Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 54010 del 12/10/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 54010 Anno 2017
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GALLO PIETRO nato il 18/10/1968 a GIOIA TAURO

avverso l’ordinanza del 17/03/2017 del TRIB. LIBERTA di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA FIDANZIA;
lette/sentite le conclusioni del PG MARIO MARIA STEFANO PINELLI
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
Udito il difensore
L’avvocato SANTAMBROGIO MARIO del foro di PALMI chiede accogliersi il ricorso

Data Udienza: 12/10/2017

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 17 marzo 2017 il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha
confermato l’ordinanza del 15 febbraio 2017 con cui il G.I.P. presso lo stesso Tribunale ha
applicato a Gallo Pietro la misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art.
416 bis c.p..
Il ricorrente è indagato per aver svolto compiti di direzione e capo della cosca Piromani
dell’organizzazione di stampo mafioso ‘ndrangheta, e per aver, in particolare, partecipato a

2. Con atto sottoscritto dal proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione Gallo
Pietro, affidandolo ad un unico articolato motivo.
Il ricorrente ha dedotto l’erroneo accertamento dei gravi indizi ed elusione delle note
difensive, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis
c.p..
Contesta il ricorrente sia la gravità degli indizi emersi a suo carico in ordine al suo
inserimento nel contesto associativo, sia di essere il “Pierone” di cui parlavano il dialoganti
nelle intercettazioni ambientali riportate nell’ordinanza impugnata, atteso che il proprio
suocero non era mai stato arrestato.
Lo stesso era stato coinvolto nella vicenda del tentato omicidio Saverino allo scopo di
pacificare i due giovani in lite solo perché Saverino Vincenzo era un suo parente e perché il
cognato del ricorrente, Modafferi Francesco, suocero del Saverino, era impossibilitato perché
agli arresti domiciliari.
Assume, inoltre, il ricorrente che il propalato dei due collaboratori non è idoneo a provare il
suo inserimento nella consorteria criminale, in considerazione della sua genericità, difettando,
peraltro, di elementi di riscontro.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1

II ricorso è inammissibile.
L’indagato, nel lamentare che a sostegno della tesi accusatoria vi sarebbero solo le

dichiarazioni scarne, generiche e non riscontrate dei collaboratori di giustizia, non si è fatto
carico di indicare i passaggi motivazionali del provvedimento impugnato che sarebbero
eventualmente affetti da manifesta illogicità (vedi sul punto Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011,
Siciliano, Rv. 251760), risolvendosi così le sue doglianze, per lo più generiche , in censure di
mero fatto, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio
esaminato dai giudici di merito, al solo scopo di contestare (inammissibilmente) la gravità degli
indizi a suo carico.
Il ricorrente, peraltro, solo in sede di legittimità ha censurato che l’ordinanza impugnata
non avrebbe seguito i parametri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte per valutare la
2

vere e proprie riunioni finalizzate a risolvere controversie sorte in seno al sodalizio mafioso.

credibilità dei collaboratori di giustizia, con conseguente inammissibilità, a norma dell’art. 606
comma 3 0 c.p.p., di tali specifiche doglianze.
Manifestamente infondate e inammissibili sono, inoltre, le doglianze già svolte nei motivi
di riesame, secondo cui non sarebbe lui il “Pierone” indicato nelle intercettazioni ambientali e
che il suo eventuale intervento si collocherebbe comunque in un mero ambito familiare,
personale ed affettivo, del tutto sganciato dalle finalità e programmi del sodalizio mafioso.
In ordine alla prima doglianza, va osservato che il Tribunale del Riesame ha riportato a

suocero di Pierone, non specifica affatto che l’hanno arrestato, bensì proprio il contrario (“Non
l’hanno arrestato con..”).
In ordine alla seconda censura, il prevenuto non si è minimamente confrontato con quanto
evidenziato dall’ordinanza impugnata, ovvero che il Gallo, nel convocare la riunione volta a
riappacificare i contendenti, entrambi inseriti nel tessuto criminale mafioso, ha preteso la
presenza di autorevoli esponenti del clan — pacificamente non legati da rapporti di parentela o
affinità neppure lontana con contraddittori — quali Mazzaferro Girolamo cl. 35 ed Alvaro
Carmine cl. 68 – davanti ai quali ha preso a schiaffi i due soggetti in lite, ha imposto loro la
chiusura della disputa, invitandoli per il futuro a rivolgersi a lui per qualsiasi altra questione
fosse sorta tra di loro.
E’ evidente che, anche a prescindere dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la
condotta di convocare e presiedere una riunione diretta a comporre dissidi tra affiliati al clan,
anche alla presenza di autorevoli esponenti mafiosi, non può non essere considerata come
elemento significativo di appartenenza all’associazione criminale con compiti direttivi e di
vertice.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende,
che si stima equo stabilire nella misura di 2.000,00 Euro.
La cancelleria dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 comma 10 ter c.p.p.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 94 1^ comma disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2017
Il consigliere e

sore

Il Presidente

pag. 24 l’estratto della conversazione intercettata nella quale quando Mazzaferro parla del

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