Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5343 del 16/12/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5343 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE SIMONE MASSIMO N. IL 15/09/1963
avverso la sentenza n. 940/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
12/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO

Data Udienza: 16/12/2014

..

udito il Pg in persona del sost. proc. gen. dott. U. De Augustinis che ha chiesto accogliersi il
prino motivo di ricorso, ritenendosi assorbiti gli altri e quindi annullamento senza rinvio.
RITENUTO IN FATTO

2. Ricorre per cassazione il difensore con quattro censure.
2.1. Con la prima censura, deduce violazione di legge e in particolare dell’articolo 2
comma secondo cp, atteso che, a seguito delle modifiche legislative intervenute, la FM
COSTRUZIONI doveva ritenersi soggetto non fallibile. È pur vero che i fatti sono antecedenti
alla modifica legislativa, ma il predetto articolo 2 cp impone la retroattività della legge più
favorevole. In tal senso si è orientata la giurisprudenza maggioritaria della corte di cassazione.
2.2. Con la seconda censura, deduce violazione di legge e carenza dell’apparato
motivazionale, atteso che manca l’elemento materiale del delitto contestato. Invero, le materie
prime non presenti in magazzino avrebbero dovuto essere ricercate presso i vari cantieri nei
quali operava la S.r.l. In particolare il curatore si sarebbe dovuto attivare per recuperare il
materiale accantonato, come risulta da dichiarazioni testimoniali, in uno spiazzo del Comune di
Purgessimo, precisamente presso la chiesa. Trattasi di materiale messo in sicurezza e
delimitato dal cosiddetto “nastro da cantiere”.
Quanto ai materiali lavorati, il curatore ha omesso di considerare che, come ampiamente
provato nel corso del dibattimento, la S.r.l. vantava una posizione debitoria – purtroppo non
soddisfatta – nei confronti della ditta che aveva, sia pure senza alcuna formalità, subappaltato
la parte dei lavori alla FM COSTRUZIONI. Si tratta della ditta GRAZIANI GROUP, il cui legale
rappresentante si è reso responsabile di una testimonianza tendenziosa e reticente, avendo
egli tutto l’interesse ad addossare al De Simone, che peraltro agiva come semplice geometra,
qualsiasi responsabilità.
Quanto alla bancarotta documentale, anche manca l’elemento materiale, atteso che il curatore
ha dichiarato di aver ricostruito l’andamento degli affari della società.
In ogni caso, sia la deposizione del Graziani, sia quella dei due funzionari del Genio Civile, sono
state lacunose e contraddittorie, con specifico riferimento alla natura dei rapporti tra la
GRAZIANI GROUP e il ricorrente. Si è trattato evidentemente di rapporti irregolarmente
costituiti, in assenza di qualsiasi traccia scritta. In effetti, l’affidamento del subappalto è
avvenuto puramente e semplicemente sulla parola. Ciò sta a testimoniare la assoluta
scorrettezza della condotta del Graziani e dunque non può non riflettersi sulla valutazione di
credibilità dello stesso quale testimone. Non meno perplessi, se non addirittura sconcertati,
lasciano le dichiarazioni dei funzionari del genio civile, i quali non sanno, non ricordano, non
precisano circostanze rilevanti.
2.3. Con la terza censura, deduce ancora violazione di legge in ordine alla qualifica di
amministratore di fatto, arbitrariamente attribuita al De Simone, qualifica che viceversa non gli
compete in quanto lo stesso non si è mai concretamente ingerito nella gestione della S.r.l., non
aveva potere di firma, non operava scelte strategiche. L’assunto in realtà si fonda sulle
interessate dichiarazioni di alcuni testimoni.
2.4. Con l’ultima censura, ci si duole, in linea subordinata, circa la mancata applicazione
dell’indulto di cui alla legge 241 del 2006.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, con il quale sostanzialmente si ripetono le censure già proposte innanzi alla
corte d’appello e motivatamente respinte, è inammissibile per genericità e manifesta
infondatezza.
2. La prima censura non tiene minimamente conto né della sentenza delle sezioni unite
Niccoli del 2008, né di quanto la corte d’appello scrive richiamando la predetta sentenza.

1. La corte di appello di Trieste, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la
pronuncia di primo grado con la quale De Simone Massimo fu condannato a pena di giustizia
in quanto ritenuto colpevole di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione
al fallimento della FM COSTRUZIONI S.r.l., dichiarato con sentenza del 23 settembre 2005.

3. La censura con la quale si nega la qualifica di amministratore di fatto, benché
formulata per terza va, per ovvi motivi, esaminata subito dopo quella concernente la pretesa
non fallibilità della FM COSTRUZIONI.
Essa è inammissibile per genericità, atteso che sembra non tenere alcun conto di quanto la
corte d’appello scrive nell’ultima pagina della sua sentenza circa gli effettivi poteri di
amministrazione che esercitava l’imputato, il quale, come si legge, firmava anche assegni. Ciò
y implicitamente (e contraddittoriamente), peraltro, è ammesso dallo stesso De Simone a
‘pagina 10 del suo ricorso.
4. La seconda censura è manifestamente infondata. Innanzitutto va ricordato che (ASN
200907048- RV 243295) la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società
dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera
dell’amministratore, della destinazione dei beni.
Invero l’amministratore ha l’obbligo di destinare le risorse aziendali al perseguimento degli
scopi della società; di talché deve sempre essere in grado di indicare il luogo di consistenza dei
beni delle risorse aziendali.
Il riferimento ad alcuni macchinari e materiali, ammassati alla rinfusa in un paese friulano nei
pressi di una chiesa non può certo avere luogo di una puntuale indicazione di luogo di
consistenza dei beni aziendali; in proposito, la sentenza impugnata, nella sua decima pagina,
svolge considerazioni completamente ignorate dal ricorrente. Sotto tale profilo, la censura è
anche generica. Sta di fatto che comunque, quale che possa essere stato il comportamento del
curatore, sarebbe stato obbligo, precipuo dell’amministratore – e dunque del De Simone -di
indicare con precisione la localizzazione di tali beni e di accertarsi che essi fossero acquisiti
all’attivo fallimentare.
4.1. Nessun rilievo poi può avere il riferimento ad una pretesa situazione creditoria della
S.r.l. nei confronti della GRAZIANI GROUP. Al De Simone è contestato, tra l’altro, di aver
sottratto rimanenze finali di lavorazione per € 70.300. Il fatto che avesse un credito di circa €
60.000 nei confronti del Graziani, non si vede come possa bilanciare il mancato reperimento di
detti materiali.
4.2. Ovviamente del tutto irrilevanti sono le considerazioni che, per pagine e pagine del
ricorso, si sviluppano circa la scarsa correttezza del Graziani e la lacunosa memoria del
predetto e di due funzionari del Genio civile, assunti come testi. Il ricorrente sembra
dimenticare che il thema probandum non consisteva nell’individuare le cause del fallimento,
ma nelg resistere all’accusa di sottrazione, dispersione, occultamento di beni sociali in
occasione del fallimento.
4.3. A leggere il ricorso, invero, sembra quasi di poter ipotizzare che il ricorrente
ritenga che il fallimento sia l’evento della condotta bancarottiera, laddove certamente così non
è, nonostante quel che ha sostenuto un’isolata sentenza di questa sezione, costantemente e
ripetutamente smentita da successive pronunce.
5. La censura relativa all’applicazione dell’indulto è inammissibile atteso che, come
chiarito ampiamente la giurisprudenza di questa corte (es. ASN 200943262-RV 245106), Il
ricorso per cassazione avverso la mancata applicazione dell’indulto è ammissibile solo qualora
il giudice di merito abbia esplicitamente escluso detta applicazione, mentre nel caso in cui
abbia omesso di pronunciarsi deve essere adito il giudice dell’esecuzione.

Invero il giudice penale, investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e
seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento,
quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti
soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche
apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12
settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 cp sui procedimenti penali
in corso.
2.1. Dunque, quale che sia “la giurisprudenza maggioritaria” immaginata la ricorrente,
sta di fatto che la questione è stata (ormai da tempo) adeguatamente composta dalle sezioni
unite e che quindi la relativa censura è inammissibile.

6. Conclusivamente il ricorso, nel suo complesso, è inammissibile e il ricorrente va
condannato alle spese del grado. Lo stesso va che condannato al pagamento di somma a
favore della cassa ammende, somma che si stima equo determinare in C 1000.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento della somma di C 1000 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma in data 16. XII. 2014.-

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