Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5391 del 20/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5391 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DE BERNARDO SALVATORE N. IL 25/09/1980
avverso la sentenza n. 932/2011 TRIBUNALE di NOLA, del
17/01/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;

Data Udienza: 20/09/2013

Ritenuto in fatto e in diritto

Con sentenza resa il giorno 7.1.2012, ai sensi dell’art. 444 cod.proc.pen. il
Tribunale di Noia , applicava a DE BERNARDO Salvatore, imputato dei reati di cui
all’art. 22 c. 2 d. Igs. 286/1998, la pena concordata tra le parti di mesi uno di
arresto ed euro 22.200 di ammenda.

dell’imputato, deducendo difetto di notificazione all’imputato, ancorchè il difensore
medesimo, munito di procura speciale, avesse rinunciato a sollevare qualsivoglia
eccezione.

Il ricorso è manifestamente infondato.
L’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo
processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si accordano sulla
qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze,
sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena. Da parte sua il giudice ha il
potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la
congruità della pena richiesta e di applicarla, dopo aver accertato che non emerga
in modo evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p. Ne
consegue che – una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena art. 444
c.p.p., – l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi
della fattispecie, perché essi sono coperti dal patteggiamento.
Tanto premesso, il Collegio osserva che il motivo di ricorso appare privo di
specificità e comunque manifestamente infondato, atteso che il giudice,
nell’applicare la pena concordata, si è adeguato a quanto contenuto nello accordo
intervenuto fra le parti escludendo specificatamente la sussistenza dei presupposti
di cui all’art.129 c.p.p, alla luce dell’annotazione di Polizia. Tale motivazione, avuto
riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione della pena su
richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale
genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (si vedano tra
le altre, Cass. SS.UU. 27 marzo 1992, Di Benedetto; SS.UU. 27 settembre 1995,
Serafino; SS.UU. 25 novembre 1998, Messina).
Il

fatto che il difensore, munito di procura speciale abbia insistito per

procedere alla definizione del processo, (così come risulta dal verbale di udienza)
abbia rinunciato a fare valere ogni eccezione in ordine alla citazione dell’imputato,
dando atto che lo stesso era stato edotto del procedimento e che aveva rilasciato
procura speciale per formulare la richiesta nei termini suindicati, porta a
concludere sull’assenza in capo al ricorrente dell’interesse ad impugnare, non

Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il difensore

avendo il medesimo dato conto della concreta utilità alla rimozione della sentenza
e non avendo messo in discussione la conformità della richiesta del procuratore
speciale al mandato da lui conferitogli. Secondo il costante insegnamento di
questa Corte (v. tra le ultime. Sez. VI, 7.2.2013, n. 7405, in riferimento ad una
ipotesi di deduzione dell’incompetenza del giudice che aveva emesso la sentenza di
patteggiamento) la nozione di interesse ad impugnare, nel sistema penale

“non

può essere basata sul mero concetto di soccombenza – a differenza delle

lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in
una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto
legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una
decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di
una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame e che risulti
logicamente coerente con il sistema normativo” (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011,
Marinaj, Rv. 251693). Dunque, l’interesse richiesto dall’art. 568 c.p.p., comma 4,
quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato
agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste soltanto se
il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento
pregiudizievole, una situazione immediata più vantaggiosa per l’impugnante
rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Rv. 203093; Sez. U, n.
10372 del 27/09/1995, Rv. 202269; Sez. U, n. 6563 del 16/03/1994, Rv. 197535).

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della
cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro
millecinquecento, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro millecinquecento in favore
della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 20 Settembre 2013.

impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una

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