Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53479 del 15/11/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 53479 Anno 2017
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: COSCIONI GIUSEPPE

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PERELLI GIUSEPPE nato il 14/04/1967
ERBANTE NICOLA nato il 24/08/1965
ERBANTE FRANCESCO nato il 18/05/1975
RESTA BIAGIO nato il 27/09/1959

avverso la sentenza n. 478/2014 del 05/10/2015 della CORTE APPELLO di
LECCE, SEZ.DIST. di TARANTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE COSCIONI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIO MURA
che ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi di Giuseppe Perelli e Francesco
Erbante; l’inammissibilità del ricorso di Biagio Resta e Nicola Erbante, in
subordine il rigetto
Udito il difensore di Avv.Francesco PESARE per Nicola Erbante, il quale ha
chiesto l’accoglimento del ricorso
Udito il difensore Avv.Enrico ROMUALDO in sostituzione dell’Avv.Alessio
CARLUCCI per Biagio Resta, il quale si è riportato ai motivi di ricorso;

Data Udienza: 15/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza del 5 ottobre 2015, la Corte di appello di Lecce-

sezione distaccata di Taranto- riduceva la pena inflitta a Giuseppe Perelli e
Francesco Erbante e confermava la condanna inflitta in primo grado a Nicola
Erbante e Biagio Resta; Perelli era imputato di usura commessa ai danni di Luigi
Emilio Minelli (capo Z), Mirka Maggiani e Luigi Emilio Minelli (capo Al), Nicola
Scarci (capo C1), Vito Fuggetti (capo F1), estorsione ai danni di Nicola Scarci
Gl) e tentata

minaccia ai sensi dell’art. 611 cod.pen. ai danni di Vito Fuggetti (capo H1);
Francesco Erbante era imputato di usura ai danni di Luigi Emiliio Minelli (capo V),
Nicola Scarci (capo B1), tentata estorsione ai danni di Luigi Emilio Minelli e Nicola
Scarci (capo El); Nicola Erbante di usura ai danni di Nicola Scarci (capo B1);
Biagio Resta di usura ai danni di Mirka Maggiani e Luigi Emilio Minelli (capo Al).
1.1 Avverso la sentenza ricorre per Cassazione il difensore di Giuseppe Perelli,
eccependo che immotivatamente non erano state concesse le attenuanti
generiche, negate per i precedenti penali di cui era gravato Perelli, senza
considerare che gli episodi delittuosi erano lontani nel tempo; non poteva certo
ritenersi sufficiente una motivazione che fondava il diniego della concessione in
parola sul rilievo che la pena in concreto risultava proporzionata all’entità del
fatto ed alla personalità del soggetto.
2.1 Ricorre per cassazione anche Francesco Erbante, censurando l’applicazione
dell’art. 62 bis cod.pen. con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate
aggravanti; l’imputato era infatti incensurato ed aveva rinunciato ai motivi di
appello ad eccezione di quelli relativi alla pena, per cui la motivazione con la
quale non era stato effettuato un giudizio

di

prevalenza delle attenuanti

generiche sulle contestate aggravanti era illogica.
3.1 II difensore di Nicola Erbante propone ricorso, eccependo l’illogicità della
motivazione in relazione alla errata valutazione del verbale di sommarie
informazioni del 19.02.2009 di Nicola Scarci ed alla mancata valutazione del
verbale di interrogatorio reso da Luigi Minelli in sede di rito abbreviato dell’11.1.
2013: nella motivazione della sentenza impugnata non si faceva alcun
riferimento a intercettazioni di conversazioni intercorse tra il ricorrente e Scarci o
Minelli, per cui il riferimento alle stesse contenute nella motivazione non era
riconducibile a Nicola Erbante; già in atto di appello era stato poi precisato che le
dichiarazioni delle persone offese non erano accusatorie nei confronti del
ricorrente; la Corte territoriale non aveva motivato sulle censure proposte in
appello relative al periodo in cui i prestiti sarebbero stati elargiti, alle somme
prestate ed a quanto tempo intercorresse tra la dazione delle somme ed il

2

(capo D1), tentata estorsione ai danni di Vito Fuggetti (capo

momento del pagamento del debito, per cui non si comprendeva come fosse
stato fissato un tasso di interesse al 120%; il verbale di sommarie informazioni
di Scarci citato dalla Corte di appello a pag. 16 della sentenza impugnata non era
riferibile alla posizione del ricorrente (per il quale si faceva solo menzione del
cambio di assegni, senza citare tasso di interessi e somme versate), ma solo a
quella del fratello Francesco; nel verbale di interrogatorio di Minelli
dell’11.1.2013, quest’ultimo affermava di non aver avuto rapporti con Nicola
Erbante, così smentendo quanto riferito da Scarci; la richiesta fatta a Scarci di

era stata fatta da Francesco Erbante, mentre Nicola Erbante era soltanto la
persona che doveva provvedere al passaggio di proprietà in favore di Francesco
Erbante; il fatto che Nicola Erbante avesse chiesto informazioni a Scarci e Minelli
sull’avviso di conclusione delle indagini preliminari a lui notificato poteva
costituire la reazione di chi, sapendo di essere innocente, aveva ricevuto il
suddetto avviso per una denuncia sporta da persone con cui non aveva mai
avuto rapporti.
4.1 Ricorre per cassazione il difensore di Biagio Resta, eccependo che la
sentenza della Corte territoriale pretendeva di riconoscere la responsabilità del
ricorrente per il reato di usura per fatti che non si sapeva quando e dove fossero
avvenuti, con quali modalità e in danno di chi; unico elemento a carico del
ricorrente erano le dichiarazioni di Mirka Maggiani e Luigi Emilio Minelli,
contrastate dall’assenza di alcuna altra prova; inoltre nessuno dei due soggetti
affermava di aver contratto prestiti usurari con il ricorrente e gli stessi si
contraddicevano sulla somma oggetto di prestito; già nell’atto di appello si era
quindi evidenziato che non risultavano provati: la persona o le persone con cui
Resta avrebbe posto in essere le operazioni a carattere usurario; la natura e la
causale di tali operazioni; l’importo o gli importi che costituivano la sorte capitale
degli asseriti prestiti usurari; l’importo o gli importi che sarebbero stati restituiti;
l’ammontare del tasso di interesse praticato nelle asserite singole operazioni di
carattere usurario; le singole circostanze di tempo e luogo in cui si sarebbero
concretizzate le suddette operazioni.
Inoltre, nonostante fosse stata contestata l’aggravante dell’aver approfittato
dello stato di bisogno, non era stato individuato il soggetto vittima dell’usura,
visto che sia la Maggiani che Minelli individuavano nell’altro la persona del
debitore
4.2 Il difensore eccepisce inoltre che mancava qualsiasi prova dell’elemento
materiale del reato di cui all’art. 644 cod.pen., essendo erronea l’affermazione
della Corte territoriale secondo la quale Resta sarebbe stato l’alter ego di Perelli,
posto che Minelli si era limitato ad affermare che Resta era un soggetto

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denunciare lo smarrimento della targa posteriore precedentemente sottrattagli,

partecipante in maniera occasionale ad un ipotetico e non provato rapporto
triangolare con la Maggiani; inoltre la Corte di appello non spendeva una parola
con riguardo all’asserita condotta posta in essere in danno della Maggiani;
malgrado la Maggiani e Minelli fossero stati considerati come persone offese del
reato, nessuno dei due diceva di avere subito l’usura in prima persona, indicando
l’altro come debitore; mancava poi qualsiasi prova di tipo documentale, posto
che sulle tre cambiali prodotte in fotocopia da Minelli le due persone offese si
contraddicevano; non si comprendeva poi come si potesse ritenere che, in

sottoscrizione per girata di Resta ed era materialmente impossibile calcolare il
tasso di interesse in assenza della sorte capitale asseritamente mutuata e del
termine di restituzione della stessa.
4.3 II difensore osserva poi come le dichiarazioni di Minelli avrebbero dovuto
essere valutate in maniera particolarmente approfondita in quanto lo stesso era
responsabile di intermediazione usuraria; i giudici di appello avevano condiviso la
singolare tesi secondo cui la ritrattazione fatta in dibattimento da Minelli, tanto
da giustificare la trasmissione del verbale di udienza alla Procura della
Repubblica, anziché minarne la credibilità, contribuiva a dare maggiore solidità
alle originarie accuse, senza compiere alcuna indagine approfondita sulla
credibilità delle persone offese, che si erano contraddette su soggetto titolare
della originaria posizione debitoria, ammontare della stessa e soggetto che
pagava le cambiali.
4.4. Il difensore eccepisce come già in appello era stato osservato che mancava
la prova del ruolo di Resta quale concorrente nel reato, non essendovi alcuna
intercettazione che lo riguardasse e non essendo dato di capire in cosa fosse
consistito il concorso posto in essere.
4.5 II difensore lamenta come nei motivi di appello era stata chiesta una
maggiore riduzione delle pena per la concessione delle attenuanti generiche,
posto che non vi era prova dello stato di bisogno del soggetto asseritamente
sottoposto ad usura, ma tale profilo di censura era stato respinto dalla Corte di
appello che, così facendo, aveva riconosciuto a Resta, imputato di un solo reato,
un trattamento sanzionatorio più severo di altri imputati chiamati a rispondere di
diversi, e più gravi, capi di imputazione; si evidenziava come mancasse una
prova processualmente certa circa l’ammontare del tasso di interesse praticato e
che non si comprendeva chi fosse il soggetto in stato di bisogno; si chiedeva
pertanto l’annullamento della sentenza impugnata e, in subordine e in ogni caso,
la diminuzione della pena nel minimo edittale, previa esclusione dell’aggravante
ex art. 644 comma 5 n.3 cod.pen. con il minimo aumento per la continuazione
ed il riconoscimento delle attenuanti generiche

4

‘Cr\’

assenza di qualsiasi perizia grafologica, gli effetti cambiari riportassero la

4.6 II difensore presentava poi una integrazione del ricorso nella quale
sottolineava che nessuno aveva riferito di avere ricevuto da Resta denaro in
prestito, come emergeva dal contenuto delle sommarie informazioni testimoniali
rese da Minelli in data 19.2.2009 e dalla Maggiani in data 4.3.2009: quanto al
ruolo di Resta quale concorrente nel reato, l’unico momento in cui il suo nome
veniva associato a quello di Perelli era nel verbale di sommarie informazioni
testimoniali rese da Minelli il 25.2.2009, in cui Minelli si limitava a dire che gli era

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono manifestamente infondati.
1.1 Relativamente al ricorso di Perelli, si deve ricordare che in tema di
attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione
normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più
favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di
peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di
esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai
essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il
giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni
possibile profilo l’affermata insussistenza; al contrario, secondo una
giurisprudenza consolidata di questa Corte Suprema, è la suindicata
meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di
apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono
stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così,
ex plurimis, sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, rv. 192381; sez. 1 n.
12496 del 02/09/1999, Guglielmi ed altri, rv. 214570; sez. 6, n. 13048 del
20/106/2000, Occhipinti ed altri, rv. 217882; sez. 1, n. 29679 del 13/06/2011,
Chiofalo ed altri, rv. 219891); in altri termini, dunque, va ribadito che l’obbligo di
analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la
decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la
decisione opposta (cfr. sez.2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace ed altro, rv.
245241, e sez.4, n. 43424 del 29/09/2015).
Nella specie la corte territoriale ha pure esposto i motivi del diniego
ritenendo che”Perelli è attinto da condanne per detenzione illegale di armi e
ricettazione che ne tratteggiano negativamente la personalità, specie alla luce
dei fatti accertati nel presente giudizio” (pag.18 sentenza impugnata); a fronte di
tale motivazione, il ricorrente non ha indicato alcun elemento dal quale
emergerebbe invece la meritevolezza del beneficio richiesto; il ricorso è pertanto
inammissibile.

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stato chiesto se era stato interrogato dalla polizia.

2.1 Francesco Erbante lamenta invece come non sia stato effettuato un
giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche sulle contestate
aggravanti, richiamando la sua incensuratezza e il corretto comportamento
processuale, derivante dalla rinuncia ai motivi di appello ad eccezione di quelli
sulla pena; a tale proposito, si deve osservare che la sentenza di primo grado ha
riconosciuto al ricorrente le circostanze attenuanti generiche con giudizio di
equivalenza in relazione alle contestate circostanze aggravanti, e la Corte di
merito ha valutato come congrua la pena inflitta, condividendo il giudizio di

Anche questo motivo è pertanto manifestamente infondato, alla luce del
pacifico orientamento di legittimità, secondo cui in tema di concorso di
circostanze, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze
aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimità soltanto
nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico, e
non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza
allorché il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’art. 69 cod.
pen., l’abbia ritenuta la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena in
concreto irrogata (Sez. 5, sentenza n. 5579 del 26/09/2013, dep. 04/02/2014,
Sub o ed altro, Rv. 258874; Sez. 6, sentenza n. 6866 del 25/11/2009, dep.
19/02/2010, Alesci ed altri, Rv. 246134); nel caso in esame, la Corte di merito,
nel confermare il giudizio di equivalenza, ha osservato come il trattamento
sanzionatorio sia stato determinato in misura assai prossima al minimo edittale.
3.1 Relativamente al ricorso di Nicola Erbante, si deve rilevare innanzitutto
come non corrisponda al vero che vi sia una genericità nella indicazione delle
somme prestate, del tempo della restituzione e degli interessi praticati; la Corte
di appello, a pag.13 della sentenza impugnata, ha precisato che “le persone
offese hanno espressamente indicato il tasso di interesse praticato dagli
imputati, che era pari, a seconda dei casi, al 10%-15%-20%-30% mensile,
dunque dotato di penale rilevanza assolutamente manifesta, perché ben
superiore al 100% annuo”; nel capo di imputazione è espressamente indicato
che Nicola Erbante e Francesco Erbante “si facevano dare o promettere da Scarci
Nicola in corrispettivo di prestazioni di denaro (cambio assegni per circa 70.000
euro) interessi usurari nella misura del 15-20% mensile)” e la sentenza di primo
grado a pag.15 evidenzia come Nicola Scarci si era rivolto ai fratelli Erbante al
fine di ottenere il cambio di assegni “con applicazione di una percentuale
variabile tra il 15% ed il 20%, si ritiene, ancorchè non precisato, mensile”; ciò
che viene riportato nelle sentenze dei due gradi di giudizio è esattamente ciò che
emerge dal verbale delle dichiarazioni di Scarci del 19 febbraio 2009, prodotto
dalla difesa: “…essendo venuto a conoscenza che i fratelli Erbante potevano

equivalenza formulato in primo grado.

venirmi incontro in tal senso, chiedevo direttamente a Erbante Francesco se
potesse cambiarmi degli assegni. Aderendo alla mia richiesta, mi faceva subito
presente che in cambio si sarebbero trattenuti una percentuale che variava dal
15 al 20% sull’importo totale dell’assegno. Ad esempio: se io chiedevo il cambio
di un assegno da 1.000,00 euro, Erbante mi consegnava in contanti la somma di
800,00 euro. Così facendo, nel corso del tempo e sino ad oggi, ritengo di aver
chiesto il cambio di svariati assegni per l’importo di circa 70.000 euro. Preciso
che il cambio degli assegni è avvenuto sia con Erbante Francesco sia con il

Premesso pertanto che nessuna genericità sussiste, in quanto il tasso di
interesse era praticato già al momento della dazione dell’assegno da parte di
Scarci, che riceveva infatti una somma inferiore rispetto a quella contenuta
nell’assegno (sul punto vedi Sez.2,n.16215/2014, Sisto: “commette il delitto di
usura chi, approfittando dello stato di bisogno di una persona, in cambio di un
assegno bancario postdatato, le corrisponde a titolo di prestito il controvalore,
dopo aver detratto interessi manifestamente sproporzionati ai giorni intercorrenti
tra la data di ricevimento del titolo e quella della sua esigibilità”), risulta erroneo
il richiamo al citato verbale, del quale il ricorrente riporta soltanto il passo
successivo a quello sopra riportato, utilizzato per la motivazione dalla Corte di
appello.
Quanto alla affermazione di Scarci che anche il suo collaboratore Minelli
aveva contratto prestiti con i fratelli Erbante che, a parere della difesa, sarebbe
smentita dalle dichiarazioni di Minelli, il ricorrente non si confronta con la
motivazione della Corte di appello contenuta a pag. 17 secondo cui “lo Scarci ha
dichiarato solo di aver avuto personali rapporti finanziari con i fratelli Erbante
anche nell’interesse di Minelli…e tanto spiega l’assenza di riferimenti del Minelli a
Erbante Nicola, che mai ha accusato di usura”.
Il ricorrente, nelle ultime due pagine del ricorso, sostiene poi che la Corte
territoriale avrebbe errato nella valutazione delle dichiarazioni di Scarci, con ciò
proponendo una inammissibile censura di merito: questa Corte regolatrice ha
infatti più volte rilevato che anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e),
per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del
sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione,
essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione
di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n.
17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 234109); pertanto, in sede di legittimità,
non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una

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fratello di questi, ossia Nicola”.

diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis
Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.244181).
4.1 Passando al ricorso di Resta, si deve rilevare come lo stesso si limiti in
larga parte a reiterare i motivi di appello, con ciò non assolvendo all’onere di
specificità del ricorso: secondo il consolidato e condivisibile orientamento di
legittimità (per tutte, Sez. 4 n. 15497 del 22/02/2002 Ud. (dep. 24/04/2002),
Rv. 221693; Sez. 6 n. 34521 del 27/06/2013 Ud. (dep. 08/08/2013), Rv.
256133), è infatti inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga

considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di
appello non siano stati accolti.
L’affermazione secondo le quali Resta non avrebbe avuto rapporti di natura
usuraria con le persone offese Minelli e Maggiani è smentita dalle dichiarazioni di
Minelli (il cui verbale di sommarie informazioni del 19 febbraio 2009 è stato
prodotto dal difensore), che, dopo aver riferito che la Maggiani versava a Perelli
il 10% su ogni cambio di assegno, afferma che “nel momento in cui il Perelli, a
suo dire, non poteva soddisfare il cambio dei titoli chiesti dalla Maggiani si
avvaleva della complicità di tale Biagio Resta….dal momento in cui la Maggiani
non ha più onorato i suoi impegni con Perelli e Resta, questi ultimi, poiché ero
stato io a presentare loro la donna, hanno preteso da me la restituzione del
denaro e dei conseguenti interessi maturati, pari ad un totale di circa 30.000
euro…”; il rapporto di debito di Minelli con Resta viene confermato dalla Maggiani
nel verbale del 4 marzo 2009 e la Corte di appello ha ritenuto che il riscontro alle
dichiarazioni delle due persone offese è costituito dalle tre cambiali in fotocopia
prodotte da Minelli, sulle quali vi è la girata di Resta, ritenendo che il contrasto
tra la Maggiani e Minelli sulla persona del debitore, che ognuno ha individuato
nell’altro, non inficia la loro attendibilità; trattandosi di valutazioni di merito,
esse sono insindacabili nel giudizio di legittimità posto che il metodo di
e
valutazione delle prove s-i-a)conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare
scevro da vizi logici (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U.,
n. 12 del 31.5.2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003,
Petrella, Rv. 226074 ), come appunto si rileva nel caso di specie.
Il ricorrente sostiene più volte (alle pagine 3,9 e 16 del ricorso e nella
integrazione) come né Minelli, né la Maggiani abbiano affermato di avere
contratto prestiti usurari con lui, senza considerare che questa Corte ha ormai
abbandonato l’orientamento che attribuiva all’usura la natura di reato istantaneo,
sia pure con effetti permanenti, e ha affermato che “in tema di usura, qualora
alla promessa segua – mediante la rateizzazione degli interessi convenuti – la
dazione effettiva di essi, questa non costituisce un post factum penalmente non

8

pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello, senza prendere in

punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna,
mediante la concreta e reiterata esecuzione dell’originaria pattuizione usuraria, il
momento consumativo “sostanziale” del reato, realizzandosi, così, una situazione
non necessariamente assimilabile alla categoria del reato eventualmente
permanente, ma configurabile secondo il duplice e alternativo schema della
fattispecie tipica del reato, che pure mantiene intatta la sua natura unitaria e
istantanea, ovvero con riferimento alla struttura dei delitti cosiddetti a condotta
frazionata o a consumazione prolungata.” (n. 11055 del 1998 Rv. 211610, n.

Aderendo allo schema giuridico dell’usura intesa appunto quale delitto a
consumazione prolungata o – come sostiene autorevole dottrina – a condotta
frazionata, ne deriva che effettivamente colui il quale riceve l’incarico di
recuperare il credito usurario e riesce ad ottenerne il pagamento concorre nel
reato punito dall’art. 644 c.p., in quanto con la sua azione volontaria fornisce un
contributo causale alla verificazione dell’elemento oggettivo di quel delitto.
Anche a voler seguire il ragionamento della difesa, è del tutto irrilevante,
pertanto, che Resta non sia intervenuto nella fase del prestito, ma soltanto in
quella della riscossione, come hanno riferito sia Minelli (affermando che Resta e
Perelli pretesero la restituzione da lui del denaro prestato alla Maggiani e degli
interessi)che la Maggiani (che ha riferito di avere sottoscritto le cambiali in
favore di Resta).
4.2 Nel secondo motivo di ricorso viene lamentato che la Corte territoriale
non ha svolto un rigoroso controllo sulle dichiarazioni delle persone offese, in
particolare, per quanto riguarda Minelli, ai sensi dell’art. 192 comma 3
cod.proc.pen.: la Corte territoriale sul punto ha risposto ritenendo che le
condotte di Minelli fossero prive di penale rilevanza, e tale giudizio costituisce
accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità (sul punto vedi Sez.
6, n. 43693 del 30/09/2013 Ud., dep.28/10/2013 Rv.258153: “È inammissibile il
motivo di ricorso per cassazione che censura l’erronea applicazione dell’art. 192,
comma terzo, cod. proc. pen. quando è fondato su argomentazioni che si
pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla
denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dall’art. 606, comma
primo, lett. E), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione del giudice di merito
in ordine alla ricostruzione del fatto.”)
Quanto alla attendibilità delle persone offese, la Corte di appello ne ha
parlato diffusamente evidenziando la credibilità delle stesse nelle pagine da 10 a
13 , svolgendo quindi quella verifica rigorosa e più penetrante rispetto a quella
cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone: in particolare, la
Corte territoriale ha richiamato la sentenza del giudice di primo grado nella parte

9
Vv,r`-

41045/05 n.34910 del 2008, Rv. 241818).

in cui ha precisato che l’inchiesta è nata non dalle denunce delle vittime di usura
(che avrebbero magari avuto intenti vendicativi o l’intenzione di sottrarsi alle
obbligazioni contratte), ma dal loro coinvolgimento solo a seguito delle
intercettazioni disposte, evidenziando che le successive ritrattazioni escludono
qualsiasi intento calunnioso.
4.3 Sulla censura secondo la quale a carico di Resta non vi sarebbe alcuna
prova di un suo concorso nel reato, si richiamano le considerazioni svolte dalla
Corte territoriale secondo le quali Minelli aveva indicato Resta quale alter ego di

interesse (pag.15 sentenza impugnata).
4.4 Relativamente all’aggravante di cui al comma 5 n.3 dell’art. 644
cod.pen., questa Corte ha più volte affermato che “Lo stato di bisogno della
persona offesa del delitto di usura può essere provato anche in base alla sola
misura degli interessi, qualora siano di entità tale da far ragionevolmente
presumere che soltanto un soggetto in quello stato possa contrarre il prestito a
condizioni tanto inique e onerose. (Fattispecie in cui il tribunale del riesame era
giunto a calcolare interessi usurai anche pari al 7, 2% mensile e a 86% su base
annua). Sez. n.21993 del 03/03/2017 Cc., Surgo, Rv.270064”; nel caso in
esame, in base alle dichiarazioni di Minelli, il tasso di interesse era del 10%
mensile per cui correttamente la Corte territoriale, in base alla giurisprudenza
sopra richiamata ed al fatto che Minelli era privo di conto corrente, ha ritenuto
sussistente la predetta aggravante.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché — ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità — al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 2.000,00 così
equitativarnente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 2.000,00 ciascuno a favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 15/11/2017

Il Consigliere estensore
Giuseppe Coscioni

Il Presidente
nco Fianflanese

Perelli, in quanto prestava denaro al suo posto praticando lo stesso tasso di

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