Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 54007 del 03/10/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 54007 Anno 2017
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: BRANCACCIO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARSICO WALTER GIANLUCA nato il 24/08/1967 a BELVEDERE MARITTIMO

avverso la sentenza del 20/04/2016 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;

sentite le conclusioni del PG FELICETTA MARINELLI che ha concluso per il rigetto
Udito per il ricorrente il difensore di fiducia presente, avv. Badolato, che insiste
per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 03/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Questa Corte, con sentenza del 20 aprile 2016, rigettava il ricorso proposto, tra gli
altri, da Marsico Walter Gianluca avverso la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di
Catanzaro del 25/9/2014.
2. Avverso tale sentenza Marsico Walter Gianluca, tramite i propri difensori, propone
ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., lamentando errore di fatto, per

Marchio Vittorio.
Si evidenziano alcuni errori percettivi in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata.
a) Le date, individuate come quelle dei pedinamenti prodromici all’omicidio effettuati
nei confronti della vittima, renderebbero impossibile per il Marsico averli delegati,
poiché in quel periodo era detenuto.
b) L’erronea dichiarazione di inammissibilità, per tardività della richiesta, pronunciata
nei riguardi dell’istanza di acquisizione della documentazione relativa alla revoca del
programma di protezione per il collaboratore Amodio Francesco, avrebbe privato la
Corte di un documento fondamentale, da cui emerge l’inattendibilità dello stesso
collaboratore di giustizia, sulle cui dichiarazioni si fonda la prova del concorso morale
del Marsico nel citato omicidio.
c) L’errore sulla genuinità delle dichiarazioni di Colosso Angelo, altro collaboratore di
giustizia il cui narrato è stato utilizzato a fini di prova, è rilevante ai fini della sua
attendibilità e deriverebbe dall’aver la Corte ignorato il fatto che costui, indagato e
sottoposto a custodia cautelare per l’omicidio Marchio – misura poi annullata in sede di
riesame – aveva avuto conoscenza, ben prima della sua collaborazione, degli atti del
procedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.

3.1. In via preliminare ritiene il Collegio di dovere chiarire quale sia, sulla base della
giurisprudenza di questa Corte, la nozione di errore di fatto che legittima l’accesso al
rimedio del ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen.: un errore percettivo
causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella
lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul
processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze
processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata
adottata senza di esso (Sez. U. n. 16103 del 27/3/2002, Basile, Rv. 221280).

2

essersi affermata la responsabilità dello stesso Marsico nel reato di omicidio ai danni di

Le Sezioni Unite hanno, altresì, precisato che, qualora la causa dell’errore non sia
identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione
abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di
giudizio. Inoltre, sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di
interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta
esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se
dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi

risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni
ordinarie; l’operatività del ricorso straordinario attiene all’errore percettivo che cada su
qualsiasi dato fattuale.
Le Sezioni Unite sono nuovamente intervenute sul tema in anni più recenti, affermando
che, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata
rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è
configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del
rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 37505 del 14/7/2011,
Corsini, Rv. 250527; Sez. U, n. 18651 del 26/3/2015, Moroni, Rv. 263686).
La giurisprudenza coeva e successiva delle Sezioni semplici di questa Corte,
richiamandosi a tali principi, ne ha affinato la declinazione, affermando espressamente,
da un lato, che, in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, l’errore che può
essere rilevato è solo quello decisivo, che abbia condotto ad una pronunzia diversa da
quella che sarebbe stata adottata se esso non si fosse verificato (Sez. 6 n. 14296 del
20/3/2014, Apicella, Rv. 259503; Sez. 2, n. 41782 del 30/9/2015, Cofano, Rv.
265248; Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Macrì, Rv. 268982); dall’altro, che il ricorso
straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. non è ammissibile quando viene dedotto
un erroneo vaglio delibativo di aspetti del compendio storico-fattuale, essendo in tal
caso prospettato un errore non di fatto, bensì di giudizio (Sez. 6, n. 37243 del
11/7/2014, Diana, Rv. 260817.

3.2. Fatta questa premessa in ordine ai presupposti di ammissibilità del ricorso
straordinario proposto, occorre verificare se, nel caso di specie, il ricorso proposto al
Collegio ex art. 625-bis cod. proc. pen. non incorra in uno degli stringenti limiti di
ammissibilità che segnalano, appunto, il carattere di straordinarietà del rimedio.
Ebbene, il contenuto ultimo delle ragioni addotte dal ricorrente, pur traendo spunto
dalla critica di alcuni aspetti fattuali esaminati dalla motivazione della decisione
impugnata, esorbita dal limite della mera prospettazione di erroneità della percezione
fattuale e chiama in causa le valutazioni che intorno a tale percezione la sentenza
svolge.

3

in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se

Ciò rende inevitabilmente afflitto da inammissibilità il ricorso proposto, non potendosi
consentire che, mediante il rimedio del ricorso straordinario per errore di fatto, la
rivedibilità della decisione si estenda ai suoi contenuti valutativi.
Inoltre, nessuna delle tre ragioni di critica mosse alla sentenza della Corte di
cassazione riveste carattere decisivo ai fini della decisione.
La prima critica, attinente ad un particolare della ricostruzione del contributo causale
preparatorio al delitto da parte del Marsico, involge un aspetto che non è dato rinvenire

in cui era ancora detenuto, commissionato i pedinamenti alla vittima svolti da Marincolo
– elemento denunciato come incongruente rispetto al percorso argomentativo della
Corte di cassazione – non si ricava, infatti, dalla motivazione, la quale si limita a
ricostruire la vicenda secondo le dichiarazioni dei collaboratori ed i controlli veri e propri
svolti dalla polizia giudiziaria, puntualmente riportati dal provvedimento impugnato.
La seconda critica attiene ad un particolare nient’affatto decisivo e del tutto
indimostrato nelle sue ricadute in termini di erroneità del convincimento dei giudici di
legittimità: la revoca del programma di protezione nei riguardi del collaboratore di
giustizia Amodio non si comprende in che modo possa influire sulle ragioni di
attendibilità delle sue dichiarazioni, ampiamente motivate nella sentenza impugnata e,
peraltro, oggetto di riscontri, tanto più che talune incongruenze nel racconto
dell’omicidio di cui è accusato Marsico non sarebbero influenti sul complessivo valore
ricostruttivo delle sue dichiarazioni; né risulta specificato dalla difesa l’ambito di
inattendibilità del dichiarante, limitandosi il ricorso alla generica critica della sua
credibilità.
Il terzo motivo di ricorso straordinario riguarda la presunta erroneità del convincimento
di genuinità delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Colosso, che sarebbe stato
a conoscenza dei particolari del delitto per essere stato raggiunto da misura cautelare
in relazione all’omicidio di Marchio già molto prima della sua collaborazione.
Ebbene, la motivazione della sentenza dà atto di una serie di passaggi logici dai quali la
Corte di cassazione deduce la correttezza della motivazione di attendibilità svolta dai
giudici di merito con riferimento alle dichiarazioni di Colosso (rapporto amicale con
Marsico, complicità nel reato, ricchezza di particolari inediti nel racconto, riscontro nelle
dichiarazioni di Amodio), sicchè risulta del tutto ininfluente il riferimento operato in
motivazione al suo non essere indagato al momento delle dichiarazioni.
Inoltre, appare evidente che in sede di motivi di appello non era stata svolta la
specifica obiezione circa la qualità di indagato, ma soltanto – e di questo la Corte dà
atto – quella sulla non genuinità delle sue dichiarazioni, apprese da altri collaboratori le
cui dichiarazioni aveva letto.

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nel contenuto della sentenza: la deduzione circa il fatto che Marsico avrebbe, nei giorni

4. Dall’analisi di ciascuno dei motivi di ricorso proposti risulta evidente come, nel caso
di specie, l’impugnazione straordinaria ex art. 625-bis cod. proc. pen. sia destinata
inevitabilmente ad un esito di inammissibilità, poiché con essa viene dedotto, in
sostanza, un erroneo vaglio delibativo di aspetti del compendio storico-fattuale, che si
traduce in un errore non già di fatto, bensì di giudizio, escluso dall’orizzonte del
rimedio.
Tanto più che appare evidente come le circostanze di fatto evidenziate dal ricorrente

cui la sentenza di legittimità sarebbe incorsa derivano – secondo molta parte della
stessa prospettazione difensiva ed all’esito della analisi motivazionale sin qui compiuta
– da una valutazione giuridica relativa a tali circostanze, inidonea a rappresentare
l’ambito di operatività del rimedio: ex multis, Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Macrì,
Rv. 268981 e Sez. 6, n. 46065 del 17/9/2014, Marrelli, Rv. 260819, che esprimono un
principio da ribadire in questa sede, in relazione alla fattispecie decisa).

5. Dalla inammissibilità del ricorso deriva, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma indicata in
dispositivo in favore della cassa della ammende, essendo imputabile a sua colpa la
determinazione della causa di inammissibilità (v. Corte cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di euro 2000 a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 3 ottobre 2017.

siano state correttamente percepite dalla Corte di cassazione, mentre i pretesi errori in

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