Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53401 del 10/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 53401 Anno 2017
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: VANNUCCI MARCO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
FERRINDA FRANCESCO nato il 17/01/1951 a DELIANUOVA
FERRINDA ROSARIO nato il 31/05/1983 a DELIANUOVA
FERRINDA GIOVANNI nato il 24/03/1987 a CINQUEFRONDI

avverso la sentenza del 17/05/2016 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA
CASELLA
che ha concluso chiedendo: per Ferrinda Giovanni l’annullamento senza rinvio
della sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste relativamente al capo 2) e
il rigetto nel resto del ricorso; per Ferrinda Rosario, l’annullamento senza rinvio
per non aver commesso il fatto e per Ferrinda Francesco l’annullamento senza
rinvio relativamente al capo 2), l’annullamento con rinvio limitatamente alla
recidiva, il rigetto nel resto.
Udito l’avvocato IARIA GIACOMO ,del foro di REGGIO CALABRIA, in difesa di
FERRINDA FRANCESCO, FERRINDA GIOVANNI e FERRINDA ROSARIO, che
conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso e l’annullamento della
sentenza impugnata.

Data Udienza: 10/10/2017

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 17 maggio 2016 la Corte di appello di Reggio Calabria
confermò la decisione con la quale, il 15 giugno 2015, il Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Palmi, a definizione di processo svoltosi nelle forme del
giudizio abbreviato, ebbe a condannare Francesco Ferrinda, Rosario Ferrinda e
Giovanni Ferrinda ciascuno alla pena ritenuta di giustizia (cinque anni di reclusione
ed euro 3.200 di multa per Francesco Ferrinda; quattro anni e otto mesi di
reclusione ed euro 3.000 di multa tanto per Rosario che per Giovanni Ferrinda)

esecuzione del medesimo disegno criminoso, dei seguenti reati, tutti accertati in
Delianuova il 25 marzo 2015: 1) detenzione illecita di otto cartucce per armi da
guerra specificamente descritte nel capo di imputazione (artt. 2 e 7 della legge n.
895 del 1967); 2) detenzione illecita di due fucili, di una pistola e di una parte di
fucile specificamente descritte nel capo di imputazione (artt. 2 e 7 della legge n. 895
del 1967); 3) detenzione illecita degli stessi due fucili e della pistola, i cui numeri di
matricola erano stati abrasi, e delle cartucce da guerra, da considerare armi e
munizioni clandestine (art. 23 della legge n. 110 del 1975); 4) ricettazione,
aggravata dal nesso teleologico, delle stesse armi e munizioni clandestine (artt. 61,
n. 2), e 648 cod. pen.); 5) detenzione illecita delle cartucce . per fucile e delle
munizioni per pistola specificamente descritte nel capo di imputazione (art. 697 cod.
pen.); 6) detenzione illecita, in funzione della vendita ovvero della cessione a terzi,
di 931 grammi circa di marijuana contenuta in due buste (art. 73, commi 1, 1-bis,
lett. a), e 4, del d.P.R. n. 309 del 1990).
1.1 A sostegno di tale decisione la motivazione afferma, per quanto qui
interessa, che: le armi, le munizioni e la sostanza stupefacente descritte nei sei capi
di imputazione vennero rinvenute in uno dei due locali di cui si componeva il garage
sito a circa 2 km di distanza dal luogo ove si trovava la casa in cui convivevano
Francesco Ferrinda ed i suoi due figli, Giovanni e Rosario Ferrinda; Giovanni Ferrinda
aveva ammesso di essere il solo detentore di tali beni; anche in considerazione del
contenuto delle dichiarazioni rese da persona informata sui fatti, era risultato che
anche Rosario Ferrinda si recava spesso presso tale locale, mentre Francesco
Ferrinda in tale luogo si recava qualche volta (nella sentenza di primo grado è sul
punto affermato che Franceso Ferrinda aveva dichiarato di recarsi tutti i giorni
presso il garage e di essere il solo detentore delle chiavi di accesso a tale immobile
che provvedeva di volta in volta a consegnare ai figli su loro richiesta); i fucili si
trovavano dietro ad un paraurti addossato ad un muro, la pistola era all’interno di
un secchio per la pittura, la droga era custodita all’interno di una cassettiera
adagiata su di un mobile; tali cose erano dunque «occultate in modo da non poter
essere notate da chi frequentava il garage, il che fa pensare che tutti ne erano a

perché dichiarati responsabili della commissione, in concorso fra loro ed in

conoscenza e le detenevano in concorso tra loro; si tratta dunque di luoghi tutti di
facile accesso e di uso comune»; in buona sostanza, armi e droga erano conservate
nel garage di cui i tre imputati avevano la detenzione in luogo «che ricadeva sotto il
diretto e totale controllo dei tre imputati in quanto vicino alla comune casa di
abitazione dei tre tanto da escludere qualsivoglia ipotesi diversa da quella della
penale responsabilità degli appellanti»; la misura della pena irrogata era affatto
congrua in riferimento alla gravità del reato contestato ed alla personalità degli
imputati, con previsione di pena meno elevata per Rosario e Giovanni Ferrinda,

determinata derivava dal fatto che gli imputati custodivano un vero e proprio
arsenale ed una considerevole quantità di sostanza stupefacente).
2. Per la cassazione di tale sentenza Francesco, Rosario e Giovanni Ferrinda
hanno proposto ricorso (atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avvocato Giacomo
lana) contenente: un motivo di impugnazione comune a Rosario e Francesco
Ferrinda; un motivo di impugnazione relativo al solo Francesco Ferrinda; un motivo
di impugnazione comune ai tre imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Rosario e Francesco Ferrinda criticano (primo motivo) la sentenza per avere
affermato il loro concorso nella commissione dei reati contestati sul solo rilievo che il
primo frequentava al garage ove erano occultati i beni illeciti e che il secondo
deteneva le chiavi di accesso a tale locale; senza avere però accertato quando armi,
munizioni e marijuana vennero collocate all’interno di tale locale e da tale
accertamento far derivare la di essi consapevolezza dell’esistenza di tali cose. Sotto
diverso profilo, la sentenza non avrebbe punto chiarito se essi ricorrenti, ancorché
consapevoli della presenza dei beni, avessero serbato una condotta meramente
passiva, come tale inidonea ad apportare alcun contributo alla commissione di
ciascun reato, ovvero se tale contributo avessero assicurato, fornendo in tal caso
plausibile motivazione relativa alle rispettive modalità di partecipazione nella
commissione degli illeciti contestati. In buona sostanza, ad avviso dei ricorrenti la
sentenza impugnata avrebbe svilito il contributo partecipativo proprio del concorso
di persone nella mera connivenza.

1.1 II motivo è fondato, avendo la sentenza impugnata, con un salto logico, fatto
derivare dall’accertata detenzione comune di Giovanni, Francesco e Rosario Ferrinda
del garage nella sentenza indicato anche la comune detenzione da parte di Rosario e
Francesco Ferrinda delle armi, delle munizioni e della sostanza stupefacente
all’interno di tale luogo rinvenuti e sequestrati il 25 marzo 2015 e, dunque, il
concorso di costoro nella detenzione di tali beni da parte di Giovanni Ferrinda: e ciò
2

persone incensurate (il giudice di primo grado aveva evidenziato che la pena da lui

sul solo rilievo secondo cui tali beni mobili erano facilmente visibili a chiunque fosse
entrato in quel locale («il che fa pensare che tutti ne erano a conoscenza e le
detenevano in concorso tra loro; si tratta dunque di luoghi tutti di facile accesso e di
uso comune»).
Premesso che Giovanni Ferrinda ha confessato di essere stato detentore
esclusivo delle cose in questione, mentre gli altri due imputati si sono dichiarati
estranei alla detenzione, il concorso con tale persona di Francesco e Rosario
Ferrinda nei reati di detenzione illegale delle armi, delle munizioni e della marijuana

disponibilità materiale di tali cose e si trovasse, dunque, in una relazione di fatto con
le cose stesse, tale per cui potesse comunque in qualsiasi momento disporne (in
questo senso, cfr. Cass. Sez. 6, n. 13085 del 3 ottobre 2013, dep. 2014, Amato, Rv.
259479; Cass. Sez. 1, n. 45940 del 15 novembre 2011, Benavoli, Rv. 251585).
E’ però evidente che occorre la prova dell’esistenza di tale, comune, detenzione
qualificata nonché della coscienza e volontà di ciascuno di contribuire con il proprio
operato alla commissione dell’illecito; con la conseguenza che ove l’apporto dato dal
concorrente si estrinsechi in una omissione, questa assume la valenza necessaria a
concretare la compartecipazione soltanto allorché si traduca nella violazione di un
obbligo giuridico incombente sul soggetto (art. 40 cod. pen.), non bastando al
riguardo l’assenza di atteggiamenti di generico dissenso che è più propriamente
inquadrabile nella nozione di connivenza (in questo senso, cfr. Cass. Sez. 1, n. 4800
del 12 febbraio 1997, Violi, Rv. 207581).
In altre parole, il concorso nel reato sussiste allorché si offre un consapevole
apporto – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che
agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente, mentre costituisce
connivenza non punibile il comportamento di chi è certamente consapevole
dell’altrui detenzione illecita delle cose in questione, senza però apportare alcun
contributo causale alla realizzazione dell’illecito e non è, per legge, obbligato a
denunciare tale altrui illecita detenzione (per la conferma di tale principio, ancorché
in materia di concorso nella illecita detenzione di sostanze stupefacenti, cfr., fra le
altre, Cass. Sez. 3, n. 41055 del 22 settembre 2015, Rapushi, Rv. 265167; Cass.
Sez. 6, n. 44633 del 31 ottobre 2013, Dioum, Rv. 257810).
La, indirettamente, provata conoscenza da parte di Francesco e Rosario Ferrinda
della conservazione dei beni mobili menzionati all’interno del garage da essi
detenuto in comune con Giovanni Ferrinda non è quindi, in assenza di obbligazione
legale per i primi due di denunciare l’illecito del terzo, elemento di per sé sufficiente
– contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata ed in quella di primo
grado – per affermare che i primi due abbiano concorso con il terzo nella
commissione dei reati loro contestati.

3

è configurabile solo quando sia provato che ciascuno di essi avesse la materiale

In assenza di ulteriori elementi di prova (nelle sentenze non menzionati), da cui
desumere la detenzione comune di armi, munizioni e droga imputabile anche a
Francesco e Rosario Ferrinda ovvero l’esistenza di un consapevole loro apporto alla
illecita condotta del loro prossimo congiunto Giovanni Ferrinda, la conclusione non
può che essere quella dell’accertamento della loro estraneità alla commissione degli
illeciti loro contestati in concorso con Giovanni Ferrinda.
In conclusione, la sentenza impugnata, nella parte in cui confermò la condanna
di Rosario e Francesco Ferrinda, deve essere annullata senza rinvio per non avere

L’accoglimento di tale motivo principale determina assorbimento del,
subordinato, motivo di impugnazione relativo alla mancata concessione di
circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della misura della pena e,
quanto al solo Francesco Ferrinda, anche di quello, del pari subordinato, relativo
all’aumento di pena determinato dalla contestata recidiva (il ricorrente ha dedotto
che l’aumento di pena sarebbe stato determinato per il solo fatto dell’esistenza di
precedenti penali, senza alcuna motivazione in ordine alla idoneità della nuova
condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del
reo).

2. Tutti gli imputati deducono (secondo motivo) che, con motivazione poco
perspicua venne loro negata la concessione di circostanze attenuanti generiche sul
solo rilievo della «gravità del fatto»; confondendo la gravità del fatto in senso
giuridico con la gravità della condotta che non esclude che anche per un fatto
«grave» possano essere concesse le circostanze di cui all’art. 62-bis cod. pen. Sotto
altro profilo, inoltre, la motivazione della sentenza era sostanzialmente mancante
nell’indicazione dei criteri, fra quelli indicati dall’art. 133 cod. pen., in base ai quali la
pena è stata determinata.

2.1 II motivo, da esaminare quanto al solo ricorrente Giovanni Ferrinda (in
considerazione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso proposto da Francesco
e Rosario Ferrinda), è fondato.
Nel confermare la misura della pena determinata dalla sentenza di primo grado,
la sentenza di appello afferma che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di
Palmi «ha correttamente calcolato la pena commisurandola alla gravità del reato
contestato ed alla personalità degli imputati, dunque prevedendo una pena meno
elevata per Rosario e Giovanni soggetti incensurati nonché operando il dovuto
aumento per la continuazione, che si giustifica del resto in forza della gravità dei
reati concorrenti, tutti puniti con pene elevate, trattandosi di detenzione di
numerose armi e di un elevato quantitativo di marijuana».
4

costoro commesso tutti i reati loro rispettivamente contestati.

La sentenza di primo grado, ritenuto più grave il reato di detenzione di armi da
sparo clandestine, determinò in quattro anni ed euro 3.000 di multa la pena per tale
reato ed aumentò la stessa: di un anno e di euro 300 di multa per il reato di
detenzione illegale di munizioni per armi da guerre; di un anno e ed euro 300 per il
reato di detenzione illegale di armi comuni da sparo; di sei mesi ed euro 600 per la
ricettazione delle armi clandestine; di tre mesi per il reato di detenzione di cartucce
e munizioni non denunciate; di tre mesi ed euro 800 per il reato di detenzione
illecita, ai fini della vendita ovvero della cessione a terzi, di 931 grammi di

Premesso che non un rigo della motivazione della sentenza impugnata è dedicato
al motivo di appello con il quale Giovanni Ferrinda si doleva della mancata
concessione di circostanze attenuanti generiche, con conseguente omissione di
pronuncia sul punto, si osserva, quanto alla determinazione della pena, che quanto
più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare
ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando
specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen.,
quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (in questo senso, fra le altre, cfr. Cass.
Sez. 1, n. 24213 del 13 marzo 2013, Pacchiarotti, Rv. 255825; Cass. Sez. 6, n.
35346 del 12 giugno 2008, Bonarrigo, Rv. 241189).
Nel caso concreto, invece, la motivazione addotta al riguardo dal giudice di
appello è caratterizzata da estrema genericità (ai limiti del’apparenza) e soffre di
interne contraddizioni, in quanto: omette di indicare quale fosse il reato grave fra
quelli accertati e, soprattutto, perché tale reato fosse grave; afferma che l’aumento
conseguente all’applicazione dell’art. 81, secondo comma cod. pen. è «dovuto» nelle
misure specificamente indicate dal giudice di primo grado «in forza della gravità dei
reati concorrenti, tutti puniti con pene elevate, trattandosi di detenzione di
numerose armi e di un elevato quantitativo di marijuana», in tal guisa ritenendo i
reati diversi da quello di detenzione illegale di armi clandestine siccome aventi una
pari gravità e comprendendo fra i c.d. “reati satellite” anche quello di cui all’art. 23
della legge n. 110 del 1975..
La motivazione relativa alla determinazione della pena per Giovanni Fer . rinda è
dunque gravemente deficitaria; con conseguente annullamento sul punto della
sentenza impugnata.

3. Da ultimo, ed in considerazione delle conclusioni rese dal Procuratore
generale, si osserva che tanto la sentenza di primo grado che quella di appello
hanno ritenuto sussistere, quanto all’accertata detenzione da parte di Giovanni
Ferrinda delle tre armi comuni da sparo, il cui numero di matricola era stato abraso,
specificamente descritte nel capo di imputazione n. 2), il concorso formale (art. 81,

5

marijuana.

primo comma, cod. pen.) fra delitto di illegale detenzione di arma comune da sparo
(artt. 2 e 7 della legge n. 895 del 1967) e quello di detenzione di arma clandestina
(art. 23, primo comma, n. 2), terzo comma, della legge n. 110 del 1975): e ciò, alla
luce, all’epoca di emissione della sentenza di appello, del consolidato orientamento
della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non vi può essere assorbimento dei
reati di detenzione e porto di arma comune da sparo in quelli di detenzione e porto
di arma clandestina, essendo diversi sia la condotta dell’agente che l’interesse
protetto dalle rispettive norme incriminatrici (in questo senso, cfr., fra le molte,

5567 del 28 settembre 2011, dep. 2012, Deragna, Rv. 251821; Cass. Sez. 1, n.
14624 del 6 marzo 2008, Vespa, Rv. 239904; Cass. Sez. 1, n. 4436 del 22 giugno
1999, Lobina, Rv. 214026; Cass. Sez. 1, n. 1833 del 4 novembre 1993, dep.1994,
Marini, Rv. 196516).
A ciò sollecitate da Cass. Sez. 1, ord. n. 21788 del 3 aprile 2017 (dep. 5 maggio
2017), le sezioni unite della Corte, con sentenza resa il 22 giugno 2017 (ricorrente
La Marca) hanno però affermato, in contrasto con tale consolidato orientamento
interpretativo, anche alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza della
Corte costituzionale n. 200 del 2016, il principio secondo cui, in applicazione del
precetto recato dall’art. 15 cod. pen., unico a rilevare in funzione del raffronto fra
elementi costitutivi delle diverse fattispecie di reato, i reati di cui all’art. 23, primo,
terzo e quarto comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (rispettivamente:
detenzione di arma clandestina; porto in luogo pubblico di arma clandestina)
assorbono, rispettivamente, quelli di cui agli artt. 2, 4 e 7, della legge 2 ottobre
1967, n. 895 (rispettivamente: detenzione illegale di arma comune da sparo; porto
in luogo pubblico di arma comune da sparo): tali reati non concorrono dunque fra
loro.
Questa Corte non può che prestare ossequio a tale interpretazione, con la
conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nella
parte in cui ha ritenuto Giovanni Ferrinda responsabile, con la detenzione delle armi
descritte nel capo di imputazione n. 2, oltre che del delitto di detenzione di armi
clandestine (art. 23, primo e terzo comma, della legge n. 110 del 1975), anche del
delitto di detenzione illegale di armi comuni da sparo (artt. 2 e 7 della legge n. 895
del 1967): tale ultimo delitto non sussiste perché, in applicazione dell’art. 15 cod.
pen., il comportamento del ricorrente è qualificabile solo come delitto di detenzione
di armi da sparo clandestine, assorbente nel proprio ambito quello di detenzione
illegale di armi comuni da sparo.
Alla statuizione assolutoria (non sussiste il fatto consistito nella illegale
detenzione da parte di Giovanni Ferrinda di armi comuni da sparo, a lui contestato
nel capo n. 2) derivante da tale interpretazione, resa facendo applicazione del
6

Cass. Sez. 6, n. 45903 del 16 ottobre 2013, Iengo, Rv. 257386; Cass. Sez. 1, n.

precetto contenuto nell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non osta la mancata
impugnazione da parte di Giovanni Ferrinda della sentenza di appello nella parte in
cui ebbe a confermare la condanna di tale persona tanto per la commissione del
delitto di detenzione di armi clandestine che di quello di detenzione illegale di armi
comuni da sparo in riferimento agli stessi beni mobili, dal momento che in caso di
condanna la mancata impugnazione della affermata responsabilità dell’imputato
determina solo il formarsi di una preclusione su tale punto della sentenza
impugnata, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità del

devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la
quantificazione della pena: per tali punti la cosa giudicata si forma solo quando essi
siano stati definiti e le relative decisioni non siano censurate con ulteriori mezzi di
impugnazione; con la conseguenza che l’evidenza della non sussistenza di uno dei
fatti contestati (nella specie, il reato di detenzione illegale di armi comuni da sparo)
ben può essere rilevata nel giudizio di cassazione che, come nel caso di specie,
pronunci annullamento della sentenza di appello quanto al trattamento
sanzionatorio da essa disposto, non essendosi esaurito il giudizio relativo al capo di
sentenza per il quale si apprezza l’evidenza della insussistenza del fatto (tale ordine
di concetti è costante nella giurisprudenza di legittimità, nel solco tracciato, sia pure
in materia di estinzione del reato per prescrizione, da Cass. S.U., n. 1 del 19
gennaio 2000, Tuzzolino, Rv. 216239).

4. In conclusione, la sentenza impugnata:
a)

è da annullare senza rinvio nella parte in cui confermò la sentenza di

condanna di Rosario Ferrinda e di Francesco Ferrinda per la commissione di tutti i
reati loro rispettivamente contestati per non avere tali persone commesso i fatti
indicati nei sei capi di imputazione;
b) è del pari da annullare senza rinvio nella sola parte in cui confermò la
condanna di Giovanni Ferrinda per il reato di detenzione illegale di armi comuni da
sparo (imputazione contenuta nel capo 2) perché il fatto non sussiste;
c) è infine da annullare quanto alla conferma della condanna di Giovanni Ferrinda
per i reati diversi da quello indicato sub b), con rinvio ad altra sezione della Corte di
appello di Reggio Calabria che, ferma restando l’applicazione della disciplina
contenuta nell’art. 81, secondo comma, cod: pen., dovrà, in risposta ai motivi di
appello proposti dallo stesso Giovanni Ferrinda: dare adeguata risposta al motivo di
appello sollecitante la concessione di circostanze attenuanti generiche; offrire
congrua motivazione, facendo applicazione al caso concreto dei parametri contenuti
nell’art. 133 cod. pen., a fondamento della misura della pena da infliggere a
Giovanni Ferrinda per la commissione dei reati, diversi da quello di detenzione
7

giudicato quando, come nella specie, per quello stesso capo l’impugnante abbia

illegale di armi comuni da sparo, accertata dalla sentenza resa dal Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Palmi il 15 giugno 2015.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Ferrinda Rosario e
Ferrinda Francesco per non aver commesso i fatti. Annulla senza rinvio la sentenza
impugnata nei confronti di Ferrinda Giovanni limitatamente al capo 2) della rubrica
perché il fatto non sussiste e con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di

Così deciso in Roma il 10 ottobre 2017.

Il Consigliere estensore
Mari5o Viannucci
fiL^

Il Presidente
Francesco Maria Silvio Bonito

Reggio Calabria limitatamente al trattamento sanzionatorio.

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