Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 54002 del 03/11/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 54002 Anno 2017
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: RICCARDI GIUSEPPE

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
MARASHI KRISTIAN nato il 11/11/1989 a LAC( ALBANIA)
MARKU YLLI nato il 02/08/1986 a LEZHE( ALBANIA)

avverso la sentenza del 16/06/2015 della CORTE APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Ferdinando Lignola, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio in
relazione al capo A limitatamente al trattamento sanzionatorio, e
l’inammissibilità nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 16/06/2016 la Corte di Appello di Milano ha
confermato la sentenza del Tribunale di Varese, che aveva condannato Bushaj
Eduard, Marashi Kristian, Marku Ylli e Sula Genti per il reato di lesioni aggravate

Data Udienza: 03/11/2017

(così riqualificata l’originaria contestazione di rissa) ai danni dei detenuti Abdul
Paki Thamir e Marino Jonathan (capo A) e il solo Marashi Kristian per il reato di
minaccia ai danni dell’assistente della Polizia Penitenziaria Marini Giancarlo (capo
B), escludendo, in parziale riforma, l’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen. .

2. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di Marashi
Kristian e Marku Ylli, deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata

dei futili motivi, la Corte territoriale non abbia provveduto alla corrispondente
diminuzione della pena inflitta, né ad un rinnovato giudizio di bilanciamento tra
circostanze.
2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 62 n. 2 cod. pen.: deduce che la
condotta contestata sia stata una reazione alle ingiurie ed alle minacce proferite
dalla p.o. Thamir contro i detenuti albanesi nei giorni precedenti al fatto,
allorquando aveva detto “io gli albanesi li scanno”; la provocazione era stata
anche oggetto dell’annotazione dell’Isp. Arcidiacono, che aveva fatto trasferire il
detenuto nel reparto Grande sorveglianza, con divieto di incontro con i detenuti
albanesi; sebbene il reato non sia stato commesso nell’immediatezza del fatto
ingiusto altrui, ricorre comunque il medesimo contesto temporale.
2.3. Violazione di legge in relazione al reato di minaccia: deduce che la
minaccia proferita dal Marashi non fosse idonea a turbare la tranquillità della
p.o., per la condizione di restrizione della libertà dell’imputato e la costante
sorveglianza; lamenta l’omessa assoluzione, e, in subordine, l’omessa esclusione
dell’aggravante, con conseguente dichiarazione di improcedibilità per difetto di
querela.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudice di
appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore
circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può,
senza incorrere nel divieto di reformatio in peius, confermare la pena applicata in
primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purchè
questo sia accompagnato da adeguata motivazione (Sez. U, n. 33752 del
18/04/2013, Papola, Rv. 255660).

diminuzione della pena: lamenta che nonostante sia stata esclusa l’aggravante

t’

Nel caso in esame, sebbene la Corte territoriale abbia escluso l’aggravante
dei futili motivi, nondimeno ha confermato il giudizio di equivalenza tra
l’aggravante di cui all’art. 585 cod. pen., delle più persone riunite, e le
circostanze attenuanti generiche riconosciute agli imputati, con apprezzamento
di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di
legittimità.
Non è, dunque, suscettibile di censura la mancata riduzione della pena
corrispondente all’aggravante esclusa, in quanto, ai fini del trattamento

diminuzioni legate alle circostanze del reato in ragione del giudizio di equivalenza
formulato; ed il giudizio di bilanciamento è stato confermato dalla sentenza
impugnata nonostante l’esclusione dell’aggravante dei futili motivi.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata, con apprezzamento di fatto immune da censure di
illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, ha escluso che
ricorressero gli estremi della provocazione, in quanto alla generica offesa dei
detenuti albanesi era seguita una reazione estremamente violenta, a distanza di
giorni, di carattere offensivo, non già difensivo, aggiungendo che non ricorreva lo
stato d’ira; in tal senso, invero, va ribadito il principio secondo cui la circostanza
attenuante della provocazione ricorre quando il reato sia commesso non già in
un generico stato di emozione, agitazione, timore o paura, bensì in uno stato
d’ira, essendo necessario che l’agente abbia perduto il controllo di se stesso in
conseguenza di un fatto che sia privo di giustificazione nei contenuti e nelle
modalità esteriori, capace di alterare i freni inibitori, come tale costituente
eccezione al principio generale, secondo cui gli stati emotivi non sono causa di
diminuzione della imputabilità (Sez. 1, n. 40177 del 01/10/2009, Gaudino, Rv.
245666); pertanto, correttamente è stato escluso che le generiche offese rivolte
nei giorni precedenti ai detenuti albanesi potessero determinare uno stato d’ira
incontenibile, tale da fondare il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n.
2 cod. pen. .
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La gravità della minaccia rivolta dall’imputato all’Ass. Marini, che aveva
assistito al pestaggio della vittima, è stata affermata sulla base del tenore
dell’espressione (“mi faccio altri trent’anni e faccio quello che devo fare”),
esplicitamente allusiva del danno ingiusto (la morte) prospettato, e del contesto
nel quale è stata pronunciata; peraltro, la sentenza impugnata, nell’escludere
correttamente che, ai fini dell’integrazione dell’aggravante, rilevi la verificazione
dell’effetto intimidatorio, ha evidenziato la plausibilità della minaccia proferita da

sanzionatorio, la determinazione della pena è stata refrattaria agli aumenti o alle

un detenuto rivelatosi estremamente violento anche in ambito carcerario,
nell’ambito di un ‘regolamento di conti’.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna al
pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro
in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in
Euro 2.000,00: infatti, l’art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause
di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della

inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi
di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese del procedimento e ciascuno della somma di C 2.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 03/11/2017

sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di

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