Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 54005 del 03/11/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 54005 Anno 2017
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: RICCARDI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARTINO LUIGI nato il 01/01/1975 a CROTONE

avverso la sentenza del 24/02/2016 della CORTE APPELLO di CATANZARO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Ferdinando Lignola, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio
limitatamente al reato di cui al capo D;
udito il difensore, Avv. Gennaro Ausíello, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 24/02/2016 la Corte di Appello di Catanzaro ha
confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Crotone, che aveva condannato
Martino Luigi per i reati di tentata violenza privata ai danni di Martino Francesco

Data Udienza: 03/11/2017

(capo B), minaccia grave e lesioni personali ai danni di Petrozza Rosina e Martino
Maria (capi C e D), per avere cercato di costringere il primo a rimettere la
querela nei confronti del padre Martino Salvatore, e per avere minacciato le altre
di un danno ingiusto, provocando crisi ipertensive.

2. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione Martino Luigi, deducendo i
seguenti motivi di ricorso.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di

adeguatamente sull’inattendibilità delle persone offese e sulle contraddizioni, e
che l’assoluzione dal reato di porto di arma avrebbe dovuto condurre
all’assoluzione anche dai reati di minaccia e lesioni, che sarebbero stati
commessi con le armi; in ordine alle lesioni, la crisi ipertensiva sarebbe dipesa
solo dall’agitazione del momento, senza alcuna compromíssione significativa
delle funzioni dell’organismo.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 133 cod.
pen.: la valutazione di congruità della pena è priva di motivazione, e non
considera lo stato di incensuratezza dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Le censure proposte dai ricorrente con il primo motivo sono
inammissibili, risolvendosi in doglianze non consentite dalla legge in sede di
legittimità, poiché aventi ad oggetto, in realtà, non già la motivazione, in quanto
mancante, contraddittoria o illogica, bensì la

valutazione probatoria

(Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del
30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina,
Rv. 214794). Il controllo di legittimità, infatti, concerne il rapporto tra
motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicchè il
ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato
ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della

motivazione posta a

fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria
sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro
cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.
Al contrario, le censure proposte concernono la ritenuta erroneità e/o
parzialità della valutazione probatoria formulata dal giudice di merito, e
prospettano una lettura alternativa del compendio probatorio, sollecitando una
non consentita rivalutazione del merito.

2

attendibilità delle persone offese: deduce che la Corte non abbia motivato

Oltre a sollecitare una inammissibile rivalutazione del compendio probatorio,
non consentita in sede di legittimità, la doglianza proposta prescinde del tutto
dal principio pacifico secondo cui le dichiarazioni della persona offesa – cui non si
applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. – possono
essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a
quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e

24/09/2015 27/10/2015, Manzini, Rv. 265104; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014,
dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730).
Al riguardo, la sentenza impugnata ha congruamente motivato in ordine alla
valutazione positiva di attendibilità e credibilità delle persone offese, richiamando
non soltanto le dichiarazioni rese dalle stesse, ma altresì il riscontro emerso dai
referti medici attestanti la crisi ipertensiva provocata nelle due donne dalla
minaccia con la pistola; quanto alla valutazione delle dichiarazioni, inoltre, con
apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile
in sede di legittimità, la sentenza impugnata le ha ritenute attendibili,
reciprocamente riscontrate, e non compromesse da marginali contraddizioni
concernenti la precisa ubicazione delle vittime all’interno dell’abitazione nel corso
dell’irruzione.
L’assoluzione dai reati di detenzione e porto di arma da fuoco – motivata
sulla base del mancato rinvenimento della pistola – non incide sulla prova dei
reati di tentata violenza privata, minaccia grave e lesioni personali, atteso che
l’affermazione di responsabilità è stata fondata, come già evidenziato, sulle
dichiarazioni convergenti delle persone offese e sul riscontro fornito dai certificati
medici.
Quanto alla contestazione dell’entità della malattia, premesso che la nozione
di “malattia” nella fattispecie di lesioni personali non comprende tutte le
alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensì solo quelle
alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo
patologico ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non
definitiva, ma comunque significativa (Sez. 5, n. 40428 del 11/06/2009,
Lazzarino, Rv. 245378, in una fattispecie relativa a cefalea post-traumatica), la
sentenza impugnata, con apprezzamento di fatto insindacabile, ha affermato che
la crisi ipertensiva diagnosticata alle due persone offese aveva comportato una
significativa e pericolosa alterazione delle funzioni organiche, come desumibile
dall’accertata frequenza delle pulsazioni (90 battiti al minuto) e dalla prognosi di
recupero (5 giorni).

3

dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (ex multis, Sez. 2, n. 43278 del

1.2. Il secondo motivo, concernente il trattamento sanzionatorio ed il
diniego delle attenuanti generiche, è manifestamente infondato, in quanto, a
prescindere dal rilievo che la pena inflitta è stata determinata in prossimità del
minimo edittale (1 anno di reclusione), previo riconoscimento delle attenuanti
generiche, di un modesto aumento per la continuazione e della diminuente per il
rito prescelto, è pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli
aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per

pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione,
miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione
non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da
sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014,
Ferrario, Rv. 259142).
Peraltro, nel rammentare che, nel caso in cui venga irrogata una pena
prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua,
talchè è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale
sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 28852 del
08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464), e che, nel caso in cui venga irrogata una
pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata
motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di
adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133
cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283), va
evidenziato che la Corte territoriale ha motivato, seppur succintamente, la
determinazione della pena, con apprezzamento di fatto immune da illogicità, e
dunque incensurabile in sede di legittimità, richiamando, quali indici fattuali, la
concreta gravità dei fatti accertati e la personalità violenta manifestata
dall’imputato, che aveva addirittura puntato la pistola contro le due persone
offese, non riuscendo ad esplodere colpi a causa dell’inceppamento dell’arma.

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al
pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro
in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in
Euro 2.000,00: infatti, l’art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause
di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della
sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di
inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi
di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen. .

4

fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma il 03/11/2017

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