Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53810 del 31/10/2017

Cassazione penale, sez. II, 31/10/2017, (ud. 31/10/2017, dep.29/11/2017),  n. 53810

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 22/12/2017, il Tribunale del riesame di Messina ha dichiarato inammissibili le richieste di riesame presentate da L.C.A. e P.B. (indagati per i delitti di cui agli artt. 416,648-bis, 648-ter, 353 cod. pen., nonchè per alcuni reati fallimentari e tributari, con l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7) avverso i decreti di perquisizione e sequestro emessi dal P.M. presso il Tribunale di Messina in data 09/11/2016 ed eseguiti in data 02/12/2016, nonchè (il solo P.) il decreto di convalida del sequestro di documentazione, emesso dallo stesso P.M. il 05/12/2016.

Il Tribunale ha evidenziato che, all’esito della perquisizione del L.C. (autorizzata dal G.i.p. ai sensi dell’art. 103 c.p.p., comma 5, trattandosi di un avvocato), si era proceduto all’estrazione di copia di documentazione e di supporti informatici; analoga attività era stata espletata nei confronti del P., presso il quale vi era stato anche un sequestro di documenti convalidato dal P.M.: documenti peraltro restituiti all’avente diritto, come documentato dal P.M. nel corso dell’udienza camerale.

In tale situazione, il Tribunale ha ritenuto inammissibili entrambe le impugnazioni per carenza di interesse, precisando che tale carenza era da ritenersi sopravvenuta quanto al P. (in conseguenza della già avvenuta restituzione dei documenti sequestrati) ed originaria per ciò che riguardava la documentazione ed i supporti informatici di cui era stata estratta copia.

A tale ultimo riguardo, il Tribunale ha richiamato i principi affermati dalle Sezioni unite con la sentenza n. 18253 del 2008 in ordine all’inoppugnabilità del provvedimento di estrazione di copia, distinto da quello di sequestro e regolato dall’art. 258 cod. proc. pen., contro il quale non è previsto alcun mezzo di impugnazione. Richiamando un altro più recente arresto della Suprema corte (sent. n. 40831 del 2016), il Tribunale ha aggiunto che un interesse ad impugnare avrebbe potuto essere ravvisato solo qualora fosse stato dimostrato il valore autonomo dei dati informatici copiati, e l’interesse della parte a mantenerne la disponibilità: peraltro, nella specie, un siffatto interesse non era stato neppure allegato dai ricorrenti. Neppure potevano essere condivise, ad avviso del Tribunale, le doglianze del L.C. in ordine al mancato rispetto dei limiti posti nel provvedimento autorizzativo emesso dal G.i.p. ai sensi dell’art. 103 cod. proc. pen., in quanto le garanzie apprestate per la tutela del diritto di difesa dell’imputato non potevano trovare applicazione nell’ipotesi ricorrente nella specie, in cui le attività di perquisizione e sequestro erano state disposte nei confronti di un esercente la professione legale sottoposto ad indagine.

2. Ricorre per cassazione il difensore del L.C., deducendo:

2.1. Violazione di legge, mancanza ed illogicità della motivazione in relazione agli artt. 103 e 275 cod. proc. pen. Si lamenta la mancanza di adeguata motivazione, da parte del Tribunale, sulle censure tempestivamente formulate in ordine al mancato rispetto dei limiti fissati dal G.i.p. nel provvedimento autorizzativo, essendosi proceduto all’acquisizione indistinta di tutti i documenti presenti nello studio legale (in uso non solo all’indagato, ma anche ad altri avvocati del tutto estranei all’indagine), laddove invece tale acquisizione avrebbe dovuto limitarsi ai soli documenti costituenti corpo del reato ipotizzato dall’accusa.

2.2. Violazione di legge, mancanza ed illogicità della motivazione con riferimento agli artt. 247,252,253,254-bis, 258 e 568 cod. proc. pen.. Si censura l’omessa motivazione in ordine alle doglianze formulate in ordine alla indiscriminata acquisizione di tutta la documentazione presente nel server dello studio legale del L.C. (integralmente appresa utilizzando supporti mobili esterni), senza alcuna successiva selezione di quella effettivamente pertinente: e ciò anche in considerazione delle più recenti pronunce e della nuova rimessione alle Sezioni unite della questione relativa alla persistenza dell’interesse ad impugnare in caso di avvenuta restituzione dei supporti informatici sequestrati. Nella specie, tra l’altro, vi era stata la sola apprensione senza alcuna restituzione, con conseguente lesione del diritto sostanziale del ricorrente alla disponibilità esclusiva delle informazioni; per altro verso, l’acquisizione indiscriminata di tutti i documenti in possesso dell’indagato relativi alla sua pluridecennale attività forense – acquisizione nemmeno preceduta da una richiesta al L.C. di esibire spontaneamente gli atti in suo possesso – aveva violato il principio del necessario collegamento tra le cose oggetto di apprensione ed i reati contestati al ricorrente, ed era risultata lesiva di posizioni soggettive (dello stesso indagato e di terzi) tutelate dall’art. 21 Cost., cui era connessa la garanzia del segreto professionale.

2.3. Violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione agli artt. 253 e 324 cod. proc. pen. Si lamenta l’omessa motivazione in ordine alle censure formulate in ordine alla mancanza del fumus commissi delicti e alla mancanza in atti di idonea documentazione di supporto, non trasmessa dal P.M. nonostante l’espresso invito in tal senso formulato dal Tribunale (dopo aver inizialmente inviato i soli verbali di perquisizione e sequestro, il Pubblico Ministero – a seguito del predetto invito – aveva trasmesso solo una nota di P.G. meramente ricognitiva dell’attività in essere e dell’ipotesi formulata, e quindi totalmente inidonea a consentire un adeguato diritto di difesa e un’effettiva verifica della sussistenza del fumus).

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.

2. Si è già accennato al fatto che la decisione di inammissibilità della richiesta di riesame proposta dal L.C. è stata determinata dalla ritenuta carenza originaria di interesse all’impugnazione, avendo il Tribunale di Messina escluso che, nell’attività di estrazione di copia degli interi archivi informatici rinvenuti nello studio del L.C., potesse ravvisarsi un sequestro: il Collegio ha infatti ritenuto applicabili, in relazione alla predetta attività, le disposizioni di cui all’art. 258 cod. proc. pen. (il quale disciplina il procedimento di acquisizione di copia senza menzionare alcun mezzo di impugnazione avverso il vincolo che verrebbe a cadere sulla copia), ed ha conseguentemente escluso la proponibilità della. richiesta di riesame, per il principio di tassatività dei mezzi di gravame. A sostegno di tali conclusioni, il Tribunale di Messina ha espressamente richiamato i principi espressi dalle Sezioni unite in una nota pronuncia emessa nel 2008, con riferimento all’ipotesi in cui il computer sequestrato venga restituito all’avente diritto previa estrazione di copia (Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Tchmil, Rv. 239397), ed ha osservato che i predetti insegnamenti dovevano trovare a fortiori applicazione nella fattispecie in esame, in cui l’autorità inquirente si era limitata ad estrarre copia della documentazione e dei supporti informatici, senza neppure procedere al sequestro di questi ultimi.

Come già evidenziato da altra recentissima pronuncia di questa Sezione, che ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Messina con riferimento alla posizione del coindagato (Sez. 2, n. 51446 del 18/10/2017, Panarello), le Sezioni unite della Suprema corte si sono nuovamente pronunciate sul tema (Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017, Andreucci, Rv. 270497), rivedendo i principi affermati dalla sentenza Tchmil anche alla luce delle modifiche al codice di rito introdotte dalla legge 18 aprile 2008, n. 48, con la quale è stata recepita, nell’ordinamento nazionale, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, sottoscritta a Bucarest il 23/11/2001.

3. Interessa qui evidenziare, anzitutto, che nella sentenza Andreucci le Sezioni unite – ribadendo quanto già incidentalmente affermato in altra decisione, relativa al sequestro preventivo di siti web o di singole “pagine informatiche” (Sez. U, n. 31022 del 29/01/2015, Fazzo, Rv. 264089) – hanno chiarito che è possibile sottoporre a sequestro non solo un intero sistema informatico o un “contenitore” (personal computer, pen drive, ecc.), ma anche un singolo dato informatico che sia in essi contenuto.

E’ stata per un verso valorizzata, a tale specifico proposito, l’ampia accezione contenuta del rapporto esplicativo della Convenzione, adottato dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, secondo cui il termine “sequestrare” “significa prendere il mezzo fisico sul quale i dati o le informazioni sono registrati oppure fare e trattenere una copia di tali dati o informazioni. “Sequestrare” include l’uso o il sequestro di programmi necessari ad accedere ai dati che si stanno sequestrando. Allo stesso modo in cui si usa il termine tradizionale “sequestrare”, il termine “assicurare” in modo simile è incluso per indicare gli altri modi nei quali i dati intangibili possono essere portati via, resi inaccessibili o il suo controllo è in altro modo escluso per il sistema informatico” (cfr. pag. 10 della sentenza).

Per altro verso, il Supremo consesso ha richiamato alcuni articoli del codice di rito, modificati dalla L. n. 48 del 2008 (art. 244, comma 2; art. 247, comma 1-bis; art. 352, comma 1-bis; art. 254-bis; art. 260, comma 2), nei quali emerge con chiarezza l’intento del legislatore di assicurare che i dati, individuati all’esito della perquisizione del sistema informatico o telematico (o consegnati ai sensi del novellato art. 256), siano appresi mediante accorgimenti tecnici idonei ad assicurare la conservazione dei dati originali, e ad impedirne l’alterazione.

4. Le Sezioni unite hanno quindi preso in specifica considerazione l’ipotesi in cui l’estrazione di copia del dato informatico avvenga appunto con modalità tali da assicurarne la conformità all’originale e la sua immodificabilità, allo scopo di preservare il dato acquisito isolandolo dal sistema che lo contiene, e quindi impedendone la successiva manipolazione o eliminazione: si ha quindi l’acquisizione della c.d. “copia immagine”, che consente l’estrazione di altre copie manipolabili senza alcun rischio di trasformazione o modifica dell’originale.

In tal caso, è il dato individuato attraverso la perquisizione e riversato nella “copia immagine” ad essere sottoposto a sequestro probatorio: pertanto, l’interesse alla restituzione “riguarda, appunto, il dato in sè e non anche il supporto che originariamente lo conteneva o quello sul quale è trasferito il “clone”, sicchè la mera restituzione del supporto non può considerarsi come esaustiva restituzione delle cose in sequestro”. Da ciò consegue, per le Sezioni unite, l’inapplicabilità delle disposizioni di cui all’art. 258 cod. proc. pen., che riguardano espressamente i documenti (cfr. pag. 14 della sentenza Andreucci).

E’ opportuno evidenziare, sin d’ora, che l’ipotesi appena esaminata ricorre nel caso di specie: invero, nel “verbale di perquisizione ed eventuale sequestro” del 02/12/2017, relativo alle operazioni compiute nello studio del L.C., si precisa che la copia degli hard disk rinvenuti è stata realizzata utilizzando attrezzatura idonea a non alterare i dati originali contenuti nei dischi sorgente, della quale vengono anche fornite specifiche indicazioni tecniche (cfr. pag. 4 ss. del verbale).

5. Peraltro, le Sezioni unite Andreucci hanno preso in considerazione anche la diversa ipotesi in cui l’autorità inquirente non ritenga necessario acquisire il dato informatico con le cautele previste per la “copia-immagine”, e si limiti quindi alla estrazione – prima di restituire il computer o la pen drive all’avente diritto – di una semplice copia ad es. di un file, che assume rilevanza non in sè, ma “quale mero recipiente di informazioni”, con conseguente piena possibilità di distinguere tra originale e copia, non diversamente da quel che avviene per i documenti cartacei.

Secondo il Supremo consesso, possono in questo caso applicarsi le richiamate disposizioni di cui all’art. 258 cod. proc. pen., come interpretate dalla sentenza Tchmil (cfr. supra, p. 2): tuttavia, anche in tale diversa ipotesi, la restituzione del supporto contenente il dato non può ritenersi risolutiva – nel senso che l’interesse ad impugnare il sequestro permane anche dopo la restituzione del supporto – qualora il soggetto colpito dalla misura ablativa risulti essere titolare di un interesse alla “disponibilità esclusiva del “patrimonio informativo”” racchiuso nel documento di cui sia stata estratta copia, “sia esso informatico o di altro tipo” (cfr. pag. 15 della sentenza).

A tale specifico riguardo – e con espresso richiamo delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza della Corte EDU in ordine alla necessità di adeguata tutela del diritto alla libertà di espressione ex art. 10 della Convenzione (con riferimento alla segretezza delle fonti giornalistiche) e del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8) – le Sezioni unite hanno affermato che “la mera reintegrazione nella disponibilità della cosa non elimina il pregiudizio, conseguente al mantenimento del vincolo sugli specifici contenuti rispetto al contenitore, incidente su diritti certamente meritevoli di tutela, quali quello alla riservatezza o al segreto”. In conclusione, qualora venga dedotto un interesse concreto e attuale alla esclusiva disponibilità dei dati, il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile anche quando risulti che il computer o il supporto informatico siano già stati restituiti all’avente diritto, previa estrazione dei dati in esso contenuti.

6. E’ dunque in tale contesto interpretativo – radicalmente mutato rispetto a quello delineato dalla sentenza Tchmil, la quale aveva peraltro preso in considerazione l’assetto normativo anteriore alla L. n. 48 del 2008 – che deve essere esaminata l’odierna fattispecie, in cui, come sottolineato dall’ordinanza impugnata e dallo stesso ricorso, l’attività acquisitiva dei dati informatici non è stata preceduta da un formale sequestro dei personal computer e degli altri supporti rinvenuti nello studio del L.C. (e non è stata quindi seguita, ovviamente, da una formale restituzione dei supporti medesimi).

Tale aspetto della vicenda risulta peraltro del tutto irrilevante nella prospettiva ermeneutica indicata dalla sentenza Andreucci, per la quale ciò che assume rilievo, al fine di ritenere sussistente un sequestro del dato suscettibile di impugnazione con richiesta di riesame – indipendentemente dal sequestro e dalla eventuale restituzione dei “contenitori” – è piuttosto la modalità con cui si procede all’acquisizione del dato, nonchè, eventualmente, la sussistenza di un interesse alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo racchiuso nel dato stesso, qualora venga duplicato senza le cautele prescritte dal legislatore del 2008.

Muovendo da tali presupposti, risulta agevole individuare nell’attività acquisitiva espletata nello studio del L.C. gli estremi di un sequestro probatorio impugnabile con richiesta di riesame, essendo pacifico che si è proceduto all’apprensione dei dati informatici in sè considerati, attraverso la realizzazione di “file di immagine” mediante sistemi idonei ad evitare l’alterazione dei dischi sorgente (cfr. pag. 4-5 del verbale in atti, al quale si rimanda per le ulteriori indicazioni di ordine tecnico relativa alla funzione crittografica di “hash”, con la quale viene appunto assicurata l’integrità e l’identità all’originale della copia acquisita).

7. E’ peraltro opportuno precisare, conclusivamente, che ad analoghe conclusioni di ammissibilità del ricorso si sarebbe giunti, seguendo le linee argomentative tracciate dalle Sezioni unite, anche qualora l’estrazione di copia fosse stata realizzata nello studio del L.C. senza ricorrere alle predette cautele: non può invero condividersi quanto incidentalmente affermato dal Tribunale (ad ulteriore sostegno della ritenuta inammissibilità del gravame) in ordine alla mancata allegazione, da parte del ricorrente, di un proprio interesse alla disponibilità esclusiva delle informazioni contenute nei documenti informatici (cfr. pag. 3 dell’impugnata ordinanza).

Tra le doglianze dedotte in ricorso, infatti, vi è quella concernente l’acquisizione indistinta di tutta la documentazione in possesso del L.C., relativa agli ultimi 30 anni della sua professione di avvocato, senza che ne fosse stata indicata, neanche in seguito, la parte riconducibile alle ipotesi di reato oggetto di indagine: modalità operativa che, ad avviso del difensore, aveva non solo violato il principio del necessario collegamento che deve sussistere tra quanto appreso in sede di sequestro probatorio ed i reati ipotizzati, ma “era risultata anche invasiva di posizioni soggettive, sia del destinatario dell’atto di indagine che di terzi, costituzionalmente tutelate ex art. 21 Cost., cui è connessa la garanzia del segreto professionale” (cfr. pagg. 10-11 del ricorso). Appare indubbia la possibilità di ravvisare, in tale prospettazione, la sussistenza di uno specifico interesse nel senso precisato dalle Sezioni unite.

8. Quanto fin qui esposto in ordine alla fondatezza del motivo concernente l’interesse del L.C. ad impugnare, e alla conseguente ammissibilità della richiesta di riesame presentata, esime ovviamente il Collegio dall’analisi delle ulteriori doglianze prospettate nel ricorso. L’ordinanza impugnata deve essere perciò annullata con rinvio al Tribunale di Messina, Sez. per il Riesame dei provvedimenti cautelari reali, per nuovo esame.

PQM

Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Messina, Sezione Riesame dei provvedimenti cautelari reali.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2017

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