Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5356 del 05/11/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 5356 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
SCANDURRA Giuseppe n. Messina il 18 marzo 1955
avverso la sentenza emessa il 25 settembre 2013 dalla Corte di appello di Messina

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Sante Spinaci, che ha
chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 05/11/2014

2.
Considerato in fatto
1. Con sentenza in data 25 settembre 2013 la Corte di appello di Messina ha
confermato la sentenza emessa il 25 ottobre 2010 dal Tribunale di Messina, sezione
distaccata di Taormina, con la quale Scandurra Giuseppe era stato dichiarato colpevole
del reato di appropriazione indebita, continuata e aggravata ai sensi dell’art.61 n.11
cod.pen., di una specchiera affidatagli per il restauro da De Luca Domenica e alla
stessa non restituita alla data dell’agosto 2006. Lo Scandurra era stato condannato

separatamente, e alla rifusione delle spese in favore della parte civile.
2.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha presentato ricorso per

cassazione, tramite il difensore, deducendo:
1) la violazione ed erronea applicazione degli artt.476 e 603 cod.proc.pen. e, inoltre,
la carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata riapertura
dell’istruzione dibattimentale, richiesta con i motivi di appello, per il nuovo esame
delle testi Tornatore (proprietaria del locale in cui l’imputato svolgeva la sua attività di
restauratore, all’interno del quale si trovava la specchiera che non aveva restituito
essendo stato costretto a lasciare il laboratorio perché sfrattato), De Luca
(proprietaria della specchiera) e, inoltre, per l’esame del genero della Tornatore -al
quale l’imputato aveva restituito le chiavi del locale dopo la notifica della convalida di
sfratto per morosità, assicurando che sarebbe tornato per ritirare le sue “masserizie”e dell’imputato;
2) la violazione ed erronea applicazione dell’art.192 cod.proc.pen. e la carenza e
manifesta illogicità della motivazione in quanto lo stesso giudice di primo grado aveva
dato per scontato che la specchiera, pronta per la consegna sin dal 2005, fosse
rimasta all’interno del locale di cui l’imputato, impossibilitato a pagare il canone di
locazione, aveva restituito le chiavi alla proprietaria tramite il genero di quest’ultima;
3) la violazione ed erronea applicazione degli artt.81, 646, 61 n.11 cod.pen. e, inoltre,
la carenza e manifesta illogicità della motivazione quanto all’interversione del
possesso, considerato anche che alla persona offesa De Luca erano stati riconsegnati
altri mobili di valore superiore;
4) la violazione ed erronea applicazione della legge n.241/2006 e degli artt.157 e 646
cod.pen. e, inoltre, la carenza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento
al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dei benefici di

alla pena di mesi due di reclusione oltre al risarcimento dei danni, da liquidarsi

legge, dell’indulto, alla mancata dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione e
all’erronea contestazione della continuazione e della circostanza aggravante prevista
dall’art.61 n.11 cod.pen.
E’ stata depositata in data 3 novembre 2014 una memoria difensiva a firma
dell’avv. C. Francesco Currò, con la quale si chiede l’accoglimento del ricorso.

3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista
dall’art. 603 comma primo cod. proc. pen., è subordinata alla verifica
dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del
giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria;
tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in
sede di legittimità se correttamente motivata (Cass. sez.IV 5 dicembre 2003 n.4981,
P.G. in proc.Ligresti; sez.IV 19 febbraio 2004 n.18660, Montanari).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez.III 7 aprile
2010 n.24294, D.S.B.; sez.VI 21 maggio 2009 n.40496, Messina; sez.VI 18 dicembre
2006 n.5782, Gagliano; sez.V 16 maggio 2000 n.8891, Callegari), il giudice d’appello
ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento
solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche
motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti
ad affermare o negare la responsabilità del reo.
Nella motivazione della sentenza impugnata la Corte territoriale ha evidenziato con motivazione espressa, esauriente e logicamente coerente- l’estrema genericità
della richiesta difensiva e, comunque, la sussistenza di elementi sufficienti per
decidere, con la conseguente mancanza di necessità di procedere alla riapertura
dell’istruzione dibattimentale.
3.2. Il secondo motivo è fondato su una diversa lettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del
giudice di merito ed è inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo
di motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata attraverso il

Ritenuto in diritto

richiamo alla puntuale ricostruzione della vicenda contenuta nella sentenza di primo
grado nell’ambito della quale era stata operata una valutazione critica di tutti gli
elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale con l’indicazione, pienamente coerente
sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di
responsabilità. La Corte di appello ha peraltro correttamente rilevato che la versione
difensiva, secondo la quale la specchiera era stata restaurata ed era a disposizione
della proprietaria sin dall’agosto 2005, non poteva essere ritenuta fondata in quanto

considerazione dell’imminenza dello sfratto e dell’indisponibilità di altro locale, la
persona offesa De Luca della possibilità di provvedere al ritiro. Il dato incontestato
dell’omessa restituzione della specchiera è stato pertanto, con motivazione immune da
vizi logici, valutato anche alla luce di tale comportamento dell’imputato.
3.3. Il terzo motivo è inammissibile in quanto tende soprattutto a sottoporre al
giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento
del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito.
Nel caso in esame, il giudice di primo grado, la cui motivazione è
legittimamente richiamata

per relationem

nella sentenza impugnata, aveva

ineccepibilmente osservato che la prova della responsabilità dell’imputato si desumeva
dal fatto che lo Scandurra, pur sollecitato dalla persona offesa, non aveva sporto
alcuna denuncia per la sottrazione della specchiera, mentre la teste Tornatore
(proprietaria della bottega da cui era stato sfrattato) aveva dichiarato che subito dopo
il rilascio dell’immobile aveva constatato che il locale era vuoto. Le conclusioni circa la
responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di
merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una
ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta
per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il
controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti
compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi
elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile. Esula infatti dai
poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice
di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di
una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali
(Cass. S.U. 30-4- 1997 n. 6402, Dessimone).

non risultava che l’imputato avesse avvisato, come avrebbe dovuto anche in

Quanto alle ulteriori deduzioni difensive, la Corte ne ritiene la manifesta
infondatezza. Il reato di appropriazione indebita può infatti essere integrato anche
dall’omessa restituzione del bene al legittimo proprietario, se (come nel caso in
esame) dal comportamento tenuto dal detentore si rilevi, per le modalità del rapporto
con la cosa, un’oggettiva interversione del possesso (Cass. sez.II 2 ottobre 2014
n.42977, P.M. in proc. Di Giacomo; sez.II 2 dicembre 2008 n.4440, Costantini).
Relativamente, infine, all’aggravante prevista dall’art.61 n.11 cod.pen., la

relazione di prestazione d’opera, previsto come aggravante dall’art. 61 n. 11 cod.
pen., si applichi a tutti i rapporti giuridici che comportino l’obbligo di un

facere,

bastando che tra le parti vi sia un rapporto di fiducia che agevoli la commissione del
reato, a nulla rilevando la sussistenza di un vincolo di subordinazione o di dipendenza.
3.4. Il quarto motivo è del pari inammissibile.
Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nella
motivazione della sentenza impugnata si fa riferimento ai numerosi precedenti penali,
anche per reati contro il patrimonio, dell’imputato come elemento ostativo al
riconoscimento delle circostanze previste dall’art.62-bis cod.pen. La concessione o
meno di dette attenuanti rientra tuttavia nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla
discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far
emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena
concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Cass. sez.VI 28
ottobre 2010 n.41365, Straface). Pertanto il diniego delle circostanze attenuanti
generiche può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo
dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri
(Cass. sez.VI 28 maggio 1999 n.8668, Milenkovic).
Della corretta contestazione dell’aggravante prevista dall’art.61 n.11 cod.pen. si
è già detto nell’esaminare il terzo motivo di ricorso.
Relativamente alla sospensione condizionale della pena, le doglianze sono
generiche in quanto l’esistenza di numerosi precedenti penali, anche specifici, come
causa ostativa è contestata solo genericamente nel ricorso in cui erroneamente si
sostiene che all’imputato “per errore o presupposizione, è stata contestata persino la
continuazione, nonostante l’ultima vicenda penale, nella quale è stato peraltro assolto,
in cui risulta coinvolto risalga a circa venti anni or sono”.

giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che la nozione di abuso di

C

In ordine alla richiesta di applicazione dell’indulto di cui alla legge n.241 del
2006, la Corte territoriale ha legittimamente ritenuto che il beneficio non fosse
applicabile perché la data di consumazione del reato, indicata nell’agosto del 2006,
non lo consentiva. A questo riguardo si osserva che nella motivazione della sentenza
di primo grado si sottolinea che la persona offesa per circa un anno, a partire
dall’ottobre 2005, aveva “inseguito” l’imputato per ottenere la restituzione della

Quanto alla prescrizione, le censure difensive, peraltro generiche, sono
manifestamente infondate in considerazione della data di consumazione del reato
risultante dalla contestazione e del mancato decorso alla data della sentenza
impugnata (25 settembre 2013) del termine massimo di prescrizione di sette anni e
sei mesi (oltre le sospensioni per effetto dei rinvii dal 7 giugno al 25 settembre 2013 e
dal 28 gennaio al 29 marzo 2010). L’inammissibilità del ricorso per cassazione, che
non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude peraltro la
possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata successivamente
alla sentenza impugnata con il ricorso (Cass. Sez.Un.22 novembre 2000 n.32, De
Luca; 27 giugno 2001 n.33542, Cavalera; 22 marzo 2005 n.23428, Bracale).
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa
delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in
euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 5 novembre 2014

specchiera ricevendo “ogni volta una versione diversa da quella precedente”.

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