Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53981 del 12/10/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 53981 Anno 2017
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile DI NAPOLI ORLANDO nato il 05/02/1948 a MONTECORVINO
PUGLIANO
nel procedimento a carico di:
MAROTTA FELICE nato il 11/02/1940 a SALERNO
MASCOLO ANGELO nato il 04/07/1955 a GRAGNANO
SANTORO GABRIELE nato 11 16/10/1945 a SALERNO
CASERTA RAFFAELE nato il 26/08/1967 a SALERNO

avverso la sentenza del 18/02/2016 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA FIDANZIA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIO MARIA
STEFANO PINELLI
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita in riferimento al Santoro e
inammissibilità in subordine il rigetto per il resto.
Udito il difensore
Il difensore di parte civile ricorrente- avv. RANIERI ENRICO del foro di NOLA-

Data Udienza: 12/10/2017

espone le argomentazioni difensive chiedendo l’accoglimento dei motivi di
ricorso.

L’avvocato CARBONE PAOLO del foro di SALERNO in difesa di MAROTTA FELICE
si riporta integralmente alla memoria depositata;
L’avvocato DI CASOLA CARLO del foro di NAPOLI in difesa di SANTORO
GABRIELE ribadendo il decesso del suo assistito nelle more del giudizio chiede
l’inammissibilità della domanda sia in sede penale che davanti al giudice civile;
L’avvocato ANTONIO BOVE del Foro di Salerno per Marotta Felice insiste per

l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9 settembre 2016 la Corte d’Appello di Salerno, in riforma della
sentenza di primo grado, ha assolto Marotta Felice, Mascolo Angelo, Santoro Gabriele (ora
deceduto) e Caserta Raffaele dai delitti di falso ideologico in atto pubblico di cui all’art. 479
c.p. e di abuso d’ufficio.
In particolare, a Mascolo Angelo e Caserta Raffaele, rispettivamente dirigente e geometra
dell’ufficio tecnico del Consorzio A.S.I. di Salerno, è stato contestato di aver falsamente

Santoro vi era un opificio già in uso, mentre si riscontrava, in realtà l’inesistenza di un’officina
e la semplice esposizione di due autovetture.
Marotta Felice, allora Presidente del Comitato direttivo del Consorzio ASI, è accusato in
concorso con i predetti imputati, di aver deliberato in violazione di legge ed in favore della
Autosantoro s.n.c. , sulla base del falso presupposto dell’esistenza sull’area nella titolarità di
tale impresa di un opificio in uso, il nulla osta all’ampliamento dell’attività produttiva sull’area
di proprietà di Di Napoli Orlando, così intenzionalmente procurando a Santoro Gabriele, socio
amministratore della Santoro s.n.c., l’ingiusto profitto consistito nell’acquisizione a prezzo
pubblico, previa emanazione del decreto di esproprio, dell’area del Di Napoli, con
corrispondente ingiusto profitto procurato a quest’ultimo.
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione la parte civile
Di Napoli Orlando affidandolo ai seguenti motivi.
Preliminarmente, il ricorrente ha eccepito che l’imputato Caserta Raffaele non aveva
proposto l’appello nei termini di legge, con conseguente decadenza dal diritto di impugnare la
decisione di condanna in primo grado.
Il ricorrente ha quindi chiesto che sia dichiarata l’inammissibilità dell’appello del Caserta, a
norma dell’art. 591 comma 4 0 c.p.p..
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge, a norma dell’art. 606 comma
10 lett. b) c.p.p., e vizio di motivazione.
Lamenta la parte civile che la Corte territoriale, nell’equiparare, per escludere la
sussistenza dei reati ascritti agli imputati, la “mera esposizione di autoveicoli” ad un “opificio
industriale”, è incorsa nella violazione di norme giuridiche di cui si deve tener conto
nell’applicazione della legge penale, e, segnatamente, degli artt. 4 e 10 comma 12 della legge
della Regione Campania n. 16/98.
La predetta normativa prevede che gli insediamenti promossi dai Consorzi per le Aree di
Sviluppo Industriale devono avere ad oggetto attività imprenditoriale nei settori dell’industria
e dei servizi alle imprese e che gli stessi Consorzi devono rientrare in possesso delle aree
assegnate in caso di mancata realizzazione e messa in funzione degli impianti nei termini
stabiliti.

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attestato nella relazione tecnica trasmessa al predetto Ente che sull’area di proprietà del

La sentenza di secondo grado, inoltre, con riferimento all’affermazione dell’esistenza
sull’area assegnata alla Santoro s.n.c. di un opificio in uso, è affetta da evidente vizio di
motivazione sul versante sia dell’esattezza delle premesse da cui muove il ragionamento
giudiziale, che sono state travisate, sia della idoneità di tale ragionamento a rendere
conoscibili, mediante un esaustivo iter argomentativo, le ragioni per le quali la Corte aveva
ritenuto di discostarsi dalle conclusioni alle quali era pervenuto il Giudice di primo grado.
L’iter logico argomentativo della sentenza di secondo grado è affetto da assoluta
a pod itticità.

impugnata in ordine all’asserita mancanza di prova del dolo di falso e di quello di favorire il
sig. Santoro (abuso d’ufficio). A fronte di una motivazione della sentenza di primo grado che
si era diffusamente ed esaustivamente soffermata sull’esistenza dell’elemento psicologico,
quella impugnata si era limitata ad una mera asserzione dell’insussistenza del dolo.
La Corte territoriale aveva, inoltre, accomunato la posizione di Marotta, Mascolo e Caserta
a quella di un’altra imputata assolta in primo grado, tale Cascone, la quale rispondeva di ben
altro reato rispetto a quelli contestati agli odierni imputati, consumatisi in tempi diversi.
2.3. Con memoria depositata il 13 settembre 2017, Marotta Felice ha chiesto dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso proposto dal Di Napoli.
Rileva che l’estratto della sentenza d’appello è stato notificato al ricorrente in data 16
settembre 2016, con la conseguenza che i termini per proporre impugnazione sono scaduti in
data 31 ottobre 2016, mentre il Di Napoli ha proposto ricorso per cassazione, mediante
spedizione della raccomandata, solo in data 1 novembre 2016.
2.4. Con memoria depositata il 27 settembre 2017, Caserta Raffaele ha parimenti eccepito
la tardività del ricorso per cassazione proposto dal Di Napoli.
2.5. Con memoria del 25 luglio 2017 i difensori di fiducia di Santoro Gabriele hanno dato
atto e documentato l’intervenuto decesso nelle more del giudizio del loro assistito nonché
richiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso nei confronti di Santoro Gabriele.
Essendo costui deceduto in data 3 ottobre 2015 (come da certificato di morte allegato del
Comune di Salerno), non si è neppure instaurato con tale imputato nel giudizio di cassazione il
rapporto processuale.
2.

L’eccezione preliminare sollevata dal ricorrente di declaratoria di inammissibilità

dell’atto di appello del Caserta per tardività del medesimo non merita accoglimento.
Va osservato che anche recentemente (Sez. 3, n. 20509 del 14/04/2011 – dep.
24/05/2011, Khemiri e altro, Rv. 250345) questa Corte ha affermato che, in tema di
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2.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione della sentenza

estensione degli effetti dell’impugnazione, sono da considerarsi motivi estensibili agli imputati
che versano in identiche situazioni, quelli che, investendo l’esistenza stessa del reato, non
possono essere considerati esclusivamente personali. Pertanto, qualora dal testo della
sentenza impugnata si ricavi che l’imputato è stato assolto perché il fatto non sussiste,
l’eventuale omessa estensione in bonam partem degli effetti della decisione agli altri
coimputati non appellanti può essere corretta anche da questa Corte (cfr. Sezione 5
n. 7557/1999, RV. 213784).
Ne consegue che, nel caso di specie, essendo gli imputati stati assolti con la formula “il

favore del Caserta, indipendentemente dalla eventuale tardività del suo appello.
2. Deve essere rigettata anche l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione sollevato
da Marotta Felice e da Caserta Raffaele.
Dall’esame della ricevuta di accettazione (documento prodotto dalla parte civile all’udienza
di discussione) della raccomandata a/r del 31.10.2016, spedita dal difensore della parte civile
avv. Ranieri alla cancelleria della Corte d’Appello di Salerno, emerge che tale ricevuta reca la
stessa matrice numero 152404196578 presente sulla busta contenente il ricorso per
cassazione su cui e’ stato apposto il timbro del 1.11.2016.
Ne consegue che, sebbene sulla busta sia stata apposta la data dell’1.11.2016, in realta’,
la raccomandata e’ stata accettata dagli organi postali in data 31.10.2016, e quindi nel
rispetto dei termini previsti per la proposizione dell’atto di impugnazione.
3. Il primo motivo è fondato e va pertanto accolto.
Va premesso che costituisce un principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte
– normalmente applicato in caso di riforma da parte del giudice d’appello di una pronuncia
assolutoria di primo grado – che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di
primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento
probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima
sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può,
invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile
a quella coltivata nel provvedimento impugnato. (vedi ex plurimis Sez. 6, n. 10130 del

fatto non sussiste” , gli effetti della sentenza di appello avrebbero comunque operato anche a

20/01/2015 – dep. 10/03/2015, Marsili, Rv. 262907).
Peraltro, recentemente questa Corte ha reiteratamente altresì statuito che il giudice di
appello che, in radicale riforma della sentenza di condanna di primo grado, pronunci sentenza
di assoluzione ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della
decisione di condanna, essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo
di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova (Sez. 5, n.
21008 del 06/05/2014 – dep. 23/05/2014, P.G. e P.C. in proc. Barzaghi e altri, Rv. 260582;
conf. Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016 – dep. 14/02/2017, P.G. in proc. D L, Rv. 26952301 ).
E’ stato, in sostanza, sostenuto che il principio sopra enunciato ha carattere generale e
non può non trovare applicazione anche nella ipotesi inversa in cui, in secondo grado,
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1(i)

intervenga assoluzione in radicale riforma della sentenza di condanna pronunziata dal primo
giudice: non è solo l’epilogo decisorio in malam partem che obbliga il secondo giudicante a
una motivazione “rafforzata”, ma il fatto che appare necessario scardinare l’impianto
argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto contatto diretto con le
fonti di prova.
Nel caso di specie, con riferimento alla questione nodale dell’esistenza o meno sul fondo di
proprietà del Santoro di un’attività di officina meccanica specializzata, costituente l’oggetto
della certificazione degli imputati Caserta e Mascolo (e contestualmente il presupposto affinchè

ottenere l’attivazione della procedura di esproprio del fondo confinante di proprietà
dell’odierna parte civile), il giudice di secondo grado si è limitato ad affermare in poche righe
:”Sono i testi escussi dal primo giudice che inducono a ritenere la preesistenza di un
insediamento commerciale e/o produttivo. Né può escludersi che )avendo gli stessi affermato
che vi erano auto in esposizione, le stesse fossero anche oggetto di riparazione, cioè
dell’oggetto stesso della richiesta per l’insediamento produttivo avanzata.”
Non vi è dubbio che con una tale motivazione il giudice di secondo grado non abbia
assolto al proprio compito di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della
decisione di condanna. Tale pronuncia era giunta alla conclusione opposta dopo aver
dettagliatamente riportato le deposizioni dei testi Volpe, Palestra (entrambi appartenenti alle
forze dell’ordine), D’amore e Pellegrino e dopo aver attentamente esaminato ( e confutato) sia
la documentazione tecnica allegata in più riprese dal Santoro a corredo dell’istanza di nulla
osta per l’ampliamento dell’attività produttiva, sia i documenti che la difesa del Santoro aveva
prodotto in giudizio per dimostrare l’avvenuto svolgimento di un’attività di officina meccanica
(vedi pagg. 60-74 della sentenza di primo grado).
Coglie senz’altro nel segno il ricorrente quando afferma che la Corte territoriale è incorsa
in una violazione di legge nell’equiparare un’attività di mera esposizione di autoveicoli ad un
opificio industriale.
Come emerge dall’esame della legge, già citata in narrativa, della Regione Campania n.
16/98, presupposto affinchè i Consorzi per le Aree di Sviluppo Industriale assegnassero alle
imprese del territorio dei terreni (a seguito di procedure di esproprio a carico di terzi) è che
queste ultime svolgessero sugli stessi attività industriali, realizzando e mettendo in funzione
“gli impianti” nei termini previsti negli atti autorizzativi.
La Autosantoro s.n.c. aveva dunque ottenuto l’assegnazione di un terreno dal Consorzio
ASI non per lo svolgimento di un’attività di commercializzazione di autovetture, ma
l’insediamento di un’attività industriale.
In particolare, emerge dalla delibera autorizzativa n. 358 del 25.11.1989 – riportata in
sintesi alle pagg. 12 e 13 della sentenza di primo grado – che la Autosantoro ottenne dal
Consorzio ASI il nulla osta per la realizzazione di un impianto da adibire ad officina meccanica

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la Santoro s.n.c. potesse chiedere il nulla osta all’ampliamento della propria attività ed

specializzata, relativa alla riparazione, manutenzione meccanica di auto estere e nazionali
nonché trasformazione ed alimentazione a gas.
Tale impianto non è stato, tuttavia, mai realizzato, come articolatamente argomentato
dalla sentenza di primo grado, e ciò non solo alla luce delle deposizioni dei testi escussi, ma
anche dall’esame dei grafici “relativi allo stato di fatto dell’edificio esistente” , documenti che
erano stati prodotti da Gabriele Santoro a corredo della domanda di nulla osta per
l’ampliamento dell’attività commerciale.

Va osservato che il Tribunale di Salerno si era diffusamente soffermato nell’indicare le
ragioni per le quali aveva ritenuto la sussistenza in capo agli odierni imputati del dolo dei
delitti di cui al capo b) e c).
In particolare, quanto al falso ideologico, il giudice di primo grado aveva evidenziato che
la contrarietà al vero dell’attestazione in ordine all’esistenza di un officina meccanitznon
fosse dipesa da una semplice leggerezza o dalla incompleta conoscenza o errata disposizione
di disposizioni normative, ma fosse consapevole e voluta dal Mascolo e dal Caserta, come
desumibile, dal rilievo che si trattava di soggetti professionalmente qualificati e non privi di
esperienza ed avvedutezza.
In particolare, gli stessi imputati, in occasione dell’esame della pratica “Di Napoli (pag. 87
sent. 1° grado), avevano analizzato le relazioni dei professionisti dell’istante con scrupolo,
puntiglio e capacità di analisi tecnica, condotta che appariva del tutto “distonica” se messa a
confronto con la non altrettanto perspicua valutazione del quadro documentale
progressivamente offerto dal Santoro a corredo dell’istanza di nulla osta per l’ampliamento
dell’attività produttiva.
Tali articolate considerazioni con

ee,

quali il giudice di primo grado ha motivato la

sussistenza dell’elemento psicologico in capo a Caserta e Mascolo – proprio la specifica
competenza professionale dell’agente rappresenta anche nell’abuso d’ufficio uno degli elementi
sintomatici che la condotta “non iure” dell’agente fosse orientata proprio a procurare il
vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto (sez 6, n. 21192 del 25/01/2013, Rv. 255368) avrebbero dovuto essere confutate dal giudice di secondo grado con ben altre argomentazioni.
Analogamente, con riferimento alla posizione dell’imputato Marotta, il giudice di primo
grado si era dilungato da pag. 83 ad 87 nel descrivere il tenore dei rapporti personali tra il
prevenuto ed il Di Napoli (altro elemento sintomatico rilevante secondo la predetta pronuncia
n. 21192/13), e, segnatamente, l’esistenza di contatti telefonici intercorsi tra il Marotta ed il
figlio del Santoro, l’interessamento di quest’ultimo per l’ormeggio nell’isola di Capri
dell’imbarcazione del Marotta, il rinvenimento nell’ambito del procedimento amministrativo
afferente al citato nulla osta di una lunga serie di integrazioni documentali prodotte dal
Santoro e non precedute da richieste da parte dell’ufficio, che potevano logicamente spiegarsi
solo con l’esistenza di contatti non formali tra il Santoro ed il Marotta, infine, la circostanza

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4. Il secondo motivo è fondato e va pertanto accolto.

che tutte le richieste del Santoro fossero sempre state indirizzate al Marotta, nonostante fosse
stato nominato un responsabile del procedimento.
Il giudice di secondo grado avrebbe dovuto confrontarsi, per confutarle, con
argomentazioni così articolate e non limitarsi, nell’affermare l’insussistenza dell’elemento
soggettivo in capo agli imputati, a mettere sullo stesso piano (sul rilievo che si era trattato
parimenti di leggerezza) l’assoluzione, avvenuta in primo grado, dell’imputata Cascone, cui
erano stati, peraltro, contestati reati diversi, posti in essere in differenti ambiti temporali.

Angelo e Caserta Raffaele con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Santoro Gabriele;
Annulla la sentenza impugnata nei confronti degli altri imputati con rinvio al giudice civile
competente per valore in grado d’appello.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2017
Il consigliere estensore

Il Presidente

Deve quindi annullarsi la sentenza impugnata nei confronti di Marotta Felice, Mascolo

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