclusa in radice. In tal senso va pertanto corretta la
decisione di appello escludendo, la circostanza aggravante di cui all’art. 628 comma 3 n. 3 bis.
Si ritiene per l’effetto di procedere direttamente alla correzione della pena detentiva inflitta ex art. 620 cod. proc. pen., siccome del tutto evidente il criterio di
quantificazione del trattamento sanzionatorio stabilito dai giudici di merito, i quali
hanno ritenuto tb–Tit~ con motivazione adeguata e non contestata in questa
sede, le circostanze attenuanti equivalenti alle riconosciute circostante aggravanti
(uso di un’arma e recidiva). Di qui discende che, esclusa la aggravante di cui
all’art. 628 comma 3 n. 3 bis cod. autonomamente considerabile nel giudizio di
bilanciamento ex art. 628 comma IV cod. pen., la pena minima irrogabile è di anni
tre di reclusione ed C 516,00 di multa.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 3 n. 3 bis cod. pen., che elimina e ridetermina la
pena in anni tre di reclusione ex C 516 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il
ricorso.

Così deciso in Roma il 12.9.2017

te, componendo un precedente contrasto, hanno affermato che ai fini della confi-

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