Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53481 del 15/11/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 53481 Anno 2017
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PARDO IGNAZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SIVIERO ANTONIO nato il 27/07/1995 a NAPOLI

avverso la sentenza del 29/11/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IGNAZIO PARDO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIO MURA
che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

Data Udienza: 15/11/2017

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La CORTE APPELLO di NAPOLI, con sentenza in data 29/11/2016, parzialmente riformando la
sentenza pronunciata dal GIUDICE dell’UDIENZA PRELIMINARE di NAPOLI NORD, in data
08/06/2016, nei confronti di SIVIERO ANTONIO confermava la condanna in relazione al reato di cui
alli art. 628 CP riducendo la pena allo stesso inflitta.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato;
– vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti ed alla
omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Quanto al primo motivo va ricordato come il vizio di travisamento della prova può essere dedotto
con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, e cioè di condanna in primo
e secondo grado, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute
nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando
entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie
acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il
riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al
compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Rv
256837).
Inoltre ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della

Il ricorso è inammissibile perché manifestamente non fondato.

sentenza di appello di conferma si salda con quella di primo grado, per formare un unico
complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure
proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti

riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella
valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del
16/07/2013, Rv. 257595).

Nel caso in esame non si ravvisa né il presupposto della valutazione da parte del giudice di appello

di un differente materiale probatorio utilizzato per rispondere alle doglianze proposte avverso la
sentenza di primo grado né, tantomeno, il dedotto macroscopico travisamento dei fatti denunciabile
con il ricorso per cassazione; in particolare, il giudice di merito, ha già risposto con adeguata

motivazione a tutte le osservazioni della difesa dell’imputato che in sostanza ripropongono motivi di
fatto osservando che il compendio probatorio a carico del ricorrente si caratterizza per la presenza
di un duplice riconoscimento effettuato dalla persona offesa del tutto pienamente utilizzabile nel
presente rito abbreviato.
Inoltre, i giudici di primo e secondo grado, hanno altresì sottolineato, ad ulteriore conferma della
certa partecipazione del Siviero al fatto di reato, il rinvenimento all’interno del cellulare in uso al
medesimo di una fotografia che ritraeva altri soggetti a bordo della Triumph street triple appena

sottratta con la minaccia dell’arma al legittimo proprietario e tale dato appare logicamente
interpretato come univoca conferma della colpevolezza.
Quanto alle altre ragioni di doglianza deve in primo luogo essere osservato come i motivi di appello
proposti in tema di riconoscimento delle circostanze aggravanti appaiano del tutto generici; a fronte
delle specifiche osservazioni contenute nella sentenza di primo grado a pagina 6 della motivazione
sia con riferimento alla presenza di più persone riunite che all’uso di un’arma, esposte con ampio
riferimento a precedenti giurisprudenziali, l’appellante nella penultima pagina del gravame proposto
avanzava doglianze generiche ed anche confusamente esposte.

Orbene deve essere ricordato come l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per
difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi
critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo
restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla
specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U., n.
8825 del 27/10/2016, Rv. 268822).
L’applicazione del sopra esposto principio al caso in esame comporta che l’appellante ha l’obbligo di
censurare specificamente le argomentazioni esposte dal primo giudice con riferimento alla ritenuta
sussistenza di ciascuna delle circostanze aggravanti della rapina; ed una censura può ritenersi
adeguatamente specifica solo quando si confronti con le ragioni argomentative esposte dal giudice

confutate dal giudice di prime cure circa la prova dell’uso dell’arma o della partecipazione al fatto di
più persone riunite.
Difatti avendo il GUP del Tribunale di Napoli Nord fatto specifico riferimento alla consumazione del

di primo grado e non anche ove, come nel caso di specie, si limiti a riproporre prospettazioni già

fatto “mediante la presenza di complici al cospetto della persona offesa, così da eliminare o
comunque diminuire la forza di reazione di quest’ultima” l’appellante non poteva limitarsi a
contestarne l’esistenza sotto il profilo della prova sussistendo a suo carico l’obbligo di confrontarsi
specificamente con tale argomentazione.
Ed analogamente per l’aggravante dell’uso dell’arma, avendo il primo giudice richiamato l’esistenza

di tale strumento e la sua efficacia intimidatoria pur a volerlo ritenere arma c.d. giocattolo,
l’appellante non avrebbe potuto limitarsi a dedurre una generica qualificata “carenza di indizi” e
l’assenza di elementi di riscontro, trattandosi di argomentazioni generiche e non specifiche rispetto
alle puntuali osservazioni compiute dal primo giudice.
E poiché non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di
appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (Sez.
2, n. 13826 del 17/02/2017, Rv. 269745) il secondo motivo di ricorso relativamente alle aggravanti
è parimenti inammissibile.

In ogni caso in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una
specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla

motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 1, sent. n. 27825 del 22/05/2013,
dep. 26/06/2013, Caniello ed altri, Rv. 256340); e nel caso in esame il giudice di appello con le

osservazioni svolte a pagina 3 della motivazione nella parte ricostruttiva del fatto confermava
l’esistenza delle contestate e ritenute aggravanti.

Infine la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione
esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688

del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui
non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti
generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n.3609 del
18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento
della somma, che ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro duemila a favore della cassa delle ammende.
Sentenza a motivazione semplificata.

Così deciso il 15/11/2017
Il Ctonsigliere Estenso

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