Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5399 del 20/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5399 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FARAONE GIORGIO N. IL 09/01/1966
okai
CAILIttirlAittr
avverso l’ordinanza n. 815/2012 TRIBUNALE di TARANTO, del
11/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

(DEL

Data Udienza: 20/09/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 11 settembre 2012 il Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Taranto, giudice dell’esecuzione, ha respinto la
domanda proposta da Faraone Giorgio, diretta ad ottenere il riconoscimento
del vincolo della continuazione tra plurimi reati, oggetto di distinte
sentenze, di cui all’art. 9 della legge n. 1423 del 1956, commessi dal 6 al

1990 al 1996; agli artt. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e 81 cpv. cod. pen,
commessi dal 1989 al 2007; agli artt. 385 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del
1990.
Il Giudice, pur considerando lo stato di tossicodipendenza del Faraone e
la parziale omogeneità delle violazioni, ha escluso che i reati, commessi a
distanza di tempo l’uno dall’altro, potessero essere ricondotti ad un disegno
criminoso unitario in cui fossero tutti ricompresi, almeno nelle linee
essenziali, fin dal momento della commissione della prima violazione.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Faraone personalmente, il quale deduce l’erronea applicazione degli artt.
81, comma secondo, cod. pen. e 671 cod. proc. pen., come modificato
dall’art. 4 vides d.l. 30/12/2005, n. 272, convertito con modificazioni nella
legge 21/02/2006, n. 49; e il vizio della motivazione.

CONSIDERATO in DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato perché, secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, lo stato di tossicodipendenza non è
di per se solo sufficiente a dimostrare l’unitarietà del disegno criminoso, pur
nella parziale omogeneità delle violazioni commesse.
E, invero, in tema di reato continuato, a seguito della modifica dell’art.
671, comma 1, cod. proc. pen. ad opera della legge n. 49 del 2006, nel
deliberare in ordine al riconoscimento della continuazione, il giudice deve
verificare che i reati siano frutto della medesima preventiva risoluzione
criminosa, alla luce di specifici indicatori che comprendono, ma non si
esauriscono nello stato di tossicodipendenza da accertare con riguardo al
momento della commissione della prima violazione, così individuati dalla
giurisprudenza: a) distanza cronologica tra i fatti criminosi; b) modalità
della condotta; c) sistematicità ed abitudini programmate di
i

vita;

d)

13 giugno 2005; agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, commessi dal

tipologia dei reati; e ) bene protetto; f)omogeneità delle violazioni; g)
causali; h) stato di tempo e di luogo; i) consumazione di più reati in
relazione allo stato di tossicodipendenza (c.f.r., tra le molte, Sez. 2, n.
49844 del 03/10/2012, dep. 21/12/2012, Gallo, Rv. 253846).
1.2. Ebbene, tale analisi non è stata omessa né illogicamente svolta dal
decidente, come da ulteriore censura motivazionale anch’essa
manifestamente infondata.

conforme al principio di diritto sopra enunciato ed esente da violazioni delle
regole della logica, ha rilevato che la distanza temporale tra i reati oggetto
delle dedotte sentenze di condanna era contrastante con la possibilità di
ricomprenderli in uno stesso disegno criminoso, né emergevano elementi
dalle decisioni ad essi pertinenti per ricondurre le medesime violazioni ad
un’unica preventiva risoluzione criminosa ed escludere che esse fossero
espressione, invece, di proclività a delinquere, di uno stile di vita, di distinte
deliberazioni criminose o di contingenti impulsi a delinquere.
E tale valutazione non può essere confutata in questa sede con la
proposta di una diversa interpretazione degli atti processuali e documentali,
come preteso dal ricorrente.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi
dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
Cost., sent. n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento a favore
della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo
determinare, tra il minimo ed il massimo previsti, in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 20 settembre 2013.

L’ordinanza impugnata, infatti, con motivazione puntuale e coerente

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