Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53842 del 15/09/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 53842 Anno 2017
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: DI GIURO GAETANO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
X. ALBERTO nato il 23/08/1959 a MONTEMESOLA

avverso l’ordinanza del 04/11/2016 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DI GIURO;

Data Udienza: 15/09/2017

RILEVATO IN FATTO

Con l’ ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma
rigettava il reclamo (-impugnazione) proposto da X. Alberto, detenuto
all’atto della domanda presso la Casa circondariale di Rebibbia, avverso il
provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza di Roma aveva rigettato il
reclamo ex art. 35 bis I. n. 354/1975 dal suddetto proposto per contestare la
decisione del Direttore della sopra indicata Casa circondariale, che, in osservanza

destinati all’allenamento fisico. Nel reclamo si era eccepito il diritto a svolgere
attività fisica, osservando che lo stesso era riconosciuto dall’ordinamento
penitenziario, dalla normativa comunitaria e dalle circolari DAP.
Il suddetto Tribunale di sorveglianza condivideva la pronuncia del Magistrato
di sorveglianza, ritenendo infondato il reclamo per non avere il detenuto spiegato
le ragioni per le quali lo stesso avrebbe avuto diritto ad allenarsi
necessariamente con i manubri, avendo comunque ammesso di avere a
disposizione una cyclette ed una panca da, utilizzare per l’esercizio e
l’allenamento, dovendosi ritenere che la condivisione degli attrezzi con altri
ristretti non ne pregiudicasse l’utilizzo, ed essendo evidente che i manubri
indicati dal reclamante – con un peso tra i 6 e i 10 chili – , non indispensabili per
la persona e la salute, fossero oggetti pericolosi per una possibile utilizzazione
lesiva, dovendosene ritenere giustificata la rimozione.
Avverso tale ordinanza il X. ricorre personalmente per cassazione,
deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. Il ricorrente si duole che il
Tribunale di sorveglianza abbia travisato il suo reclamo, nel quale, invero, lo
stesso si doleva della rimozione degli unici pesi utilizzabili, indispensabili anche
per l’attività sportiva da esercitare con la panca. Evidenzia come oggetti
pericolosi per la loro potenzialità lesiva possano essere anche la panca o le parti
assemblate della cyclette e come detti attrezzi da soli siano insufficienti
all’attività sportiva anche consideratane l’utilizzazione da parte di quattro
detenuti della stessa sezione durante l’unica ora giornaliera consentita per
l’attività sportiva. Ci si duole, quindi, del degrado biologico-metabolico di chi
come il ricorrente, sottoposto al regime detentivo speciale, sia costretto all’ozio
per ventitré ore al giorno in una cella di piccole dimensioni, degrado che senza
dubbio potrebbe essere rallentato con una buona attività fisica, invece carente. Il
ricorrente lamenta che per limitare le attività sportive, che rappresentano uno
degli elementi di trattamento e rieducazione esplicitamente indicati come
essenziali dalla giurisprudenza costituzionale, dovessero sussistere sufficienti
ragioni giustificatrici e che le stesse dovessero essere ancorate alla posizione
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delle disposizioni dipartimentali, aveva ritirato dalla sala di socialità i manubri

personale del singolo detenuto e non potessero essere generalizzate per tutti i
detenuti indistintamente. E che, quindi, ove sussistente la fantomatica circolare
sulla rimozione dei pesi, a fondamento dell’ordinanza la stessa dovesse essere
disapplicata in quanto illegittima. Il ricorrente insiste, quindi, per l’annullamento
dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

questa sede e comunque manifestamente infondati.
Invero, lo stesso non individua singoli aspetti del provvedimento impugnato
da sottoporre a censura giurisdizionale, ma tende in realtà a provocare una
nuova e non consentita valutazione del merito dei presupposti applicativi del
provvedimento adottato nei confronti del X..
L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente valutato gli elementi
risultanti dagli atti, con argomentazioni, che rispondono ai rilievi già formulati in
sede di reclamo in modo non solo non manifestamente illogico ma scevro da vizi
giuridici (facendo perno essenzialmente sulle esigenze di sicurezza giustificative
del ritiro dalla sala di socialità dei manubri destinati all’allenamento fisico e sulla
non incidenza di detta circostanza sulla persona e sul diritto alla salute, per la
sussistenza di strumenti alternativi di allenamento fisico), con cui il ricorrente
solo in parte si confronta, riproponendo in questa sede i medesimi rilievi e
reiterando la richiesta di rivalutazione degli elementi a fondamento del rigetto
del reclamo.
Per queste ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e,
non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle
ammende, determinabile in 2.000,00 euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di 2.000,00 euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 15 settembre 2017.

Il ricorso è inammissibile, essendo fondato su motivi non consentiti in

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