Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53610 del 10/04/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 53610 Anno 2017
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GORGONE FRANCESCO PAOLO nato il 25/11/1930 a PALERMO

avverso l’ordinanza del 25/05/2016 del TRIBUNALE di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI;
lette le conclusioni del PG Ciro Angelillis che ha chiesto il rigetto del ricorso

Data Udienza: 10/04/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Palermo, in funzione di
giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza proposta dai difensori
di Francesco Paolo Gorgone, condannato per il delitto di concorso esterno in
associazione mafiosa, di revoca della sentenza.
L’istanza era fondata sulla pronuncia della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo n. 3 del 2015 nei confronti dell’Italia con riferimento alla condanna di

violazione dell’art. 7 della Convenzione EDU. Il caso di Gorgone era analogo,
essendo stato condannato per condotte anteriori all’ottobre 1994 (epoca della
sentenza Demitry delle Sezioni Unite di questa Corte).
I ricorrenti avevano richiamato l’obbligo dello Stato di conformarsi alle
sentenze della Corte EDU, gravante anche sul potere giudiziario; avevano
indicato l’art. 673 cod. proc. pen. come strumento per adeguarsi e, in via
subordinata, avevano chiesto che il Tribunale sollevasse questione di legittimità
costituzionale della norma nella parte in cui non prevede l’ipotesi di revoca della
condanna nel caso di riconoscimento da parte della Corte EDU dell’inesistenza
del precetto per violazione dell’art. 117 Cost.
Il Tribunale riteneva l’istanza inammissibile per essere intervenuta
l’esecuzione della pena inflitta a Gorgone, con esaurimento del rapporto
esecutivo, nonché per la mancanza di una norma che consenta al giudice
dell’esecuzione di revocare una sentenza di condanna in presenza. di una
pronuncia della Corte EDU emessa nei confronti di soggetto diverso.
Il Tribunale riteneva infondata la questione di legittimità costituzionale del
reato di concorso esterno in associazione mafiosa, non potendosi nemmeno
discutere della legittimità della norma in relazione all’evoluzione della
giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione; riteneva, altresì,
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 673 cod. proc. pen.,
atteso che la sentenza Contrada della Corte EDU non costituiva una “sentenza’
pilota”, poiché la Corte non aveva espressamente individuato un problema
sistematico o di carattere strutturale dell’ordinamento con riferimento all’ipotesi
astratta del concorso esterno in associazione mafiosa e, quindi, non aveva
evidenziato un contrasto tra norme di diritto interno e Convenzione EDU, né
aveva dettato specifiche misure da adottare per rimuovere il problema e tutelare
la posizione di chi si trovasse nella medesima posizione del ricorrente.
Inoltre, la decisione della Corte non era nemmeno espressione di diritto
consolidato e, ancora, non era stata pronunciata dalla Grande Camera.

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Bruno Contrada per il medesimo reato, con la quale era stata riconosciuta la

2. Ricorrono per cassazione i difensori di Francesco Paolo Gorgone,
deducendo violazione dell’art. 673 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Ribadendo che l’incidente di esecuzione

è lo strumento principale di

conformazione dell’ordinamento interno ad una pronuncia della Corte EDU,
poiché il giudice dell’esecuzione ha il ruolo di costante controllo di legalità delle
norme penali dopo il formarsi del giudicato, il ricorrente sottolinea il proprio
interesse ad ottenere la revoca della sentenza di condanna, pur non essendo più
in esecuzione la pena detentiva inflitta, in ragione degli effetti penali della

caso di ulteriori condanne, del beneficio della sospensione condizionale della
pena, gli effetti sul cumulo ai sensi dell’art. 657 comma 2 cod. proc. pen.,
l’applicazione della recidiva, l’impossibilità di ottenere il beneficio della non
menzione.

In un secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione all’affermazione dell’impossibilità di applicazione
analogica dell’art. 673 cod. proc. pen. al caso di specie.
In effetti, se lo strumento è utilizzabile per una condanna per fatti che,
successivamente alla loro commissione, hanno cessato di costituire reato,

a

fortiori non può permanere in vita una condanna per fatti che, al momento della
loro commissione, non costituivano reato. L’interpretazione costituzionalmente
orientata della norma imponeva di ritenerla applicabile anche al caso in esame,
tenuto conto dell’obbligo per lo Stato di conformarsi alla pronuncia della Corte
EDU che riconosce una violazione della Convenzione.

In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento al mancato accoglimento della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 673 cod. proc. pen. così come prospettata.
Il ricorrente non aveva mai sostenuto che la sentenza della Corte EDU
Contrada fosse una “sentenza pilota”; piuttosto, che la sentenza era espressione
di un diritto consolidato, di un orientamento ormai divenuto definitivo: quello
dell’irretroattività della norma penale incriminatrice sancito dall’art. 7 della
Convenzione. La Corte europea aveva applicato più volte questo principio,
prescindendo dalla fonte della norma penale e, quindi, anche con riferimento a
precetti di matrice giurisprudenziale che rendessero l’atto punibile; aveva
ritenuto, quindi, che Contrada fosse stato punito sulla base di una norma penale
entrata in vigore dopo il fatto commesso.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata o, in
subordine, per la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di

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sentenza: l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, l’impossibilità di usufruire, in

legittimità dell’art. 673 cod. proc. pen. e chiede la remissione della controversia
alle Sezioni Unite.

3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto
del ricorso.

4. I ricorrenti hanno depositato memoria con la quale insistono per la
remissione alle Sezioni Unite, alla luce dell’importanza della questione e del

sentenza della Corte EDU Contrada è espressione di diritto consolidato in base al
quale la fattispecie di reato deve essere sufficientemente chiara e prevedibile;
infine sostengono l’equiparabilità della posizione di Contrada a quella di Gorgone,
atteso che la Corte EDU aveva individuato nella sentenza delle Sezioni Unite
Demitry del 1994 la pronuncia con la quale era stato ammesso in maniera
esplicita l’esistenza del reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Questa Corte ha già affermato che lo strumento per adeguare l’ordinamento
interno ad una decisione definitiva della Corte EDU va individuato, in via
principale, nella revisione introdotta dalla sentenza additiva della Corte
costituzionale n. 113 del 2011, applicabile sia nelle ipotesi di vizi procedurali
rilevanti ex art. 6 della Convenzione EDU, sia in quelle di violazione dell’art. 7
della stessa Convenzione che non implichino un vizio assoluto di responsabilità
(per l’assenza di una norma incriminatrice al momento del fatto), ma solo un
difetto di prevedibilità della sanzione – ferma restando la responsabilità penale o che comunque lascino aperte più soluzioni del caso; lo strumento dell’incidente
di esecuzione, invece, può essere utilizzato solo quando l’intervento di rimozione
o modifica del giudicato sia privo di contenuto discrezionale, risolvendosi
nell’applicazione di altro e ben identificato precetto senza necessità della previa
declaratoria di illegittimità costituzionale di alcuna norma, fermo restando che,
qualora l’incidente di esecuzione sia promosso per estendere gli effetti favorevoli
della sentenza della Corte EDU ad un soggetto diverso da quello che l’aveva
adita, è necessario anche che la predetta decisione (pur non adottata nelle forme
della “sentenza pilota”) abbia una obiettiva ed effettiva portata generale, e che
la posizione dell’istante sia identica a quella del caso deciso dalla Corte di
Strasburgo (Sez. 1, n. 44193 del 11/10/2016 – dep. 18/10/2016, Dell’Utri, Rv.
267861).

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contrasto tra pronunce di Sezioni diverse di questa Corte, e ribadiscono che la

La trattazione amplissima svolta in quella pronuncia non può che essere
richiamata in questa sede, vertendo essa su fattispecie identica a quella oggetto
dell’odierno ricorso, vale a dire quella di soggetto condannato per concorso
esterno in associazione mafiosa per condotte precedenti al 1994; con l’unica
differenza – esattamente sottolineata dal Procuratore Generale – che nel caso di
Gorgone la condotta contestata giungeva fino al marzo 1993 (per Dell’Utri
giungeva fino al 1992), quindi in un’epoca in cui erano già state emesse
sentenze di questa Corte che confermavano la configurabilità del concorso

Anche in questa sede devono, quindi, essere ribaditi i passaggi fondamentali
di quella motivazione: l’errore del giudice dell’esecuzione nel dichiarare
inammissibile (e non rigettare) l’istanza; i limiti dei poteri del giudice
dell’esecuzione, le cui competenze sono predeterminate dal legislatore e che non
può essere trasformato in risolutore di ogni questione attinenti a vizi o violazioni
presenti nel giudizio di cognizione; la conseguente eccezionalità del ricorso
all’incidente di esecuzione per rispondere a decisioni della Corte EDU prima della
sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 2011 che ha introdotto la nuova
ipotesi di revisione; la necessità – dimostrata dal caso Ercolano – di passare
attraverso una declaratoria di illegittimità costituzionale per ottenere l’effetto di
una pronuncia della Corte EDU a favore di un soggetto diverso da colui che
aveva proposto il ricorso; la preferenza verso lo strumento della revisione, salvo
che esso risulti superfluo per la possibilità di sostituire la pena irrogata con
quella conforme al dettato della Corte EDU già predeterminata (come nel caso di
Ercolano); la possibilità di ricorrere all’incidente di esecuzione solo se la
decisione della Corte EDU abbia la natura di “sentenza pilota” o comunque abbia
portata generale, le situazioni in comparazione siano identiche e non sia
necessaria la previa declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma, né
l’intervento di rimozione del giudicato presenti contenuto discrezionale.
La difesa del ricorrente ammette espressamente che la sentenza Contrada
non ha natura di “sentenza pilota”; sostiene, tuttavia, che essa era espressione
di un diritto consolidato, di orientamento divenuto definitivo in punto di
irretroattività della norma penale incriminatrice sancita dall’art. 7 della CEDU;
ma la sentenza pronunciata da questa Corte su ricorso di Dell’Utri delimita la
portata “generale” della decisione sopranazionale, osservando che l’alternativa
evocata nel processo Contrada non era tra fatto lecito/fatto illecito, ma tra
condotta punita più o meno gravemente in relazione alla qualificazione giuridica
attribuitagli (concorso esterno in associazione mafiosa ovvero favoreggiamento
personale), con la conseguenza che “il limitato ‘contenuto generale’ di tale

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esterno in associazione mafiosa.

decisione è ricollegabile a due condizioni ulteriori, fermo restando il dato
temporale della condanna (ante ’94) per concorso esterno: a) che le ricadute
negative del conflitto interpretativo sulla persona dell’accusato siano ad un
esame ex post percepibili attraverso l’esame della condotta processuale tenuta
da costui, data l’ineliminabile componente soggettiva del giudizio di
imprevedibilità; b) che sia stata, in tal senso, almeno sollecitata dalla parte una
diversa qualificazione giuridica del fatto, posto che il deficit di prevedibilità – nel

Così come fatto in quella pronuncia per Dell’Utri, anche nel presente
procedimento si deve negare l’identità delle posizioni di Contrada e Gorgone: per
la diversa epoca di consumazione del delitto (pur sempre precedente alla
sentenza Demitry del 1994); per avere Contrada sempre contestato davanti al
giudice nazionale la prevedibilità della sanzione, sostenendo la possibilità di
qualificare diversamente la condotta nel reato di favoreggiamento personale,
sostanzialmente fin dall’inizio evocando la violazione dell’art. 7 CEDU, mentre la
difesa di Gorgone non rivendica una tale linea processuale.
In definitiva, anche per il presente ricorso si deve escludere in radice che
l’incidente di esecuzione possa ritenersi la sede idonea per la ridiscussione della
legalità convenzionale della decisione definitiva di condanna emessa nei confronti
di Gorgone Francesco Paolo, atteso che non emerge alcuna conclusione obbligata
nel senso della rimozione della affermazione di penale responsabilità.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 673 cod. proc. pen. risulta,
quindi, manifestamente infondata, oltre che irrilevante per la soluzione del caso,
atteso che l’impossibilità di revocare la sentenza di condanna da parte del
Giudice dell’esecuzione deriva dalla diversità delle posizioni di Contrada e
Gorgone e dalla presenza dello strumento della revisione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 10 aprile 2017

caso Contrada – riguarda essenzialmente la sanzione”.

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